Stimati Associati e gentili Sostenitori, oggi analizziamo, col Prof. Ballerini («Breve apologia per giovani studenti, contro gli increduli dei nostri giorni», Parte II, Firenze, Imprimatur 1914, dalla pagina 165 a seguire), i criteri o segni per riconoscere la religione rivelata da Dio, ossia la vera religione.
• Necessità di criteri e segni. Né l’uomo potrebbe credere ad una religione divina se prima non fosse certo che Dio ha parlato, né Dio potrebbe esigere fede dall’uomo se prima non gli facesse conoscere con certezza che Egli ha veramente parlato. Occorrono dunque delle prove. È assurdo supporre che Iddio parli e poi non si curi che la Sua parola venga conosciuta e creduta; o che, volendo questo, non dia all’uomo i mezzi necessari per conoscere ed accertarsi che è veramente parola di Dio. Cristo ha detto: «Chi non crederà, sarà condannato». E non potendo Iddio nella Sua giustizia condannare chi non è colpevole, deve aver impresso alla Sua religione quei caratteri che la mostrano veramente divina. Perciò la Chiesa ha condannato la dottrina di coloro che asserivano: «L’assenso di fede soprannaturale e utile alla salute può stare colla notizia solo probabile della rivelazione, anzi col timore che Dio non abbia parlato». Proposizione XXI fra le condannate da Papa Innocenzo XI il 2 marzo 1679. Lo stesso errore venne da Papa san Pio X condannato nella proposizione XXV del Decreto Lamentabili: «L’assenso di fede si appoggia in ultima analisi su di una congerie di probabilità». E Papa Pio IX nella Enciclica Qui pluribus del novembre 1846 scriveva: «Perché l’umana ragione non s’inganni né erri in affare di tanta importanza, deve diligentemente scrutare il fatto della rivelazione divina, affinché le consti con certezza che Dio ha veramente parlato».
• Motivi di credibilità. Le prove che dimostrano una data religione essere veramente rivelata da Dio, si dicono motivi di credibilità, i quali si possono definire: Segni chiari ed evidenti per cui tutti gli uomini possono conoscere con certezza che Dio ha veramente parlato. Se la rivelazione fosse fatta immediatamente a ciascuno di noi, come avveniva ai Profeti, allora, per essere certi del fatto della rivelazione, non occorrerebbero altri dati che quelli della interna esperienza con cui l’uomo sa d’aver avuto una tale comunicazione da Dio. Ma la cosa non va così. La rivelazione viene a noi trasmessa da quelli che l’ebbero da Dio. Bisogna dunque esaminare il fatto stesso o la religione che dicesi rivelata, per vedere se essa presenta caratteri o garanzie che la dimostrino tale. Nessuno in base ai motivi puramente soggettivi della sua coscienza ha diritto di affermare il fatto della rivelazione. Dobbiamo dunque rivolgerci ai motivi oggettivi.
• Questi sono di due specie, negativi e positivi. I primi ci mostrano che non può esser rivelata quella religione cui mancano tali segni o requisiti. E questi sono: che le cose rivelate siano conformi, o almeno non ripugnanti ai dettami della ragione - non siano indegne di Dio - non siano storicamente false - e che colui, il quale dicesi inviato da Dio, sia di una morale edificante, quale appunto si conviene ad un inviato dal Signore. Una religione che mancasse di tali requisiti e contenesse qualche cosa di assurdo o di immorale, non potrebbe certamente essere rivelata da Dio. È però facile capire che questo criterio non è adatto per tutti e non è sufficiente neppure pei dotti. Non è adatto per tutti: perché pochi sono capaci di scorgere la conformità o non ripugnanza degli insegnamenti religiosi con i dettami della ragione. Non è sufficiente neppure per i dotti: perché la conformità o non ripugnanza di una dottrina religiosa con i principii della nostra ragione prova, tutt’al più, che quella dottrina può essere rivelata, non già che di fatto lo sia, potendo essa provenire da insegnamenti puramente umani o naturali. Con questo criterio sarebbero inoltre esclusi o compromessi i misteri soprannaturali. Occorrono dunque altri criteri di indole positiva, i quali non solo ci facciano conoscere che una data dottrina può essere rivelata perché nulla ha di ripugnante con i principii della retta ragione, ma ancora che quella dottrina è di fatto veramente rivelata.
