[Premesse sulla vera religione e sull'ordine sociale] Dicono di più gli increduli che la rivelazione divina sarebbe contraria alla pace delle repubbliche, poiché ella vieterebbe alla Chiesa di tollerare altra religione che non segua la rivelazione; e ciò sarebbe cagione di mille sedizioni e discordie tra i popoli. Quindi non possono soffrire il dogma evangelico, che fuori della Chiesa cattolica non vi è salute. Ecco come scrive il Rousseau (Emil. t. 3. p. 172): "A Dio non piaccia ch'io predichi giammai agli uomini i dogmi crudeli dell'intolleranza, e che li porti a detestare il loro prossimo, dicendo agli altri; voi sarete dannati". Aggiunge nello stesso luogo: "L'intolleranza è un dogma orribile, che arma gli uni contro gli altri, e li rende nemici del genere umano". Sicché vorrebbero i deisti che dalla nostra Chiesa cattolica si permettesse una tolleranza ecclesiastica, con cui si facesse credere ai popoli, "che ogni uomo dabbene, in qualunque religione che viva, possa salvarsi": così parla il nominato Rousseau nella lettera alla pag. 86.
Dicono che la religione deve riguardarsi come una legge nazionale, una legge di pura politica esteriore (siccome scrive lo stesso Rousseau nella citata lettera), la quale in conseguenza non obbliga, che sino a quando si dimora nel paese ove una tale legge è in vigore. Bella regola di credere e di operare! Da questa ne seguirebbe, che un cristiano, se dimora presso i cristiani, deve credere che Gesù Cristo sia figlio di Dio, e Salvatore del mondo: se presso i turchi, deve credere che Gesù Cristo non sia che un misero precursore di Maometto: se presso i giudei, un impostore e seduttore. Ma tutta questa credenza sarebbe esterna, poiché secondo i deisti internamente ognuno può credere quel che vuole; ed ecco, col dogma della tolleranza, aperta una pubblica scuola d'ipocrisia, abominata dagli stessi gentili, i quali dopo aver costretto i cristiani per via di tormenti a rinunziare alla fede, li deridevano poi e li disprezzavano, se quelli per debolezza la rinnegavano. Oltreché, fondandosi la tolleranza secondo i deisti sulla ragione dell'interesse dello stato e della polizia del governo, ne segue che, cambiandosi col tempo le ragioni dell'interesse e della polizia, si cambierà insieme il dogma della tolleranza; onde quei che prima dovevano tollerarsi, col tempo poi non si potranno più tollerare. Sicché il dogma, dagl'increduli giudicato essenziale alla religione per il bene comune della pace, sarà col tempo una legge variabile? Dunque i dogmi essenziali della religione anche sono variabili?
Ma non può negarsi, essi replicano, che molte guerre e sedizioni, avvenute specialmente in più regni di Europa, sarebbero avvenute, perché la Chiesa cattolica non avrebbe voluto tollerare coloro che seguivano altra religione. Ma di queste sedizioni e guerre, si domanda, chi n'è stata la cagione? Forse Gesù Cristo col riprovare la tolleranza, come espressamente egli la riprovò, quando ordinò ai suoi apostoli che predicassero il vangelo per tutta la terra, dichiarando che chi non l'avesse creduto sarebbe condannato: "Praedicate evangelium omni creaturae. Qui crediderit, et baptizatus fuerit, salvus erit; qui non crediderit condemnabitur" (Marc. 16. 16). Ed ordinò che chi non si uniforma alla Chiesa sia tenuto come infedele. "Si ecclesiam non audierit, sit tibi tanquam ethnicus et publicanus" (Matth. 18. 17). No, che non è stato Gesù Cristo, né la Chiesa la cagione delle guerre e sedizioni; sono stati i nemici della verità, che è insegnata dalla Chiesa, col volersi separare da quella e dalle sue dottrine. La religione che professa la nostra Chiesa, col vietare i peccati e promuovere i buoni costumi, promuove insieme la pace comune. Questa è una verità che chiaramente si prova con l'esperienza: in quei regni, ove più si osserva l'ubbidienza alla chiesa, ivi più si vede regnare la pace. Confessa lo stesso Rousseau (Emil. t. 3. p. 182) e dice: "I nostri governi sono debitori incontrastabilmente al cristianesimo della loro autorità più solida e delle rivoluzioni meno frequenti e dell'esser renduti meno sanguinarj. Ciò