Articolo 1
IIª-IIae q. 30 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il male non sia propriamente il movente della misericordia. Infatti:
1. Come sopra vedemmo, la colpa è un male più grave della pena. Ma la colpa non provoca alla misericordia, bensì allo sdegno. Dunque non è il male che provoca alla misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 1 arg. 2
2. Le cose crudeli e orribili si presentano come un eccesso di male. Ora, il Filosofo afferma: "Ciò che è orribile è diverso da ciò che è miserevole, ed elimina la misericordia". Perciò il male in quanto male non muove alla misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 1 arg. 3
3. Le descrizioni dei mali non sono veri mali. Eppure codeste descrizioni provocano alla misericordia, come nota Aristotele. Dunque il male non è il movente appropriato della misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Damasceno insegna che la misericordia è una specie di tristezza. Ma il movente della tristezza è il male. Quindi è il male che muove alla misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 1 co.
RISPONDO: Come scrive S. Agostino, "la misericordia è la compassione del nostro cuore per l'altrui miseria, che, potendolo, siamo spinti a soccorrere": infatti misericordia deriva dall'avere un cuore misero (o triste) sull'altrui miseria. Ora, la miseria si contrappone alla felicità. E nel concetto di felicità, o di beatitudine, è inclusa l'idea che uno riesca ad avere quello che vuole: infatti, come S. Agostino insegna, "felice è colui che ha tutto ciò che vuole, e non vuole nessun male". E quindi al contrario la miseria implica l'idea che uno soffra ciò che non vuole. Ora l'uomo può volere una cosa in tre maniere. Primo, per desiderio naturale: così tutti gli uomini, p. es., vogliono esistere e vivere. Secondo, uno può volere una cosa per libera scelta in seguito a una deliberazione. Terzo, uno può volere una cosa non in se stessa, ma nelle sue cause: chi, p. es., vuol mangiare cose nocive, si può dire che vuole ammalarsi. Perciò tra i moventi della misericordia, che appartengono alla miseria, troviamo innanzi tutto le cose contrarie all'appetito naturale del prossimo, cioè i mali che corrompono e contristano, e che si contrappongono ai beni desiderati per natura dagli uomini. Ecco perché il Filosofo afferma, che "la misericordia è una tristezza relativa a un male evidente che corrompe e contrista". - Secondo, codesti mali provocano maggiormente alla misericordia, se sono contrari anche al volere deliberato. Infatti il Filosofo scrive che sono degni di misericordia quei mali, "che sono causati dalla disgrazia": e cioè "quando si produce un male là dove si sperava un bene". - Terzo, questi mali sono ancora più eccitanti alla misericordia, se contrastano con tutto il volere di un uomo: quando uno, p. es., dopo avere sempre cercato il bene, viene colpito dal male. Ecco perché il Filosofo afferma, che "la misericordia tocca soprattutto i mali di colui che soffre ingiustamente".
IIª-IIae q. 30 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La colpa è essenzialmente volontaria. E sotto quest'aspetto non è degna di compassione, ma di punizione. Siccome però la colpa in qualche modo può essere una punizione, cioè in quanto c'è in essa un aspetto che ripugna al volere di chi pecca, da questo lato può esser degna di compassione. Ed è per questo che possiamo avere misericordia e compassione dei peccatori: poiché, secondo S. Gregorio, "la vera giustizia non nutre sdegno", contro i peccatori, "ma compassione". E nel Vangelo si legge: "Nel vedere Gesù quelle turbe ne ebbe compassione, poiché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore".
IIª-IIae q. 30 a. 1 ad 2
2. Essendo la misericordia compassione della miseria altrui, in senso proprio non si ha misericordia che verso gli altri: non già verso se stessi; se non in senso metaforico, come si fa con la giustizia, considerando distinte nell'uomo le varie parti, come spiega Aristotele. È in tal senso che si dice nella Scrittura: "Abbi misericordia dell'anima tua, rendendoti accetto a Dio". Perciò come non c'è vera misericordia verso se stessi, ma dolore, quando soffriamo in noi qualche cosa di crudele; così non abbiamo misericordia, ma dolore come di ferite proprie, se si tratta di persone a noi così unite da essere, come i figli e i genitori, qualche cosa di noi stessi. Ecco perché il Filosofo afferma che "la crudeltà esclude la misericordia".