• Questi criteri possono essere interni ed esterni. Sono interni quelli desunti dalla sublimità, eccellenza e trascendenza delle dottrine rivelate su tutte le altre. Questo carattere non può certamente mancare alle dottrine rivelate, ma non tutti sono capaci di rilevarlo. Non si deve però confondere questo criterio o motivo interno-oggettivo, desunto dagli stessi veri rivelati, col criterio o motivo interno-soggettivo, desunto dalla corrispondenza delle dottrine rivelate coi bisogni dell’anima nostra. I seguaci dell’immanenza vitale o psicologica si appigliano a quest’ultimo criterio in senso esclusivo. Essi negano che la ragione possa dimostrare con certezza l’esistenza di Dio ed il fatto della rivelazione. E tuttavia sostengono che la divinità della religione si possa egualmente dimostrare dal lato psicologico, in quanto risponde a tutte le esigenze ed aspirazioni della nostra natura. Ma questa dottrina, presa nel senso esclusivo in cui la propongono i modernisti, non si può accettare. Noi pure ammettiamo che l’accordo tra la religione rivelata ed i bisogni dell’anima è indizio della sua divina origine, ma solo quando sia già dimostrata l’esistenza di Dio ed il fatto della rivelazione divina; perché, allora, fondandoci sul concetto della sapienza divina, che fa tutte le cose ordinatamente, possiamo considerare quella corrispondenza come un segno di verità. Ma per chi ritiene non dimostrata né dimostrabile l’esistenza di Dio ed il fatto della rivelazione, quell’accordo non dice nulla: esprime solo il fatto soggettivo di una religione conforme alla nostra natura, senza sapere se questa religione sia vera o falsa, rivelata o no.
• L’esperienza religiosa. A questa dottrina è identica l’altra della «esperienza del divino», e della «esperienza religiosa», che gli stessi modernisti fanno valere come criterio per giudicare della verità della religione cristiana rivelata. Ma anche qui dobbiamo intenderci. Che la religione rivelata, ed in concreto, la cristiana, produca mirabili effetti in chi la pratica come si deve - per esempio la pace dello spirito, la tranquillità della coscienza, il distacco dalle cose mondane, il desiderio delle celesti, ecc. - e che questi effetti si possano considerare come un indizio della divinità della religione cristiana, nessuno lo nega. Ma ognuno vede che intanto possiamo sentirci obbligati a praticare la religione cristiana, sottostare ai sacrifizi che ci impone, credere alle sue dottrine ed a suoi dogmi, in quanto siamo già certi che essa viene da Dio ed è perciò obbligatoria per tutti. Occorrono dunque dei criteri antecedenti all’esperienza religiosa, i quali dimostrino a tutti la divinità del Cristianesimo in sé stesso e persuadano ad abbracciarlo e praticarlo. Perché uno possa determinarsi a vivere secondo i dettami di una data religione (esperienza religiosa), deve già essere persuaso della verità di quella religione e dell’obbligo di vivere in conformità ai dettami della medesima. La vera esperienza religiosa consegue, dunque, come effetto alla dimostrazione già fatta. [I primi cristiani non si sono convertiti al Cristianesimo in base all’esperienza fatta, ma in base a quella da farsi, cioè, in base ai motivi che li convinsero della divinità del Cristianesimo e dell’obbligo di vivere secondo i suoi dettami]. Dunque non è vero quanto affermano i modernisti. L’esperienza religiosa non è criterio né unico né primario: è solo argomento di conferma. Ed anche in quest’ultimo senso, è noto quali e quante sieno le fluttuazioni ed incertezze a cui soggiace l’esperienza religiosa, secondo il carattere e le disposizioni degli individui. Mai, quindi, avremo una norma certa e sicura di giudizio, se non la pigliamo dall’esterno. Di qui le giuste argomentazioni dell’Enciclica Pascendi Dominici gregis (di Papa san Pio X) contro l’esperienza religiosa dei modernisti, che potrebbe giustificare ogni religione.
• La dottrina dei valori morali. Né punto dissimile è la dottrina dei valori morali nel giudicare della bontà o verità di una religione. Nel fatto, cioè, che una data religione riconosce e favorisce più delle altre il valore morale della vita, si vorrebbe trovare la ragione o il criterio che ci deve far preferire quella religione a tutte le altre. Il filosofo Danese Höffding ha lavorato più di ogni altro a formulare questo sistema nella sua Filosofia della religione (La pensée humaine, ses formes et ses problemes. Trad. d’après l’edition danoise par F. de Coussance, Paris, Alcan, 1911). Nel fatto religioso egli vede espresso essenzialmente un bisogno ed una volontà di mantenere i valori della vita al di là dei limiti entro i quali la volontà umana può agire a loro riguardo; e quella religione che in tal modo esercita più vivamente la sua efficacia, dovrà essere la preferita. A parte tutte le osservazioni in contrario, ciò che ha di vero questa dottrina conviene con quanto abbiamo già detto. Ma il fatto storico di una religione veramente rivelata da Dio, non si potrà mai affermare con vera certezza in base a tale criterio. [Anche in questo caso si può parlare solamente di argomento di conferma, ndR].
