La presente relazione verrà suddivisa in più articoli sul cartaceo di Sursum Corda a partire dal numero 85. Terza ed ultima parte di «Quando il Papa è infallibile?» (clicca qui per la prima, qui per la seconda), si tratta soprattutto di una sintesi puntuale dell’intero scritto «Dall’opinione al domma» di Sisto Cartechini S.I. (preghiamo: De Profundis), pubblicato da «La Civiltà Cattolica» con Imprimatur del 18 giugno 1953. Ho semplificato la relazione con miei brevi commenti. Ho arricchito la relazione con centinaia di punti di Denzinger (acquistabile tramite internet oppure in libreria) che potete trovare nella parte finale dello scritto. Oggi è la Festa di Ognissanti, dunque preghiamo: «O voi tutti che regnate con Dio nel cielo, dai seggi gloriosi della vostra beatitudine, volgete uno sguardo pietoso sopra di noi, esuli dalla celeste patria. Voi raccoglieste l’ampia messe delle buone opere, che andaste seminando con lacrime in questa terra di esilio. Dio è adesso il premio delle vostre fatiche e l’oggetto dei vostri gaudii. O beati del cielo, ottenete a noi di camminare dietro i vostri esempi e di ricopiare in noi stessi le vostre virtù, affinché, imitando voi in terra, diventiamo con voi partecipi della gloria in cielo. Così sia».
Per ogni scienza giova conoscere il grado di certezza dei suoi presupposti e dei suoi principii, ciò vale a maggior ragione nella scienza teologica. Di qui la necessità dello studio ordinato dei dati della Rivelazione, il quale, in qualche misura, è richiesto a tutti i credenti per offrire a Dio un atto di culto ragionevole (Rom. 12, 1), ed anche ai non credenti per spiegarsi la ragionevolezza di quanti credono. L’autore si prefigge il duplice scopo di «fornire agli studiosi della fede cattolica i criteri necessari per dare un esatto giudizio sulla certezza delle verità rivelate, ed esporre insieme i metodi di collegarle in un sistema scientifico».
Iniziamo con la definizione che il Concilio Vaticano ci dà sul concetto esatto del dogma e c’indica chiaramente quale sia l’oggetto della nostra fede: «Per fede divina e cattolica deve essere creduto tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata per tradizione, e che la Chiesa, sia con solenne sentenza sia col Magistero ordinario e universale, ci propone a credere come rivelato da Dio» (Denzinger, 3011 - ho aggiornato le concordanze della numerazione alla più recente versione del Denzinger - acquistabile tramite internet oppure in libreria). Il dogma è legge del credere, ossia è una dottrina che, espressa con una proposizione, ci viene con infallibile autorità proposta come articolo di fede. Il dogma è una verità che ci viene proposta per mezzo di un giudizio. Bisogna quindi distinguere tra oggetto materiale, ossia la cosa di cui i dogmi trattano, e gli stessi dogmi, ossia il loro oggetto formale in quanto, cioè, sono decisioni ufficiali promulgate dall’autorità competente, che in questo caso è la Chiesa cattolica, assistita dal carisma dell’infallibilità.
Tali giudizi costituiscono l’elemento primordiale della nostra fede, ossia la verità rivelata in quanto espressa e proposta alla nostra mente. Il primo contatto di Dio coll’uomo, quando vuol farsi oggetto della nostra fede e del nostro amore, avviene appunto per mezzo dell’intelletto e quindi mediante proposizioni. I dogmi hanno valore veramente oggettivo, sono capaci cioè di raggiungere e di esprimere l’essere stesso delle cose come sono in se stesse, indipendentemente dalle nostre facoltà conoscitive. Il valore oggettivo e intellettuale del dogma si fonda sulla stessa Sacra Scrittura, dalla quale risulta che la fede di cui parliamo è atto dell’intelletto; e gli Apostoli non fanno altro che trasmettere una dottrina ricevuta, ossia il deposito delle verità della fede, affidato loro da Gesù Cristo col compito di conservarlo intatto e trasmetterlo senza mutazione alcuna. Non sarebbe possibile la fede se non precedesse una certa conoscenza della cosa che ci viene proposta a credere, difatti è detta cognizione della verità, pienezza dell’intelligenza. Fede è differente da sentimento, da esperienza o da opinione arbitraria, questione di un’importanza grandissima, perché se tutto si fa fondare sul sentimento, come volevano i modernisti, per i quali i dogmi sono oggetto di un vago e cieco sentimento religioso e non oggetto dell’intelletto, non avremo niente di solido e di stabile nella fede e nella teologia.
Il dogma è sempre una dottrina rivelata da Dio. Per Rivelazione qui s’intende una locuzione divina, soprannaturale, vero discorso docente e attestante di Dio personale agli uomini. Si richiede, dunque, che Dio ci manifesti la sua mente circa qualche cosa. La Rivelazione infatti, può contenere tre specie di verità: - verità di ordine naturale, che non superano la capacità conoscitiva della ragione umana; - misteri propriamente detti, verità cioè del tutto impenetrabili alla ragione umana; - fatti storici, soprattutto quelli che riguardano Gesù Cristo. Per avere un dogma si richiede che la proposizione sia stata rivelata da Dio, nella Rivelazione pubblica, che si chiude con la morte dell’ultimo Apostolo. Contro i modernisti ed i protestanti, la Rivelazione non è un’intuizione soprannaturale, privata, settaria o un’esperienza religiosa; bensì è universale, è pubblica, è sociale, vale per tutti, si esprime con tale chiarezza, con tale certezza e stabilità da essere norma rigorosa uguale per tutti. La dottrina rivelata, a cui appartengono i dogmi, è stata consegnata alla Chiesa come Scrittura Sacra divinamente ispirata o tramandata per tradizione orale: ambedue questi modi hanno Dio come autore. Le rivelazioni private non sono dogmi e vengono accettate dalla Chiesa solo se non contengono nulla che sia contrario alla Rivelazione pubblica. Non tutte le cose rivelate sono tali da formare dei dogmi, ma soltanto quelle verità che regolano la nostra condotta verso Dio e verso la salvezza eterna: il dogma, perciò, è una dottrina che riguarda la fede e i costumi.
Per dogma finalmente s’intende una dottrina che dalla Chiesa è definita come contenuta nella divina Rivelazione e come tale proposta alla nostra fede. Questo è l’elemento formale e condizione essenziale perché una dottrina sia dogma di fede. La Chiesa, mediante un suo autorevole giudizio espresso con una proposizione, ci dichiara che una determinata dottrina è verità rivelata da Dio ed impone ai fedeli l’obbligo in coscienza di fare l’atto di fede, che in questo caso è non soltanto atto di fede divina ma anche di fede cattolica. Tale dichiarazione da parte della Chiesa depositaria della fede può essere fatta in due diverse maniere, essendo due gli organi del Magistero ecclesiastico in cui la Chiesa, con la garanzia dell’infallibilità, impegna tutta la sua suprema autorità dottrinale. O il dogma viene proposto con dichiarazione solenne, sia dal romano Pontefice quando parla ex cathedra, cioè a tutta la Chiesa come supremo pastore e maestro universale in materia di fede e di costumi, sia da un Concilio ecumenico; o il dogma viene insegnato dal Magistero ordinario e universale. Non basta, per avere un dogma, che la verità sia definita e proposta a credere, ma si richiede che dalla Chiesa venga definita come verità rivelata, dichiarando esplicitamente che è rivelata come verità da credersi: Cristo consegnò alla sua Chiesa il deposito della fede affinché essa non solo lo custodisse, ma lo tramandasse integro e lo proponesse ai fedeli come oggetto della loro fede. Solo nel deposito ricevuto sono contenuti i dogmi e soltanto chi nega questi, quando sono definiti, è ritenuto eretico.