si prova col fatto, comparandoli agli antichi governi. La religione meglio conosciuta, togliendo via il fanatismo, ha dato più di dolcezza a' costumi cristiani. Questo cambiamento non è l'opera delle lettere, poiché ovunque hanno elleno fiorito, l'umanità non è stata più rispettata; le crudeltà degli ateniesi, degli egizi, degl'imperatori di Roma e della Cina ne fan piena fede. Quante opere di misericordia ha operate il vangelo! Quante restituzioni e riparazioni fa la confessione presso i cattolici!". Si aggiunga alla confessione del Rousseau quella dell'autore dello spirito delle leggi (L. 24. c. 3) che mi giova qui ripetere: "Cosa ammirabile! la religione cristiana, che non sembra avere altro obbietto che la felicità dell'altra vita fa ancora qui la nostra felicità!". Ed anche è ammirabile che quest'autore (il signor Montesquieu) confessi questa massima del vangelo, mentre scrive nella sua opera (L. 24. parte 10), che gli stoici erano puri atei: e poi dice che la distruzione degli stoici è stata una delle disgrazie del genere umano: dunque la distruzione degli atei è stata una delle disgrazie del genere umano?
[Ottenere e conservare la vera pace] Ma dicono i deisti, che per mantenere la pubblica tranquillità non è necessaria la religione rivelata, ma basta lo stabilire ciascuno nei suoi doveri. Oro io domando, per quali mezzi si stabilisce ognuno nei suoi doveri? La religione naturale coi soli suoi lumi naturali non basta, come già provammo da principio nel §. I., mentr'ella neppure è sufficiente a far conoscere all'uomo i propri doveri a causa del peccato che talmente ha oscurato la nostra mente, che senza la luce della rivelazione spesso ci fa travedere i nostri obblighi; ed anche quando li vediamo, le tentazioni e le passioni spesso ci fanno preferire il male al bene. E pertanto ci è necessaria la divina grazia, acciocché prima conosciamo i nostri doveri, e poi coll'aiuto della grazia possiamo adempirli. Se la religione rivelata non recasse altro bene, che di metter l'uomo in sistema di vivere ordinatamente, solamente per questo solo buono effetto della pace comune dovrebbe da tutti abbracciarsi. La infelicità delle repubbliche da che nasce, se non dal disordine dei particolari? Perché ciascuno non attende che al proprio interesse e piacere, perciò non vi è chi procuri il bene comune; e da ciò ne avviene poi la comune inquiete. La religione rivelata all'incontro, poiché mette ordine a tutti gli stati delle persone, perciò apporta la comune quiete. Replicano i deisti, che a tale effetto vi sono i mezzi naturali, come sono le leggi, ile pene ed il buon governo, i quali bastano a frenare l'audacia dei libertini. Ma no, che senza il freno della religione nessuno di questi mezzi è bastante a correggere i viziosi e specialmente gl'increduli: essi non ascoltano altro che i loro appetiti, e nell'occasione di poterli soddisfare disprezzano tutto, leggi, pene e sovrani. Le leggi giovano sì bene a conservare i buoni costumi negli uomini morigerati, ma non li formano nei cattivi; la sola religione rivelata forma i buoni costumi, e fa che poi le leggi siano tutte osservate. Dice addirittura il clero protestante che se non vi fosse la religione, la quale insegna esservi un giudice sovrano che vendica le infedeltà, rare volte gli uomini osserverebbero le promesse, onde senza questo timore gli empi crescerebbero in eccesso. Neppure bastano le pene minacciate dalle leggi a moderare le insolenze dei discoli che disturbano la pubblica pace; essendoché spesso i delitti restano impuniti, o per essere occulti, o perché mancano le prove sufficienti a poterli punire; e non rare volte, benché sian provati i delitti, i delinquenti colla fuga si liberano dalla pena. Il medesimo clero scrive così: La massima parte degli uomini non è capace di ben operare per la sola mira del pubblico bene; l'interesse particolare si trova quasi sempre opposto all'interesse comune: il solo timore dei castighi divini mette freno ai disordini. E quindi avveniva (dice il Barbeyracco) che i sadducei, perché negavano l'immortalità dell'anima, erano nemici della società.