• Criteri o motivi esterni. Conviene dunque, per accertarsi intorno al fatto della rivelazione, far capo ai motivi esterni; cioè a quei fatti soprannaturali e sensibili che accompagnano la divina rivelazione, come prove e testimonianze della sua divina origine. E questi sono i miracoli e le profezie, per mezzo dei quali Iddio ci assicura essere veramente Sua, ossia divinamente rivelata, quella dottrina in conferma della quale furono operati. [Sappiamo, difatti, che i veri miracoli e le vere profezie non esistono nelle false religioni, ndR]. Solo questi ultimi criteri, come ognuno vede, sono accessibili a tutti, e provano con certezza che veramente divina, e, quindi, rivelata da Dio è quella dottrina che li possiede. Perché non potendo i miracoli e le profezie venire da altri che da Dio, e non potendo Iddio prestarsi a suggellare l’impostura, se c’è una religione confermata da veri miracoli e da vere profezie, questa non può essere che divina, ossia divinamente rivelata. [Nel prossimo articolo citeremo la Somma Teologica, san Tommaso d’Aquino, II-II, Questione 178, Argomento 2, Se gli iniqui possano far miracoli, ndR]. Questi criteri, inoltre, più di tutti gli altri rispondono all’esigenza della stessa critica. Se la rivelazione esiste è un fatto, e, come tale, dev’essere dimostrata con prove storiche o argomenti di fatto. Come fatto straordinario e soprannaturale, poi, deve essere provata con altri fatti parimenti straordinari e soprannaturali. E tali sono appunto i miracoli e le profezie. «Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa rendersi credibile con segni esterni, e che perciò dalla sola interna esperienza, o privata ispirazione, gli uomini debbono essere condotti alla fede; sia anatema». Così si esprime il Concilio Vaticano (1869 - 1870), De fide, can. 3.
«Se questa religione, scriveva Gaetano Negri, si limitasse ad esporre dogmi che fossero accessibili alla mente umana e che contenessero in sé stessi la prova della loro verità, certo, in tal caso, non vi sarebbe alcun bisogno di un fatto esterno che ne garantisse la credibilità; ma non vi sarebbe, nel medesimo tempo, nessuna ragione per credere che quella dottrina è di origine divina [...]. Al contrario, una rivelazione soprannaturale deve essenzialmente consistere di dogmi, i quali siano superiori alla nostra intelligenza, dei quali noi non possiamo intendere la ragione, perché questa ragione si trova in una causa che non è da noi analizzabile. Ma, in questo caso, è pur necessaria una garanzia la quale assicuri l’uomo ch’egli, accettando ciò che non comprende, non s’inganna, e questa garanzia è il miracolo. Una dottrina la quale è all’ infuori della logica della [sola] ragione, deve essere provata da un fatto il quale è all’infuori della logica della natura. L’uomo non può giudicare che sui fatti. A giudizii naturali corrispondono fatti naturali; a giudizii sovrannaturali, fatti soprannaturali». Lo scrive in Segni dei tempi. A parte alcune inesattezze di linguaggio, il Prof. Ballerini attesta che qui viene espresso lo stesso pensiero di san Tommaso in Contra gent., 1. III, cap. 154: «Quia sermo propositus (la rivelazione divina) confirmatione indiget ab hoc ut recipiatur, nisi sit per se manifestatus, ea autem quae sunt fidei sunt humanae rationi immanifesta, necessarium fuit aliquid adhiberi quo confirmaretur sermo praedicantium fidem. Non autem confirmari poterat per aliqua principia rationis per modum demonstrationis, quum ea quae sunt fidei rationem excedant. Oportuit igitur aliquibus indiciis confirmari praedicantium sermonem, quibus manifeste ostenderetur huiusmodi sermonem processisse a Deo, dum praedicantes talia operarentur..., quae non posset facere nisi Deus».
(a cura di CdP)