È eretica quella proposizione che si oppone in modo contrario o in modo contraddittorio alla verità di cui si è sufficientemente certi che la Chiesa cattolica la propone come rivelata. Se uno, dunque, appartenente col battesimo alla Chiesa, si esprime, a parole o in scritto, in modo contrario o contraddittorio ai dogmi, è un eretico (che è differente da essere dichiarato eretico). Due proposizioni contraddittorie non possono essere contemporaneamente ambedue vere o false; mentre invece due contrarie possono essere ambedue false, ma non ambedue vere. Esempio: è di fede cattolica che tutti i libri della Sacra Scrittura sono ispirati da Dio. Ora, se è uno dice: «Nessun libro della Sacra Scrittura è ispirato», si oppone in modo del tutto contrario alla verità ed è quindi eretico; se uno dice: «Qualche libro della Sacra Scrittura, per esempio, il 2° libro dei Maccabei, non è ispirato», è parimenti eretico perché contraddice in parte alla verità rivelata da Dio e proposta a credere dalla Chiesa. (#)
Perché le decisioni di un Concilio abbiano valore dogmatico, il Concilio dev’essere ecumenico e legittimo, solo in tal caso godrebbe del carisma dell'infallibilità. Infatti, Gesù Cristo ha promesso l'infallibilità alla Chiesa universale e non alle singole chiese particolari - e non ai conciliaboli (es. quello di Pistoia). I Concili particolari non sono infallibili: però le loro decisioni possono acquistare un valore universale e definitivo, se in seguito interviene l'approvazione del romano Pontefice (es. Denzinger, 151, 222 ss, 370 ss.). Al netto delle tante discussioni in un Concilio, le ultime conclusioni, che riguardano la fede e i costumi, sono infallibili. Perché si abbia una definizione infallibile si richiede che la cosa venga proposta in maniera tale che dia assoluta certezza e non probabilità. Si richiede inoltre che i Concili generali manifestino con relativa evidenza la volontà di definire, perché non è detto che chi ha il diritto d'insegnare, come la Chiesa cattolica, abbia sempre di fatto la volontà d'insegnare. Una certa chiarezza, dunque, almeno relativa, è condizione indispensabile per il Magistero infallibile della Chiesa. Come pure la dichiarazione da parte della Chiesa di volere esercitare il suo Magistero infallibile affidatole da Gesù Cristo, fa sì che le sue definizioni siano veramente legge del credere, legge cioè che non ammette dubbio, perché legge dubbia non obbliga. Va ritenuta come dottrina definita ciò che è direttamente contenuto nelle stesse parole della definizione, ossia ciò a cui direttamente si riferisce la parola «definiamo» o sinonimi. Sul concetto di definizione sono sorti, soprattutto a partire dal Vaticano II, numerosi e gravi equivoci con cui si pretende equiparare le definizioni alle opinioni, o, peggio ancora, si fantastica di definizioni non infallibili o piuttosto di definizioni che definiscono benché non intendano definire, quindi vediamo subito cosa si intende per definizione.
I segni per riconoscere una definizione sono questi: - prima di tutto la parola «definiamo», quantunque non sia sempre perentoria, ci deve essere evidenza; - inoltre, quando si esprime l'obbligo, anche mediante sanzione, di confessare apertamente una determinata dottrina, per esempio «... a nessuno è lecito manifestare altra fede …» (Denzinger, 303); - altro segno di definizione è la dichiarazione esplicita che se uno ritiene diversamente, è alieno dalla fede, eretico cioè è separato dalla Chiesa (Denzinger, 2804). I Canoni poi dei Concili terminano coll'espressione anathema sit: si domanda se questo è un criterio irrefutabile per stabilire che trattasi di definizione dogmatica. Non lo è, ma può essere un indizio, dipende appunto dal contesto e dall’argomento. Come si vedrà, l'espressione anathema sit non è altro che una formula di scomunica, che può essere comminata per varie ragioni. La verità che l'autorità docente vuol definire è contenuta nelle parole della proposizione prese nel loro senso minimo possibile. Se una verità viene positivamente definita come dogma, non c'è dubbio che tanto la sua contraddittoria quanto la sua contraria sono eretiche; se invece una proposizione è condannata come eretica, allora soltanto la contraddittoria è dogma.
Quando non appare chiaro se in una proposizione sia definita qualche precisazione, allora ciò che è definito è soltanto un concetto generico, ossia quel minimo che è sufficiente a difende il dogma. Questo talvolta avviene quando la Chiesa condanna infallibilmente alcune proposizioni. A questo punto uno potrebbe domandare: perché la Chiesa a il Papa non si sono espressi con maggiore chiarezza? Perché non sono stati più precisi? Si risponde che il supremo Magistero della Chiesa può avere ragioni più che sufficienti per procedere in questo modo: mentre non c’era tempo per discutere convenientemente le varie affermazioni erronee, la condanna s’imponeva con urgenza ad impedire mali maggiori; d’altra parte, in tali circostanze la condanna bastava per impedire agli errori un loro ulteriore sviluppo e diffusione.
L’infallibilità del romano Pontefice fu definita dogma di fede nel Concilio Vaticano (Denzinger, 3073-3074): «(…) Definiamo essere dogma da Dio rivelato che il romano Pontefice, quando parla ex cathedra: cioè in funzione di pastore e dottore di tutti i cristiani, definisce, per la suprema sua autorità apostolica, una dottrina in materia di fede e di costumi da tenersi da tutta la Chiesa, in virtù dell’assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, gode di quell’infallibilità di cui il divin Redentore volle che la sua Chiesa fosse dotata nel definire la dottrina riguardante la fede e i costumi; e perciò le definizioni del medesimo romano Pontefice sono irreformabili per se stesse e non per consenso della Chiesa». Il Papa, dunque, è infallibile solo quando parla ex cathedra, ed è questa una prerogativa incomunicabile, strettamente personale, non perchè come persona privata abbia la garanzia di essere esente da errore o da eresia, ma nel senso che è infallibile ciascuno indistintamente dei successori di Pietro. La definizione vaticana non precisa l’oggetto dell’infallibilità pontificia, ma la dichiara identica a quella della Chiesa nel suo oggetto primario, cioè nell’insegnamento di quanto è esplicitamente o implicitamente rivelato in materia di fede e di costumi. Ma è evidente che non si possono escludere dal dominio della infallibilità pontificia le cosiddette «verità connesse», le quali, benché non si trovino formalmente nella Rivelazione, sono con questa così strettamente congiunte che vi si possono dire virtualmente contenute: un errore intorno a ciò metterebbe in pericolo la stessa fede. Tali verità sono le conclusioni teologiche, i fatti dogmatici, la canonizzazione dei santi e la legislazione ecclesiastica.