[Contro il germe della Rivoluzione] Parlando poi del buon governo, non si nega che il buon governo dei principi molto conferisce alla felicità dei popoli; ma la sola religione è quella che stabilisce la felicità comune; ella sola mette il giusto ordine tra i sovrani ed i sudditi; e quest'ordine poi è quello che produce la pubblica pace. La religione fa intendere ai sudditi, che ogni podestà è da Dio: "Non est enim potestas nisi a Deo"(Rom. 13. 1). Sicché i principi son ministri dello stesso Dio: "Ministri enim Dei sunt, in hoc ipsum servientes" (Ib. vers. 6). E perciò i sudditi son tenuti ad ubbidirli, non solo per timore delle pene, ma anche per obbligo della coscienza: "Ideo necessitate subditi estote non solum propter iram, sed etiam propter conscientiam"(Vers. 5). Ed aggiunge san Pietro, che debbono ubbidire non solo ai sovrani pii, ma anche ai discoli ed infedeli: "Servi, subditi estote in omni timore dominis, non tantum bonis et modestis, sed etiam dyscolis"(1. Petr. 1. 18). All'incontro la religione fa sapere ai sovrani, che se essi abusano della loro autorità nel governo dei popoli, hanno da renderne strettissimo conto a Dio: "Quoniam data est a Domino potestas vobis... qui interrogabit opera vestra, et cogitationes scrutabitur" (Sap. 6.). Onde il loro giudizio sarà rigorosissimo: "Quoniam iudicium durissimum his, qui praesunt, fiet"(Ib. v. 6). Sicché la religione conserva l'ubbidienza e la fedeltà dei sudditi, e raffrena la cupidigia e la tirannia dei sovrani. Gl'increduli poi con le loro perniciose massime si oppongono così alla moderazione dei principi nel comandare, come alla sommessione dei sudditi nell'ubbidire; giacché essi, non avendo stima di Dio, neppure l'hanno dei sovrani [Sant'Alfonso descrive queste dinamiche che, purtroppo, esonderanno, poi, con la Rivoluzione francese ed altrove, ndR]. Ecco come scrive l'empio Giovanni Rousseau dalla sua montagna nello stesso suo libro dell'Emilio, parlando della soggezione ai sovrani: "Quando tutti i re fossero tolti, le cose non andrebbero peggio; perocché sempre la moltitudine sarà sacrificata ad un piccolo numero (intende dei principi), e l'interesse pubblico all'interesse particolare; e sempre questi speciosi nomi di giustizia e di subordinazione serviranno di strumento alla violenza e di armi all'iniquità. Onde ne segue che gli ordini distinti, i quali si pretendono utili agli altri, non sono effettivamente utili che a loro stessi a spese degli altri". Soggiunge: "La suprema potestà è da Dio, come da Dio ogni morbo pestilenziale proviene: così gli uomini son tenuti a scansare quella, come fanno tutto per preservarsi da questo". Dice inoltre: "Il principato non serve ad altro che a spogliar crudelmente l'uomo del meglio che ha ricevuto dalla natura; mentre da libero che nasce è posto miseramente fra i ceppi. Il principe giova al popolo, come il lupo agli armenti, buono solo per divorarli". Termina dicendo: "Il cattolicesimo è vizioso, per esser troppo favorevole alla tirannia". Questo infame libro fu condannato dall'arcivescovo di Parigi nel suo editto dell'anno 1762. Ma si noti qui il temerario spirito di libertà e seduzione [pillole velenose di Rivoluzione e comunismo, ndR], che promuovono i deisti nei popoli contro la soggezione che debbono ai loro sovrani. Pretendono essi insomma stabilire la pubblica tranquillità con indurre i sudditi a sottrarsi dall'obbedienza dei principi e delle loro leggi.
