• Nella Congregazione del Santo Ufficio dell’anno 1673, trattando di questo capitolo della disciplina, fu deliberato un decreto di questo tenore: «Nella Congregazione Generale del Santo Ufficio del giorno 7 giugno 1673. Alla domanda se un Sacerdote di Livorno poteva far menzione nella Messa del Patriarca degli Armeni pregando per lui, pur essendo scismatico; e lo si chiede con insistenza affinché quella Nazione possa stringere con sempre maggiore affetto l’amicizia con i Latini: la Sacra Congregazione rispose che non si poteva, e doveva essere assolutamente proibito».
• «Nella stessa Congregazione, il 20 giugno 1674, dopo la lettura della comunicazione del R. P. D. Nunzio a Firenze, scritta il 10 aprile 1674 alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, e da questa trasmessa alla Sacra Congregazione del Sant’Ufficio, fu decretato di rispondere allo stesso Nunzio che, quanto a pregare nella Sacra Liturgia per il Patriarca degli Armeni, la Sacra Congregazione restava fedele al decreto emanato nell’anno 1673, che cioè non si poteva e che era assolutamente proibito».
• È dello stesso tenore il simile Decreto della Congregazione per la correzione dell’edizione del Messale dei Copti, tenutasi nell’anno 1732, ove fra gli altri dubbi proposti, ci fu anche questo: «Se e come si debbano emendare quelle parole con le quali il Sacerdote fa menzione del Patriarca, del Vescovo, ecc...». La risposta è stata questa: «All’inizio del Messale si ponga la rubrica nella quale viene istruito e ammonito il Sacerdote, riguardo alle cose che deve osservare nella celebrazione della Messa; fra queste una rubrica speciale sulla menzione del Romano Pontefice, nonché del Patriarca e del Vescovo, se sono uniti alla Chiesa di Roma; altrimenti si ometta la loro citazione; e questa rubrica sia ripetuta nel luogo appropriato».
Infatti gli eretici e gli scismatici sono soggetti alla censura di una speciale scomunica per la legge Can. De Liguribus (23, quest. 5), e del Can. Nulli (5, dist. 19). I Sacri Canoni della Chiesa vietano di pregare pubblicamente per gli scomunicati, come si legge nel A Nobis (cap. 4, n. 2) e nel cap. Sacris, De Sententia Excomunicationis. Quantunque niente vieti che si possa pregare per la loro conversione, tuttavia non si deve permettere che i loro nomi siano pronunciati nella preghiera solenne del Sacrificio.
• Tutto questo concorda con l’antica disciplina, della quale tratta Estius nel Delle Sentenze (4° libro, dist. 12, § 15). A tal fine è sufficiente pregare con la mente e col cuore Dio Ottimo Massimo, che si degni di riportare gli erranti nel seno della Santa Madre Chiesa, come pure afferma Silvio nel suo Commento alla 3a parte di San Tommaso (tomo 4, quest. 83, art. 1, quest. 9). Questa è anche l’opinione dello stesso San Tommaso d’Aquino (4° Sent., dist. 18, quest. 2, art. 1), in risposta al primo quesito: «Si può pregare per gli scomunicati, ma non con le Orazioni che si fanno per i membri della Chiesa».
• Non è necessario, per soddisfare questo dovere di cristiana carità, sconvolgere le leggi della Chiesa, che esclude dal novero dei suoi fedeli i nomi di coloro che si sono separati dalla sua unità e dalla sua obbedienza; proibendo di pregare pubblicamente per essi, essa esclude la loro menzione dalla Liturgia della Messa, che è una preghiera pubblica. Per questo il venerabile Cardinale Bellarmino nelle sue Controversie (tomo 3, lib. 6, De Missa, cap. 6), scrive egregiamente, a proposito del nostro argomento: «Qualcuno può chiedere se è lecito in questi tempi offrire il Santo Sacrificio per la conversione degli eretici e degli infedeli. Un motivo di dubbio deriva dal fatto che tutta la Liturgia della Chiesa Latina, come è in uso, si riferisce ai fedeli, come si evidenzia dalle preghiere di offerta, sia nel Canone, sia fuori di esso. Rispondo: Sono persuaso che questo è lecito, purché non si aggiunga nulla alla Messa; ma solamente nell’intenzione del Sacerdote si applichi il Divin Sacrificio per la conversione degli infedeli e degli eretici. Ciò infatti compiono tutti gli uomini pii e dotti: e non li possiamo riprendere per questo, poiché non esiste alcuna proibizione espressa della Chiesa».
[da Papa Benedetto XIV, Ex quo primum, 1° marzo 1756].
Cosa impariamo? Che è totalmente erronea e fantasiosa la dottrina di Mons. Lefebvre e dei cosiddetti Lefebvriani, i quali sostengono che le citazioni dei nomi del Romano Pontefice e del Vescovo diocesano durante la Messa - benché a loro palese dire eretici o comunque rei de facto di scisma - sarebbero una lecita preghiera per la loro fede, affinché questi si convertano al cattolicesimo. Qualcosa di assurdo e parimenti blasfemo! Al contrario, come abbiamo chiaramente appreso, la Chiesa comanda che non è lecito e non è permesso, in alcun modo, di menzionare quei nomi, di chi ritenuti dagli stessi celebranti eretici o scismatici, nelle preghiere pubbliche della Chiesa, soprattutto nella Santa Messa. Quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele?
Approfondimenti: - Benedetto XIV: Motivi della citazione del Romano Pontefice durante la Messa; - Comunicazione nelle cose sacre o communicatio in sacris