Perché si possa dire che il romano Pontefice parli ex cathedra, deve essere manifesto con relativa evidenza che egli ha la volontà di definire ex cathedra, essendo la volontà elemento essenziale dell’attività umana. Parlando poi ex cathedra il Papa può usare varie forme nel proporre una verità di fede: bolle, encicliche, lettere apostoliche, brevi; può servirsi anche di Concilii particolari dando conferma solenne alle loro decisioni. L’importante è che l’intenzione del Pontefice di definire una dottrina sia manifesta con certezza: per questo non si richiede una forma determinata, né egli è tenuto a servirsi di un mezzo piuttosto che d’un altro. Quando il romano Pontefice non manifesta la volontà di definire qualche dottrina, quantunque la ricordi e anche se ne serva, non può dirsi che parli di quella dottrina ex cathedra. L’infallibilità è, sì, un privilegio soprannaturale, ma l’uso di esso dipende dalla libera attività di chi gode di tale privilegio. Siamo in grado di riconoscere se il Pontefice ha fatto uso di tale privilegio, quando ricorrono, tutte insieme, delle condizioni che stiamo per elencare. Pertanto quando esse ricorrono, non ci è più possibile pensare che il Pontefice non abbia inteso usare il privilegio dell’infallibilità, in quanto gli è soprannaturalmente (cioé oltre la sua natura) garantito. Non ogni decreto pontificio, anche autentico, né ogni raccolta di proposizioni condannate, è locuzione ex cathedra. Pensiamo ad alcuni decreti disciplinari e particolari. Difatti non è infallibile un documento pontificio se non consta che il sommo Pontefice parli a tutta la Chiesa.
Concludendo dunque: perché si abbia locuzione ex cathedra si richiedono quattro condizioni: - che il Papa parli alla Chiesa universale; - che usi tutta la sua suprema autorità apostolica; - che intenda definire; - che si tratti di una cosa riguardante la fede e la morale. Che una definizione sia solenne, non dipende dal fatto che si usi una certa solennità esterna, ma dal fatto che il giudizio speciale e definitivo espresso, in cosa di tanta importanza, di natura sua è solenne. L’analisi dei documenti pontifici si fa seguendo le norme sopra spiegate per i documenti dei Concilii. Se in un documento pontificio ricorrono le suddette quattro condizioni, il che lo capiamo dall’oggettiva analisi (almeno logica) del testo, siamo certi che il legittimo Pontefice ha inteso godere del privilegio soprannaturale di infallibilità, difatti, se potesse in tal caso definire il falso, ne seguirebbe che Dio stesso sarebbe autore dell’errore dell’uomo, il che ripugna: «O Signore, se vi è errore, siamo stati da te ingannati» (Denzinger, 3305). Grandi Santi, i migliori teologi, ma anche alcuni Pontefici e numerosi Cardinali affermano che, in presenza di una ipotetica falsa definizione (ossia di una definizione contraria o contraddittoria al dogma), bisogna interrogarsi immediatamente sul suo contenuto e sul verificarsi delle quattro condizioni, poi finalmente sull'ente da cui essa proviene, ovvero considerarlo privo di quell’autorità necessaria ad ottenergli la prerogativa dell'infallibilità. Tale è, per esempio, la circostanza del cosiddetto «papa eretico». Secondo sant'Alfonso, san Bellarmino e sant'Antonino, per citare alcuni Santi eruditi, sarebbe doveroso, preso atto del fatto, constatare la vacanza della Sede. Ma questo è un altro discorso e tanto bisognerebbe aggiungere!
Esiste nella Chiesa un Magistero ordinario infallibile che ha il potere di proporre dei dogmi di fede. La Chiesa esercita il suo Magistero ordinario in diversi modi. Il Magistero ordinario si esercita prima di tutto per mezzo della dottrina espressamente proposta e che viene comunicata, fuori delle definizioni formali, dal sommo Pontefice per tutta la Chiesa. Anche in questo caso, perché si abbiano verità dogmatiche, si richiede che siano proposte come rivelate. Tutto ciò che riguarda la fede e i costumi, e che dal Magistero ordinario viene infallibilmente insegnato come rivelato, deve considerarsi verità da tenersi di fede divina e cattolica (cf. Satis Cognitum, Leone XIII). Ecco, per esempio, alcune verità espresse in documenti della Chiesa da credersi per fede divina e cattolica. Nell’enciclica Diuturnum illud (del 1881) di Leone XIII s’insegna che l’origine divina della potestà civile è con evidenza attestata dalla Sacra Scrittura e dai monumenti dell’antichità cristiana (Denzinger, 3150-3152). Nell’enciclica Arcanum divinæ sapientiæ (1880) dello stesso Leone XIII, sul matrimonio cristiano, s’insegna la divina istituzione di questo sacramento, la sua indissolubilità e il diritto esclusivo e integrale della Chiesa sul matrimonio dei cristiani (Denzinger, 3142 ss.). Nell’enciclica Providentissimus Deus (del 1893), sempre di Leone XIII, questi due punti sono, per esempio, di fede cattolica: la nozione cattolica dell’ispirazione e l’assenza di ogni errore nel testo scritturale fedelmente conservato. Perciò che i libri della Scrittura godano in tutto di autorità infallibile è di fede cattolica, quantunque non sia solennemente definito (Denzinger, 3292-3294). Nell’enciclica Immortale Dei (del 1885), anch’essa di Leone XIII, s’insegna la massima indipendenza della Chiesa dall’autorità civile, e che essa per istituzione divina ha piena e assoluta autorità nel campo suo (Denzinger, 3168-3169). Il Simbolo atanasiano (Denzinger, 75-76), approvato dal Magistero ordinario dei sommi Pontefici, che lo fanno recitare ai sacerdoti nel breviario, ha valore dogmatico. Così dal Magistero ordinario vengono insegnate quelle verità dogmatiche che sono contenute nelle formule di professione di fede richieste dalla Santa Sede, come per esempio, nel simbolo di Papa Ormisda (Denzinger, 363-364) sull’infallibilità del romano Pontefice, nella professione di fede tridentina di Pio IV (Denzinger, 1862 ss.), nel giuramento contro i modernisti (Denzinger 2145). Le proposizioni contenute in questi documenti, quando certamente si può provare esservi insegnate come rivelate, sono di fede cattolica. Se inoltre vi si trova qualche verità non rivelata, questa è sempre una verità certissima; e anche in questa il Papa è infallibile, e il negarla sarebbe peccato mortale. Quanto poi al Simbolo degli Apostoli e a quello di Costantinopoli è chiaro che tutto ciò che in essi è contenuto, anche nelle minime parti, è di fede cattolica.
Le verità dottrinali e morali contenute nelle Liturgie approvate per la Chiesa universale, specialmente le verità che riguardano i Sacramenti e il santo Sacrificio della Messa, sono verità di fede cattolica anche prima che siano definite da qualche Concilio; così pure le verità rivelate contenute nell’approvazione solenne degli Ordini religiosi fatta dal Pontefice per tutta la Chiesa, specialmente l’eccellenza dei consigli evangelici e l’utilità soprannaturale dei mezzi di perfezione che sono contenuti nelle Regole di tali Ordini. Perciò se qualcuno disprezzasse i consigli evangelici sarebbe eretico.
Vi sono, tuttavia, alcuni documenti pontifici infallibili che non è facile distinguere se appartengano al Magistero ordinario o a quello solenne, benché questa distinzione non abbia una grande importanza. Citiamone alcuni. La lettera dogmatica di Papa Leone I a Flaviano, vescovo di Costantinopoli (Denzinger, 293). La lettera dogmatica di Papa Agatone intorno alle due volontà in Cristo: contiene un giudizio definitivo e irreformabile perché il Papa dichiara essere fuori della fede chi ritiene-diversamente (Denzinger, 548). La bolla Unam sanctam di Papa Bonifacio VIII: il dogma è contenuto in fine, dove si afferma essere necessaria la sottomissione di tutti gli uomini al romano Pontefice (Denzinger, 873-875). La costituzione Benedictus Deus di Papa Benedetto XII, relativa alla visione beatifica (Denzinger, 1000-1001). La costituzione Cum occasione, di Papa Innocenzo X, in cui si condannano come eretiche cinque proposizioni di Giansenio (Denzinger, 2001-2005).