[Contro il germe del Comunismo] Dicono inoltre gl'increduli, che per stabilire la comune felicità nei popoli sarebbe necessario mettere fra tutti l'uguaglianza dei beni. Dunque, domando, col rendere tutti gli uomini eguali nel possesso dei beni, ne gioverebbe la comune felicità? Io dico che da ciò ne avverrebbe la comune infelicità, e lo provo. Se tutti fossero eguali nelle ricchezze e negli onori, tutti sarebbero infelici; perché il ricco non avrebbe chi lo servisse nei bisogni della vita umana: come potrebb'egli venir provveduto di vesti, di cibi, di mobili e di tante altre cose necessarie alla vita? Ciascuno, per esserne provveduto, dovrebbe saper fare tutte le arti. E se ognuno poi dovesse faticare manualmente per cibarsi, per vestirsi e per ogni altra cosa che gli bisognasse, chi potrebbe attendere a studiare i libri, a scrivere delle scienze necessarie a ben vivere [es. la medicina, ndR] ed a ben intendere le scritture sagre? Chi potrebbe occuparsi ad esaminare e giudicar le cause nei tribunali? Qual uomo poi vorrebbe soggettarsi a servire un altro, se fosse egualmente provveduto di beni e di onori? E così l'ignorante non troverebbe chi lo ammaestrasse, l'infermo non troverebbe chi lo medicasse, e chi per qualche disgrazia avesse perdute le sue robe, non avrebbe a chi ricorrere che lo soccorresse: dovrebbe ricorrere al principe, procurare mezzi per ottenere il di lui favore; e frattanto come farebbe? La religione è quella, che ponendo ordine a tutti i bisogni umani, fa che il ricco sovvenga il povero, il povero serva al ricco, il dotto istruisca l'ignorante, etc... Ed ecco in tal modo ciascuno è sovvenuto nelle proprie necessità, ed è dato senso a tutte le ineguaglianze, poiché questi scambievoli soccorsi bastantemente compensano l'ineguale distribuzione dei beni, e formano la pubblica tranquillità. Ciò sia detto di passaggio, ma torniamo al punto dell'intolleranza.
[Contro il velenoso Relativismo] Abbiamo provato già, che non è l'intolleranza la cagione delle guerre e sedizioni; ma dato per vero, com'è affatto falso, che l'intolleranza delle religioni separate dalla cattolica cagionasse discordie, perciò la Chiesa dovrebbe ammettere l'errore ed avere comunicazione con coloro che rifiutano la religione vera? Se vi è Dio, vi deve essere la religione vera, che insegni la vera fede, con la quale Iddio ci faccia conoscere le verità che dobbiamo credere ed i precetti che dobbiamo osservare. E se vi è Dio (cosa che già non si nega dai deisti, perché la stessa ragione naturale ce lo dimostra), essendo questo Dio l'ente supremo e perfettissimo, non può essere altro che uno, e per conseguenza la fede non può essere altra che una, come scrive san Paolo: "Unus Dominus, una fides, unum baptisma" (Ephes. 4. 5), Le religioni dunque diverse, che tengono diversi dogmi di fede affatto opposti tra di loro, non possono esser tutte vere, ma una sola ha da esser la vera, mentre la verità non può esser che una. Ora se la rivelazione divina, che solamente nella religione cristiana si conserva, è assolutamente necessaria (siccome si è provato) alla nostra eterna salute, come possiamo noi tollerare altre religioni, la gentile, la maomettana, la giudaica o altre simili, che negano la divina rivelazione?
[Contro il pestilenziale Pancristianesimo] E se noi cattolici, i quali crediamo che fra le religioni cristiane la sola cattolica è la vera, per la ragione incontrastabile ed evidente che l'assiste, cioè perché (secondo quanto ho scritto nell'opera della Verità della fede part. III. cap. 6. n. 5. e nella dogmatica Contro i riformati tratt. XIII. per tutto) la cattolica è stata la prima Chiesa fondata da Gesù Cristo (cosa che non la negano neppure gli stessi novatori), e il medesimo Salvatore le ha promesso la sua assistenza sino alla fine del mondo: "Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi"(Matth. 38. 20). Ed ha dichiarato che ella non sarà mai abbattuta dalle porte dell'inferno, che sono l'eresia: "Portae inferi non praevalebunt adversus eam"(Matth. 16. 18). Posto ciò, come la nostra religione cattolica può tollerare le altre che insegnano dottrine tutte contrarie a quelle che essa tiene? Che un ateo tolleri tutte le religioni, ben s'intende, perché l'ateo nulla credendo, nulla [dovrebbe] riprova[re, ndR]; ma chi crede alla religione rivelata da Dio, non può giammai tollerare alcuno errore da quella riprovato.