La Chiesa esercita il suo infallibile Magistero ordinario non soltanto dichiarando espressamente la dottrina da tenersi per fede, ma anche mediante la dottrina implicitamente contenuta nella prassi, ossia nella vita stessa della Chiesa. La dottrina divina, infatti, comunicata alla Chiesa dalla parola di Dio, o il deposito della fede, può essere trasmessa per tradizione scritta, per tradizione orale e anche per tradizione pratica. Bisogna poi qui notare che quando si parla di pratica della Chiesa, piuttosto che riferirsi alla vita e all’azione dei fedeli, dobbiamo principalmente riferirci all’azione della Chiesa gerarchica che dirige la pratica dei fedeli. Così per ciò che riguarda la Liturgia, quantunque non si possa dire, come pensano i modernisti, che essa crea i dogmi, tuttavia, appunto perché la Liturgia riflette la fede della Chiesa, è prova di molti dogmi e perciò di molte verità teologicamente certe. Non c’è dubbio che nel modo con cui la Chiesa prega e loda il Signore, esprime ciò che crede e come lo crede e in base a quali concetti essa onora pubblicamente Dio. Con la liturgia si possono provare numerosi dogmi (es. l’Ascensione, il Primato giurisdizionale di Pietro, eccetera) e si possono confutare altrettante eresie (es. la pelagiana e la semipelagiana sulla grazia, confutate dagli Oremus della Chiesa). Una Chiesa fallibile nella riforma universale della Liturgia sarebbe un assurdo, poiché il culto riflette la fede. Difatti viene difesa la legittimità delle cerimonie della Messa (Denzinger, 1746, 1757, 1759); il canone della Messa è infallibile, ossia è esente da errori dogmatici (Denzinger, 1745, 1756).
Quanto all’infallibile vita giuridica universale della Chiesa, bisogna dire che i legittimi Concilii generali ed il legittimo Pontefice non possono stabilire leggi la cui osservanza sia peccato. Cristo, infatti, dette alla Chiesa la potestà di giurisdizione per condurre gli uomini alla vita eterna; ma se la Chiesa nelle sue leggi includesse il peccato mortale, obbligherebbe gli uomini a perdere la vita eterna. Né, d’altra parte, Dio può dispensare dalla legge naturale. Perciò la Chiesa non può definire come vizio ciò che è onesto, né, al contrario, onesto ciò che è vizio; non può approvare ciò che sia contrario al Vangelo o alla ragione. Quindi nel Codice di Diritto Canonico non può esservi nulla che si opponga in qualche modo alle regole della fede e alla santità del Vangelo.
Conclusione: quando si dice che una verità va creduta per fede divina e cattolica vuol dire ch’essa è un dogma di fede, cioè una verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa. In due modi la Chiesa propone le verità da credersi per fede: o solennemente o per mezzo del Magistero ordinario; se avviene solennemente, allora la verità si dice di fede definita; se invece viene proposta dall’insegnamento ordinario nei vari modi sopra esposti potrebbe senz’altro dirsi dogma di fede cioè di fede divina e cattolica. Molti autori non applicano neanche questa distinzione e parlano semplicemente di dogma di fede.
Non ogni infallibile definizione è dogma di fede. Difatti i sommi Pontefici possono ex cathedra non solo definire verità di fede ma anche condannare proposizioni, non già necessariamente come eretiche, ma come false o come scandalose. Così Papa Pio VI nella costituzione Auctorem fidei (del 1794) condanna molte proposizioni. I Pontefici possono infallibilmente definire doversi tenere con piena adesione alcuni punti di dottrina, benché non di fede divina e cattolica: per esempio, i fatti dogmatici non basta accettarli tacendo, ma è necessario prestare l’ossequio dell’adesione interna ch’è la vera ubbidienza dell’uomo ortodosso (Denzinger, 2390 - leggete questa Costituzione, è fondamentale).
Abbiamo appena imparato che talvolta neppure la parola definire è sufficiente per dire che si tratta di un dogma di fede. Un altro caso speciale di atti ex cathedra è quando una raccolta di proposizioni viene condannata in blocco: in tal caso ciascuna delle proposizioni partecipa di una o anche più, se non necessariamente di tutte, le qualificazioni inflitte all’intero blocco. E tra quelle qualificazioni molte sono meno severe della qualifica di eresia (es. Denzinger, 941-946, 951-978), delle 41 proposizioni di Lutero condannate da Papa Leone X con la bolla Exsurge Domine (Denzinger, 1451-1480), eccetera. Anche da questi esempi appare chiaro che la locuzione ex cathedra non sempre proclama dogmi di fede. Allo stesso modo, talvolta, i Pontefici obbligano la Chiesa ad ammettere alcune verità di fatto, che sono fatti dogmatici, come, per esempio, che le cinque proposizioni di Giansenio sono condannate nel senso oggettivo inteso dall’autore (Denzinger, 2012), che le ordinazioni anglicane sono invalide e che perciò i preti anglicani non hanno il carattere sacerdotale (Denzinger, 3318-3319). Lo stesso si dica di tutte le bolle di canonizzazione. Ora è certo che anche in tali giudizi i Pontefici e i Concilii sono infallibili trattandosi di verità connesse con la Rivelazione, sebbene ancora non si possa dire che questa infallibilità sia dogma di fede. Il concilio Vaticano, infatti, per fare astrazione da tale questione, nel definire l’infallibilità pontificia ex cathedra, parla di verità da tenersi e non di verità da credersi di fede divina.
Negare che questi speciali atti siano sempre - alle condizioni già elencate - infallibili, significa negare, per esempio, che le ordinazioni anglicane siano certamente invalide; significa negare che Lutero e Giansenio furono certamente riprovati; significa negare che San Pio V sia certamente in Paradiso. Eccetera... Che in queste la Chiesa sia infallibile, è il minimo: a) se è infallibile, deve esserlo almeno in questo; b) se è fallibile in questo, non ha ragione di esistere.
Erroneamente alcuni sostengono che, mancando l’anathema sit, ciò equivarrebbe, in qualche modo, ad un’assenza certa di infallibilità. La formula anathema sit, come abbiamo già notato, non è altro che la formula di scomunica: «La scomunica si chiama anche anathema specialmente se viene inflitta solennemente»: così nel Canone 2257 del Codice di Diritto Canonico (Pio-Benedettino). Le cause, poi, che nel corso dei tempi costrinsero la Chiesa alla scomunica ed all’uso di questa formula, furono molteplici. È certamente suggello di un pronunciamento infallibile quando: a) è una formula di scomunica che suppone sempre l’eresia in senso stretto (ossia condanna un’eresia); b) oppure quando, per mezzo di un’analisi deduttiva, si possa mostrare che sta difendendo una verità contenuta in un’altra esplicitamente rivelata. Se si dice che la Chiesa ci obbliga ad ammettere sempre (ossia per sempre) tutti i Canoni per fede cattolica perché terminano con l’anathema, si dovrebbe dire che questi ordini sono rivelati dallo stesso Cristo o dallo Spirito Santo e perciò sono di diritto divino. Dobbiamo, dunque, distinguere che la formula anathema sit può avere anche altro significato. Può essere presente e non significa che il pronunciamento sia necessariamente ex cathedra, può non essere presente e non significa che il pronunciamento sia necessariamente non ex cathedra. Molti pronunciamenti sono stati riformati nei secoli, tuttavia ciò non potrà mai accadere per quelli ex cathedra (es. Denzinger, 3043). L’analisi del documento deve essere di altro tipo, lo abbiamo già studiato. Si conclude che la proposizione: «mancando l’anathema sit, ciò equivale, in qualche modo, ad un’assenza certa di infallibilità», è totalmente falsa.
Possiamo anche concludere che la Chiesa ha definito infallibilmente alcune verità oggettivamente nuove rispetto a quelle rivelate, senza che per questo si debba dire che sia stato accresciuto il deposito della Rivelazione, la quale rimase per sempre chiusa con la morte dell’ultimo Apostolo. Queste verità oggettivamente nuove sono quelle che si ottengono da verità rivelate coll’aggiunta di un fatto non rivelato.
In conclusione, quando la dottrina cattolica è infallibile? Si può rispondere che bisogna esaminare nei singoli casi la natura dei vari documenti, il valore dei termini usati, cosa sia quello che viene insegnato, e con quale nesso alle verità che riguardano la fede e i costumi. Certo, quando il Papa insegna una cosa in un’enciclica, anche se non definisca, c’è sempre una grave ragione per dire che quello che insegna è almeno una dottrina sicura, in quanto teologicamente certa. Non è forse vero che negando l’infallibilità della Chiesa nelle conclusioni teologiche e nei fatti dogmatici con facilità si negherà la stessa infallibilità? Chi infatti nega una conclusione teologica dedotta con evidenza da una premessa che è certamente di fede e da un’altra che è evidente al lume della ragione, con ciò stesso, non potendo negare la premessa che gli è evidente al lume della ragione, non gli rimane che negare la premessa di fede. Consta infatti dalla logica che non può una conclusione essere falsa se non sia falsa una delle premesse, perché il falso non procede dal vero ma solo dal falso, quantunque il vero possa dedursi anche dal falso. Il Concilio Vaticano, nel definire l’infallibilità pontificia, dice che il Papa gode di tale carisma quando parla ex cathedra, cioè quando come pastore e dottore universale per la suprema sua autorità apostolica definisce una dottrina riguardante la fede e i costumi da tenersi da tutta la Chiesa: non dice da credersi, ma usa una parola meno determinata: da tenersi. Da questo segue che è infallibile anche nelle verità strettamente connesse col dogma ciò che è teologicamente certo, perché altrimenti non si potrebbero salvare i dogmi. Facciamo un esempio. È definito nel Concilio di Trento che il peccato originale si cancella col battesimo (Denzinger, 1510-1514); siccome però dopo il battesimo rimane la concupiscenza, come si vede per esperienza, è teologicamente certo che il peccato originale non consiste formalmente nella concupiscenza. Del resto lo stesso Concilio dice: «Questo santo sinodo confessa e ritiene che nei battezzati rimane la concupiscenza o fomite» (Denzinger, 1515-1516).
Quelle verità che si deducono unicamente a priori con assoluta certezza sembra che siano da considerarsi rivelate: l’unica distinzione è se siano rivelate in modo esplicito o in modo implicito. Difatti anche l’enciclica Humani generis (Pio XII) parla soltanto di tale distinzione là dove dice: «È vero pure che i teologi devono sempre ritornare alle fonti della rivelazione divina: è infatti loro compito indicare come gli insegnamenti del vivo Magistero si trovino sia esplicitamente sia implicitamente nella Sacra Scrittura e nella divina tradizione. (…) Dio insieme a queste sacre fonti ha dato alla sua Chiesa il vivo Magistero, anche per illustrare e svolgere quelle verità che sono contenute nel deposito della fede soltanto oscuramente e come implicitamente. E il divin Redentore non ha mai dato questo deposito, per l'autentica interpretazione, né ai singoli fedeli, né agli stessi teologi, ma solo al Magistero della Chiesa».
Anche dalla prassi della Chiesa, cioè dal Diritto canonico, dalla vita liturgica, ascetica e mistica della Chiesa, come si possono provare alcune verità dogmatiche, così si possono provare alcune verità che sono dottrina cattolica o teologicamente certe con esse congiunte. Specialmente per ciò che riguarda la vita ascetica e mistica abbiamo molti documenti dottrinali sia positivi sia negativi, i quali stabiliscono i punti della dottrina e condannano gli errori intorno alla vita spirituale (es. Denzinger, 2201-2268). Le leggi ecclesiastiche riguardanti i vari stati che o richiedono la perfezione o si sforzano di raggiungerla, come lo stato ecclesiastico e lo stato religioso: da tali leggi appare con chiarezza quale sia la mente della Chiesa intorno ai mezzi adatti per ottenere la perfezione ed intorno ai pericoli da evitarsi nello studio di essa. Tutto ciò può dirsi dottrina cattolica o teologicamente certo. Quando la Chiesa approva infallibilmente le Costituzioni degli Ordini religiosi, dichiara, attesta, certifica con autorità che tale forma di vita è un mezzo adatto per tendere alla perfezione. Le riforme di dette Costituzioni non colpiscono affatto le verità rivelate contenute nell’approvazione infallibile degli Ordini religiosi (fatta dal Pontefice per tutta la Chiesa), specialmente l’eccellenza dei consigli evangelici e l’utilità soprannaturale dei mezzi di perfezione.
La canonizzazione dei santi è l’applicazione concreta di due articoli di fede, quello sul Culto dei santi e l’altro della Comunione dei santi. È dottrina cattolica o teologicamente certo che la vita del santo che viene canonizzato sia esempio esimio e modello di vita cristiana e di perfetta virtù. Si capisce che viene sancito il complesso generale della vita del santo e non il valore dei singoli atti e molto meno l’imitabilità dei medesimi, ossia l’attitudine ad essere imitati da tutti. Quindi non perché una cosa è fatta o detta da qualche santo, questa sia la sola ragione perché possa farsi da tutti. Così san Paolo si oppose in faccia a san Pietro perché era degno di riprensione disciplinare; tuttavia sarebbe molto pericoloso se ciascuno lo volesse imitare proprio in questo.
Da ultimo bisogna osservare che anche chi nega una proposizione teologicamente certa, e sa che è teologicamente certa, commette peccato mortale, colpa che va indirettamente contro la fede, per quella connessione che la conclusione teologica o il fatto dogmatico hanno con la fede. A maggior ragione, pecca mortalmente chi nega che la Chiesa ed il Papa siano infallibili alle condizioni definite (Denzinger, 3075). Pecca mortalmente chi afferma che la Chiesa ed il Papa possano vincolare giuridicamente al peccato mortale. Pecca mortalmente chi afferma che la Chiesa ed il Papa possano promulgare ed imporre un culto universale eretico oppure falso. Pecca mortalmente chi sostiene l’errore nelle canonizzazioni. Eccetera … infine elencherò i punti di Denzinger utili.