[Contro il menzognero Ecumenismo] Per evitare la forza di questa verità, i riformati con la scorta del signor Iurieu hanno inventato la distinzione degli articoli fondamentali e non fondamentali [invenzione che oggi, nel 2016, devono tenere tutti gli ecumenisti col fine di tentare, vanamente, di reggere in piedi il loro costrutto di cartapesta, ndR]. Non neghiamo, che i punti teologici circa le verità sopranaturali non tutti sono fondamentali, molti di loro sinora sono anche controversi tra i dottori [solo le dichiarazioni di Magistero pongono fine a determinate controversie, ndR], e finché non sono decisi dalla Chiesa per fondamentali, non siamo tenuti a seguire alcuna delle parti. I fondamentali dunque sono quelli che già sono stati determinati dalla Chiesa, la quale secondo l'apostolo è la colonna ferma della verità: "Scias quomodo oporteat te in domo Dei conversari, quae est ecclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis" (1. Timoth. 3. 15). E questi punti fondamentali già decisi, siamo tutti obbligati a tenere per certi. Nell'antica Alleanza poteva alcuno salvarsi fuori della legge ebraica, osservando i precetti naturali, come si salvò Giobbe con più altri, secondo quanto è ritenuto, con la credenza di un Dio rimuneratore e con la fede almeno implicita del Redentore [Nostro Signore Gesù Cristo, ndR] futuro: ma Gesù Cristo nella nuova alleanza ha stabilito per tutti la fede, che deve tenersi per conseguire la salute eterna; poiché solo in Gesù Cristo si trova la salute: "Non est in aliquo alio salus" (Act. 12). Sicché questa Chiesa di Gesù Cristo è l'unica vera, fuori di cui non vi è salute.
[La Chiesa cattolica odiata da tutti i nemici di Gesù] I deisti all'incontro, e parimente i protestanti, tollerano tutte le religioni, fuorché la cattolica, e così in sostanza non ne ammettono veruna, e si dichiarano nemici di Gesù Cristo, il quale disse: "Qui non est mecum, contra me est; et qui non colligit mecum, dispergit" (Luc. 11. 23) - Chi non è con Me è contro di Me .... Quindi l'apostolo ammoniva i suoi discepoli a rifiutare ogni dottrina diversa da quella ch'egli aveva loro insegnata, ancorché fosse venuto un angelo dal cielo ad annunziarla: "Sed licet vos, aut angelus de coelo evangelizet vobis, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit" (Gal. 1. 8) - SIA ANATEMA!. Adducendone la ragione, perché tale dottrina l'aveva appresa per rivelazione di Gesù Cristo: "Neque enim ego ab homine accepi illud neque didici, sed per revelationem Iesu Christi" (Vers. 12). E lo stesso scrisse san Giovanni: "Si quis venit ad vos, et hanc doctrinam non affert, nolite recipere eum in domum, nec ave ei dixeritis" (2. Ep. n. 10) ["Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo". Questo preciso passo sarà ricordato anche da Papa Pio XI nella sua Mortalium Animos, che ripubblicheremo amDg sul numero 27 di Sursum corda, contro l'Ecumenismo e contro i Raduni ecumenici, ndR]. Come dunque può stimarsi irragionevole l'intolleranza della Chiesa cattolica romana, allorché separa da sé coloro che seguono altra dottrina? Ma perché poi, dicono, la Chiesa romana condanna chi non è della sua comunione? La Chiesa non lo condanna, ma giustamente con la scomunica lo divide dal suo corpo, per ubbidire a Gesù Cristo che ordina: "Si autem ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus" (Matth. 18. 17) - [... e se non ascolterà neanche la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano, ndR].