Una proposizione è eretica quando è espressamente contraria alle definizioni della Santa Chiesa in materia di fede e costume. Pertanto è contraria alla Scrittura oppure alla chiara divina tradizione. Una proposizione si dice prossima all’eresia quando, non tutti, ma molti dottori, e con grave fondamento dicono che è eretica. Prossima all’errore si dice quella proposizione che nega una proposizione che ai più sembra essere una conclusione teologicamente certa, ma non a tutti. Una proposizione si dice che sa di eresia (sapiens haeresim) ed è sospetta, quando fa nascere il timore che l’autore di quella sia caduto nell’eresia o in qualche errore da cui abbia origine quella proposizione; il fondamento però, benché reale, non è sufficiente per giudicare con assoluta certezza che trattasi veramente di eresia o di errore. Una proposizione si dice scandalosa quando offre occasione di rovina, facendo inclinare gli uditori al peccato o allontanandoli dall’esercizio delle virtù. Una proposizione che suona male (male sonans), benché non dia fondamento agi uditori di giudicare o sospettare che contenga eresia, è riprovevole per l’abuso di parole prese in senso o tono diverso da quello che suole esser preso comunemente dai fedeli (sulla conservazione e difesa della terminologia teologica: Denzinger, 824, 2831, 3881-3883). La proposizione offensiva delle pie orecchie (piarum aurium offensiva) è quella che ha in sé qualche cosa di indegno o indecente in materia di religione. Abbiamo visto che, quando la Chiesa condanna un’eresia è infallibile. Ma quando condanna una proposizione qualificandola con queste censure di grado inferiore, è infallibile? Quello, e né più né meno, è infallibilmente vero, che la Chiesa intende definire con le sue parole. Se, dunque, la Chiesa definisce che una dottrina è rivelata, come per esempio l’Immacolata Concezione, non soltanto la dottrina stessa è infallibilmente vera, ma anche il fatto che è rivelata è infallibilmente vero. Se qualche affermazione viene condannata come falsa ed erronea, la sua contraddittoria è necessariamente vera, ma non è definito se sia anche rivelata o soltanto connessa con la rivelazione. Se poi una proposizione è condannata come temeraria, è infallibilmente vero questo: almeno attualmente tale asserzione è temeraria, ma del futuro non si dice nulla. Se un’asserzione è condannata come scandalosa e offensiva, è vero che almeno oggi è scandalosa e offensiva o è scandalosa così come è formulata. Dobbiamo ammettere come verità teologicamente certa che il Papa, nel pronunziare queste censure anche di grado inferiore, come sono: temerario, sa di eresia, suona male ecc., non può sbagliare. È vero, sì, che il giudizio espresso in queste qualificazioni, dipende da cognizione umana non rivelata, come sarebbe il conoscere quale sia il parere dei padri da cui si allontana la proposizione temeraria, il significato delle parole e il senso che danno loro gli uditori, l’impressione che fanno in essi; ma ciò non toglie che il Papa sia in tali dichiarazioni infallibile. Dio non può permettete l’errore del Papa nel formulare tali giudizi, dovendo il supremo pastore visibile indicare ai fedeli gli scogli da evitare e lo stesso linguaggio che devono tenere e quale fuggire, per parlare con esattezza delle cose riguardanti l’eterna salute.
In tutte le altre questioni la Chiesa ed il Pontefice non sono infallibili. Può accadere che in qualche documento, anche autentico, venga affermata, non definita di fede, una dottrina puramente umana: in questo caso il teologo deve ben distinguere la dottrina rivelata da ciò che è puramente umano. In quelle cose che Dio non ha insegnato nella Scrittura e nella tradizione e in quelle che non hanno relazione né prossima né remota con la Scrittura e la tradizione, la Chiesa non ha competenza diretta. Di questo non c’è dubbio quanto alle scienze fisiche e matematiche. Benché la Chiesa può infallibilmente condannare le scienze di falso nome (es. sistema filosofico cf. Pascendi Dominici gregis; sistema delle false scienze naturali cf. Humani Generis). Né la Chiesa è infallibile nelle arti, nella filologia, nella epigrafia, nell’archeologia, nella storia ecclesiastica e profana, a meno che non si riferiscano essenzialmente a cose rivelate, come sono tutti i fatti storici narrati nella Bibbia. Per ciò poi che riguarda i principi e le leggi morali, dobbiamo ritenere questo: quantunque la Chiesa non possa errare nello stabilire tali leggi e tali principi, può tuttavia sbagliare nella loro applicazione alle variabili contingenze dei tempi e delle persone. Ma nel caso in cui per errore, uno venga dalla sentenza ecclesiastica condannato ingiustamente, questi non ha diritto di provocare uno scisma, poiché la gerarchia può giudicare anche dove non è infallibile, e se essa ha questo diritto, chi è suddito ha il dovere di ubbidire. Similmente la Chiesa non è infallibile nella scelta delle persone che devono ascendere ai vari gradi della gerarchia. La Chiesa non è infallibile nella designazione del Pontefice. Nelle canonizzazioni dei santi è teologicamente certo che la Chiesa sia infallibile, non è invece teologicamente certo che lo sia anche nelle beatificazioni. Può accadere che il romano pontefice commetta degli errori nella sua vita e nei suoi giudizi privati, quanto alla politica e quanto alle sue relazioni coi governi; ma non bisogna con molta facilità ammettere tali errori e senz’altro permettersi di censurare, perché il papa conosce molte cose che, data l’altezza della sua dignità, nessun altro può conoscere come lui; e quindi alcuni provvedimenti, che potrebbero sembrare imprudenti a coloro che ignorano i diversi motivi e circostanze, possono essere proprio quelli che il momento richiede. Può, inoltre, accadere che qualche opinione sia comune presso tutti i fedeli e tuttavia falsa: questo però non può verificarsi in quelle proposizioni che la Chiesa crede di fede divina, e nemmeno dove il consenso converga su qualche cosa non come in un’opinione ma come in una cosa certa.
Fin qui ho cercato di sintetizzare, ed arricchire con qualche ulteriore riferimento di Magistero, l’opera del compianto Sisto Cartechini S.I. (preghiamo: Requiem Æternam). Da adesso in avanti ritengo necessario riportare tutti i punti di Denzinger che confermano quanto è stato detto, acciocché nessuno possa fantasticare o addurre obiezioni immaginarie. Approfondimento di pura premura, trattandosi già di un libro con Imprimatur.
Ulteriori punti di Denzinger
Secondo il diritto divino la Chiesa ha bisogno dell’unità nella guida 3306; la solidità della Chiesa poggia sul primato 3052. Il riconoscimento della preminenza di giurisdizione, più tardi chiamato primato, viene richiesto (102), 109, 132, 181s, 221, 232-235, 282, 347, 446, 468s, 638-641, 774s, 861, 875, 910, 1051-1064, 1191, 1307s, 2539, 2592s, 3059s, 3064; viene prestato 108, 133-136, 181s, 186x, 216s, 264, 306, 661-664; è necessario per la salvezza 233s, 875, 1051, 1060, (1191), 3867. Vengono condannate le obiezioni contro la preminenza o il primato [fra cui le proposizioni: «la dignità del papa derivò dall’imperatore», «deriva dal demonio»; «la Chiesa non ha bisogno di un capo sulla terra»] 1187, 1188, 1190, 1192, 1209, 1227-1229, 1475s, 2592-2597, 3555. Il Papa è il capo visibile (non «invisibile», come sostengono alcune sette protestanti, o «eclissato», come vogliono altri) della Chiesa 872, 1307, 2529s, 3059, 3113; è il rappresentante di Cristo 872, 1054, (1187), 1307, 1448, (1475), 1868, 2540, 2592s, 2603, 3059; ha ricevuto direttamente da Cristo l’intero suo potere giurisdizionale 1054, (1187, 2592s), 3060, 3064, 3113. Il Papa è sottomesso al diritto divino ed è vincolato alle disposizioni che Cristo ha preso per la Chiesa cosicché non ne può mutare la costituzione 3114.
Il potere giuridico del Papa è episcopale, ordinario, diretto 3060, 3064; si estende su tutta la Chiesa pellegrinante, a tutti i fedeli 1053s, 1307, 3059, (3113); è l’autorità suprema in questioni di fede e di costumi, in questioni di disciplina e di guida della Chiesa 3060, 3064, (3307); le disposizioni del Papa non necessitano per essere irrevocabili dell’approvazione della Chiesa 2284, 2490, 3074; è il supremo potere legislativo, amministrativo e penale 1057, 1059, 1061, 1271-1273; non consiste solo in alcuni diritti di riserva (3064), 3113; può dispensare da ciò che la Chiesa universale ha stabilito 1417; è il supremo potere giudiziario della Chiesa 1055, 1128-1135, 2592, 3063; deve essere libero ai fedeli l’appello al Papa 133-135, 639, 641, 861, 3063; non si può rimettere in discussione un suo giudizio 133, 135, 182, 221, 232, 235, 641, 3063; il Papa non è sottomesso al giudizio di nessuno 638, 873, 943, 1056, 1058, 1139; non c’è un appello dalla sentenza del Papa ad un altro giudizio (neppure a un Concilio generale) 641, 1056, 1375, (2935), 3063; è la pienezza del potere di concedere indulgenze 819, 868, 1026, 1059, 1266, 1398, 1416; è indipendente da autorità umana 2596, 2603; è indipendente dall’integrità morale e dalla predestinazione divina del Papa 912, 914, 1158, (1165). I Vescovi ricevono dal Papa la loro autorità 2592; egli precede gli altri Vescovi non solo per il suo posto d’onore, ma anche per il suo potere (giurisdizione - autorità) 661, 811, 861, 1308, 2593, 3067.
Vengono condannate affermazioni circa il rapporto del Papa con gli altri Vescovi 2595, 2597, 2935, 3064; viene difeso il Primato contro il rimprovero di centralismo e assolutismo 3112-3116. La Sede romana, a motivo del Primato di giurisdizione, viene chiamata «madre» o «maestra» di tutte le chiese (particolari) 774, 1616, 1868, 2781. Egli ha potere sui Concilii, che egli stesso convoca, trasferisce, prolunga, scioglie, conferma 398-400, 447, 861, 1309, 1445, 1847, 1850, 2282s, 2329; il Concilio generale non è sopra il Papa 233, 1151, 1309, (2935s). I Vescovi guidano le chiese particolari sotto l’autorità del Papa («dal quale viene loro accordato il potere giurisdizionale ordinario») 1778, 3308s, 3804. Il potere del Papa non pregiudica il potere di giurisdizione dei Vescovi e non può assorbirlo 3061, 3112, 3115, 3310. Vengono condannate affermazioni che espandono i diritti dei Vescovi oltre a ciò che è dovuto 2594, 2606-2608.
Mediante il Magistero non viene aggiunto al deposito della fede nulla di nuovo, ma viene spiegato ciò che fino a quel momento sembrava non chiaro o viene stabilito di ritenere per certo ciò che era discusso 3683; l’assistenza dello Spirito Santo non viene concessa al Papa per annunciare nuove dottrine 3070; oggetto è la dottrina rivelata, il deposito della fede (il giudizio circa il suo vero senso) 1507, 1863, 3012, 3018, 3070. La Chiesa ha autorità d’insegnamento anche nel settore della filosofia 2860s, 2865s, 2910, 3018; nel settore economico e sociale per quanto concerne la delimitazione morale 3725. La Chiesa giudica infallibilmente circa la santità in vista di una canonizzazione 675. Il Magistero precisa e conferma le professioni di fede («come fondamento su cui tutti i fedeli si devono trovare d’accordo») 398, 400, 1500.
Il Magistero sottopone a esame e ad approvazione scritti circa questioni di fede e di morale e condanna libri dannosi 202, 213, 353s, 686, 807, 980, 1851-1861, 2065, 2668. Condanna affermazioni che non concordano con la dottrina della fede e della morale ed impone talora censure teologiche o in generale o in particolare 721-739, 840-844, 891-899, 921-924, 941-946, 951-979, 1028-1049, 1087-1097, 1101-1103, 1110-1116, 1121-1139, 1151-1195, 1201-1230, 1361-1369, 1391-1396, 1411-1419, 1451-1492, 1901-1980, 2001-2006, 2021-2065, 2101-2166, 2170s, 2201-2268, 2281-2285, 2290-2292, 2301-2332, 2351-2374, 2400-2502, 2571-2575, 2601-2685, 2791-2793, 3201-3241, 3401-3465.
La Chiesa non giudica sul sentire o l’intenzione (o «su ciò che è nascosto»), trattandosi di qualcosa di intimo 1814, 2266s, 3318; essa può giudicare solo nel limite in cui il sentire viene manifestato 3318; in questo senso la Chiesa esprime un giudizio sul senso delle parole degli autori 2010-2012, 2020, 2390. Il Magistero procede in maniera solenne, straordinaria quando vuole contrastare errori con maggiore effetto o vuole presentare punti dottrinali più chiaramente e distintamente 3683. Ci sono risoluzioni della Sede apostolica che possono venire mutate in meglio (poteva essere sfuggito qualcosa, eccetera …) 641.
Alcuni casi di censure (con relative qualificazioni), presentate sull’esempio di proposizioni, alle quali in certo modo furono applicate; la proposizione è eretica 951-965, 977s, 1087, 1089-1091, 1093, 1095s, 2001-2005, 2203, 2213-2215, 2241-2253, 2290, 2602-2604, 2615, 2659, 2693; prossima all’eresia (haeresi proxima) 2221, 2223, 2257, 2260s; sa di eresia (haeresim sapiens) oppure sospetta di eresia (suspecta haeresis) 2202, 2204-2210, 2212, 2216-2219, 2231s, 2235s, 2255s, 2258, 2618, 2620, 2622, 2628; scismatica 2606, (2607s), 2693; falsa 1087-1093, 1095-1097, 2004s, 2609-2613, 2616, 2619//2630, 2635-2637, 2640//2653, 2661//2668, 2673-2680, 2682s, 2793; temeraria 2001, 2005, 2170s, 2211, 2214s, 2217-2220, 2223s, 2226s, 2230-2235, 2238s, 2241-2268, 2291, 2331s, 2358, 2360, 2365-2370, 2372, 2609-2614, 2617, 2625-2627, 2630//2648, 2651-2654, 2662//2673, 2676-2679, 2683 2763; erronea 1087, 1089-1091, 1095-1097, 1114s, 2204-2206, 2208-2210, 2213-2219, 2221s, 2224, 2232, 2235, 2241-2253, 2258, 2291, 2351-2357, 2360s, 2363, 2367-2369, 2372s, 2606//2612, 2622, 2628, 2637, 2646s, 2664, 2677s, 2791; scandalosa 1092, 1309, 1391-1395, 2021-2065, 2101-2165, 2206s, 2209-2211, 2214-2220, 2224s, 2230-2252, 2254, 2258-2260, 2263s, 2266, 2291, 2357, 2360, 2362, 2369-2371, 2619, 2634, 2643, 2664, 2668, 2673s, 2678, 2681, 2791s; blasfema 2001, 2005, 2210, 2214s, 2241-2253, 2260; empia 1309, 2001, 2005, 2619; offensiva per le pie orecchie (piarum aurium offensiva) 2206, 2230, 2258, 2291, 2358, 2368, 2633, 2642s, 2662, 2671, 2678; malsonante (suona male) 2354-2356, 2373, 2644, 2665; nociva (perniciosa) 2352, 2364, 2367, 2612, 2614, 2623, 2625, 2629s, 2637, 2639, 2644, 2646, 2649, 2662, 2664s, 2670, 2678, 2680, 2692.