[Contro i Raduni ecumenici per la falsa pace] Ma dicono: Iddio vuole la pace comune. E chi lo nega? ma non la vuole con discapito della sua fede; Egli ch'è il Principe della pace, la vuole, e ci comanda di conservarla con noi e cogli altri: "Inquire pacem, et persequere eam" (Ps. 33. 15). Ma di qual pace intende parlare il Signore? Parla della pace vera, che si acquista e si mantiene coll'esercizio delle virtù: "Fiat pax in virtute tua"(Oseae 6. 7). Parla di quella pace che si ottiene [solo, ndR] con lo stare unito con Dio e col prossimo; e questa ci conduce poi alla felicità eterna. Non parla già della pace falsa, che si suppone ottenersi col tollerare coloro che vogliono credere ed operare a loro piacere contro quello che Dio ha rivelato; questa è la pace degli empi che dormono nella lor perdizione; questa pace di morte non la vuole il nostro Salvatore, ma Egli è venuto a discacciarla dalla terra: "Nolite arbitrari (disse), quia pacem venerim mittere in terram: non veni pacem mittere, sed gladium" (Matth. 10. 34) - [Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada, ndR]. San Luca (12. 51) invece di "gladium" scrisse "separationem"; sicché Gesù Cristo è venuto a separare gl'infedeli dai fedeli, acciocché i fedeli non si perdano col comunicare con gl'infedeli, come spiega (Verso 58) lo stesso san Luca, dicendo: "Cum autem vadis cum adversario tuo ad principem, in via da operam liberari ab illo, ne forte trahat te ad iudicem, et iudex tradat te exactori, et exactor mittat te in carcerem". Ecco il precipizio, al quale conduce la tolleranza col comunicare coi nemici della fede.
[Conclusione] Gian Leonardo Froereisen in una orazione detta e stampata in Argentina nell'anno 1743, essendo rettore di quella università, piange lo stato di molte chiese della comunione augustana, e dice: "La nostra comunione pare un'armata, ove ciascuno vuol far da capo; ella è un serpe tagliato in più parti, le quali vivono, ma presto perderanno la vita". Ecco la bella tranquillità che nasce dalla tolleranza! Inoltre dalla tolleranza, che i riformati [i Protestanti dai cui velenosi insegnamenti si spargerà nei secoli il germe della Rivoluzione, fino alla moribonda e deprimente società contemporanea, ndR] si sono posti a predicare nei loro libri, che n'è avvenuto? Che si è posto in dimenticanza il dogma, e così poi si è introdotto il deismo e l'ateismo, poich'è facilissimo il passare dal deismo all'ateismo, contro cui poi hanno cercato di scrivere con molto calore essi riformati; ma debbono confessare che a tal precipizio essi hanno dato la spinta, con promuovere la libertà di pensare in materia di religione, in modo che ora per quanto si affaticano, non possono più rimediarvi.
[Per dovere di testimonianza della vera fede, così per obbligo morale, il curatore del presente articolo informa i lettori che i documenti del cosiddetto Vaticanosecondo dai titoli: Unitatis redintegratio, Nostra Aetate, Gaudium ed Spes e Dignitatis Humanae, a volte con proposizioni spregiudicate, altre volte dietro elaborati sofismi, in alcuni casi ammettendo e poi negando, contraddicono nella sostanza tutto quanto è stato qui enunciato da sant'Alfonso Maria de' Liguri, il quale, al contrario, si è rigorosamente attenuto al dogma cattolico (cf. Denzinger, EDB, pp. 974; cf. Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione, II, 28, § 2; Decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 18 maggio 1803 circa l’esame delle sue opere; Risposta della Santa Penitenzieria all’arcivescovo di Besançon, 5 luglio 1831; Risposta al “confessore dubbioso”, confermata dal Papa il 22 Luglio 1831; Bolla di canonizzazione Sanctitas et doctrina del 26 maggio 1839; Gregorio XVI, Acta, a cura di A.M. Bernasconi 2, 305a-309b; Decreto Inter eos qui del 23 marzo 1871, che gli conferisce il titolo di «dottore della chiesa»; Pio IX, Acta, 1/V, 296-298; ecc …) ed al comune insegnamento della Chiesa a riguardo (lo impareremo adeguatamente studiando domenica 25 settembre 2016 la Mortalium Animos di Papa Pio XI). Chi non vuol credere a questa precisazione, creda almeno ai fatti, alla storia, ndR].
Tratto da Sant'Alfonso Maria de' Liguori, Riflessioni sulla verità della Divina Rivelazione, Cap. III. La divina rivelazione non si oppone alla pubblica tranquillità. Curatore dell'articolo CdP (Centro Studi Vincenzo Ludovico Gotti).