II Papa è il maestro supremo della Chiesa 1307, 3059, 3068, 3074; la sua autorità dottrinale viene per lo più rivendicata assieme al Primato 181s, 217, 221, 235, 343, 353, 365, 1064, 3065-3073, 3074s; viene riconosciuta da Concilii e Sinodi 218, 306, 398-400, 402, (444), 664, 1848; perciò la Chiesa romana (la Sede romana) viene chiamata «maestra» 774, 1850, 1868. Il Papa ha il diritto: - di definire questioni di fede e morale 861, 3067, 3885; - di giudicare o di spiegare, in caso di controversie, le risoluzioni dei Concilii 447, 1840s, 3067. Nel Papa bisogna distinguere tra il maestro della Chiesa universale e il dotto privato che può favorire una opinione tra le tante permesse 2565. Non si possono rimettere in discussione o discutere liberamente le disposizioni del papa («quando egli prende posizione espressamente»), né è permesso il loro rifiuto 182, 217s, 221, 232, 235, 343, 353, 2331, 3885; non ha valore la concezione di Agostino contro l’insegnamento del Papa 2330. Viene accentuata l’autorità delle Congregazioni della curia 2880, 2912, 3408, 3503.
Il Magistero perviene a un giudizio soprattutto mediante l’aiuto di Concili e Sinodi 3069. L’autorità dei Concilii generali: - viene sottolineata 343, 352, (364), 517s, 521s, 550, 575, 587, 1869, 2526-2539; -: viene riconosciuta e ci si appella ad essa 402, 412, (433), 436-438, 444, 472, 548, 640, 652, 686, 1986s. Un Concilio generale o ecumenico rappresenta l’intera Chiesa 1247s; non è però al di sopra del Papa («non ci si può appellare ad esso contro il Papa») 233, 1151, 1375, (2935s), 3063; non c’è mai un Concilio ecumenico se non è stato confermato o almeno accettato come tale dal successore di Pietro; ciò che un Concilio generale stabilisce in questioni di fede e morale deve venir accolto da tutti 1248-1251; vengono condannate affermazioni sulla possibilità di essere di altra opinione 587, 1479. Sinodi diocesani o nazionali: vengono condannate affermazioni che esagerano l’autorità di un Sinodo diocesano o nazionale 2609-2611, 2693, 2936. Un Sinodo particolare non può dare un giudizio su un Concilio generale 447; viene condannata la proposizione: «le decisioni di un Sinodo nazionale non permettono ulteriori discussioni» 2936.
I Papi ed i Concilii si richiamano all’illuminazione dello Spirito Santo 102, 265, 444, 631, 702, 707, 1151, 1500s, 1600, 1635, 1667, 1726, 1738, 1820, 1848. Alla chiesa (in generale) viene attribuita l’infallibilità 2922, 3020; vengono condannate le proposizioni che anche solo implicitamente affermano che la Chiesa si sia allontanata dalla fede [cioè imputazioni a motivo di ingiusta condanna di articoli, a motivo di ingiusta scomunica e a motivo di presunto oscuramento di verità] 1225, 1480, 2491-2501, 2601, 2612-2614. Per la Sede apostolica viene reclamata l’intatta tutela della fede 363, 775, 1064, 1807s, 2329, 2923, 3006. Al Papa spetta l’infallibilità (221, 353), 2329s, 2539, 2781, 3069s, 3074s. Natura e condizioni dell’infallibilità; il dono dell’infallibilità consiste non in una nuova rivelazione, ma nell’assistenza dello Spirito Santo affinché la Rivelazione trasmessa mediante gli Apostoli venga custodita ed interpretata con fedeltà 3070, 3074, (3116). Il Papa è infallibile solo quando nell’esercizio della sua autorità come maestro di tutti i credenti, ossia «ex cathedra» prende decisioni circa questioni di fede e di costumi 3074; l’infallibilità del Magistero della Chiesa non si estende solo al deposito della fede, ma anche a ciò, senza il quale questo deposito non può venire custodito e presentato in maniera corretta. L’infallibilità è legata alla dottrina della Sacra Scrittura oppure alle definizioni già avvenute 3070, 3074, 3116; l’infallibilità non si riferisce alle azioni di governo (es. politiche) del Papa 3116. Le solenni definizioni del Papa sono per sé inoppugnabili, indipendenti dall’approvazione della Chiesa 3074. Il dono dell’infallibilità non esonera il Papa dal poter fare riflessioni e indagini, come pure di chiedere il consiglio di altri 182, 810, 844, 899, 904, 924, 930s, 1848, 2011.
Il riconoscimento delle infallibili decisioni dottrinali viene richiesto: - in generale 2020, 2390, 2875-2880, 3020, 3625, 3884s; - anche per i punti dottrinali che nel generale e costante consenso dei cattolici valgono come verità teologiche e conclusioni certe 2880; per le dottrine filosofiche 2860s, 2865s, 2910, 3018. Esempi di sottomissione e di ritrattazione da parte di autori 807, 980, 990s, 2351, 2751, 2811, 2828. Vengono condannate le affermazioni che contrastano l’autorità dottrinale della Chiesa 1477-1480, 3401-3408. Si deve fede divina e cattolica a tutto ciò che viene presentato da credere come rivelato da Dio in solenni decisioni o in forza del Magistero ordinario ed universale 2879, 2922, 3011, (3885). Con il silenzio obbedienziale non si presta quanto è dovuto ai decreti dottrinali 2390; si deve essere legati con l’obbedienza della fede (ossia se non si obbedisce non si ha la medesima fede) a quanto stabilito in un Concilio ecumenico dai Vescovi riuniti (intorno al Papa e con la sua approvazione) come maestri e giudici della fede 1248-1251. Si deve assenso anche ai documenti dottrinali presentati non come infallibili (nella misura in cui non trattano di una materia infallibile per altre decisioni) 2922, 3407, 3885. Un decreto dottrinale che può sembrare ad alcuni dubbio, deve essere sempre compreso nel senso secondo cui l’asserto è vero 1407.
A cura di Carlo Di Pietro
APPENDICE: Voglio ricordare i precedenti scritti, inerenti l’argomento, già pubblicati su Sursum Corda: «Comunicato numero 17. Del Magistero Infallibile del Romano Pontefice»; «Comunicato numero 36. L’infallibilità della Chiesa e del Romano Pontefice»; «Comunicato numero 35. Che cos’è la Tradizione? Ovvero se si possa osservare la Tradizione andando contro il Magistero»; «Infallibilità, canonizzazioni ed imitazione del Santo»; «San Giovanni Bosco e il dogma dell’infallibilità». Soprattutto in questi luoghi se ne è già parlato, tuttavia abbiamo anche studiato, per argomenti, la «Pastor Æternus» e la «Dei Filius». Invito alla lettura.