IIª-IIae q. 30 a. 1 ad 3
3. Come dalla speranza e dal ricordo del bene nasce il piacere, così dal timore e dal ricordo del male nasce la tristezza: tuttavia questa non è così forte come per la presenza sensibile di esso. Ecco perché le descrizioni dei mali, in quanto ci rappresentano, come fossero presenti, cose degne di compassione, muovono alla misericordia.
Articolo 2
IIª-IIae q. 30 a. 2 arg. 1
SEMBRA che tra i motivi del compatimento non ci siano i difetti personali del misericordioso. Infatti:
1. Compatire è proprio di Dio, secondo le parole del Salmo: "Le sue misericordie dominano su tutte le sue opere". Ma in Dio non ci sono menomazioni. Dunque una menomazione non può essere tra i motivi della misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 2 arg. 2
2. Se le menomazioni sono motivi di compatimento, è necessario che quelli più menomati siano più portati a compatire. Ma questo è falso: poiché, come dice il Filosofo, "quelli che sono rovinati del tutto non hanno misericordia". Dunque le menomazioni non sono un motivo di compassione da parte dei misericordiosi.
IIª-IIae q. 30 a. 2 arg. 3
3. Subire un'offesa è una menomazione. Ora, il Filosofo afferma, che "coloro i quali si sentono offesi non hanno misericordia". Perciò una menomazione da parte di chi deve compatire non è un motivo che spinge alla misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: La misericordia è una specie di tristezza. Ma ogni menomazione è motivo di tristezza: infatti, come già abbiamo notato, gli infermi sono più portati ad addolorarsi. Dunque la menomazione di chi deve usare misericordia è tra i motivi del suo compatimento.
IIª-IIae q. 30 a. 2 co.
RISPONDO: Essendo la misericordia, come abbiamo detto, il compatimento della miseria altrui, uno è spinto ad avere misericordia dalla stessa ragione per cui se ne addolora. E siccome la tristezza, o dolore, ha per oggetto il male proprio, in tanto uno si addolora della miseria altrui, in quanto la considera come propria. Ora, questo avviene in due modi. Primo, per un legame di affetto: e questo avviene con l'amore. Infatti chi ama, considerando l'amico un altro se stesso, reputa come proprio il male di lui: e quindi se ne addolora come del male proprio. Ecco perché il Filosofo mette tra i requisiti dell'amicizia "l'addolorarsi con l'amico". E l'Apostolo comanda di "godere con chi gode, e di piangere con chi piange". - Secondo, questo può avvenire per un legame reale, in quanto il male di certe persone è talmente vicino da ricadere su di noi. Per questo motivo il Filosofo insegna che gli uomini compatiscono i propri congiunti e i propri simili; perché pensano di potersi trovare a soffrire cose consimili. Ed ecco perché i vecchi e le persone sagge, le quali pensano di potersi trovare male, nonché i deboli e i paurosi sono più portati alla misericordia. Invece gli altri che si credono felici, e così potenti da non poter subire nessun male, non sono così facili alla misericordia. - Perciò da questo lato una menomazione è sempre il motivo della misericordia: o perché uno considera propria la menomazione altrui, per il legame dell'amore; oppure per la possibilità di subire cose consimili.
IIª-IIae q. 30 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio non usa misericordia che per amore, poiché ci ama come qualche cosa di se stesso.
IIª-IIae q. 30 a. 2 ad 2
2. Coloro che sono già colpiti dai mali più gravi non temono più di soffrire altre cose; e quindi non hanno misericordia. - Così pure fanno quelli che han troppa paura: poiché sono tanto presi dalla propria passione, da non badare alla miseria altrui.
IIª-IIae q. 30 a. 2 ad 3
3. Coloro che sono predisposti all'offesa, o perché l'hanno subita, o perché intendono infliggerla, sono portati all'ira e all'audacia, che sono passioni virili le quali esaltano l'animo umano verso le cose ardue. Perciò esse tolgono all'uomo la convinzione di dover subire in seguito qualche sciagura. Ecco perché costoro, mentre sono in tale disposizione, non hanno misericordia, come dice la Scrittura: "L'ira non ha misericordia né il furore impetuoso". - Per lo stesso motivo non hanno misericordia i superbi, che disprezzano gli altri e li stimano cattivi. E quindi pensano che costoro soffrano giustamente quello che soffrono. Perciò S. Gregorio ha detto, che "la falsa giustizia", cioè quella dei superbi, "non ha compassione, ma disprezzo".
Articolo 3
IIª-IIae q. 30 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la misericordia non sia una virtù. Infatti:
1. Nella virtù la cosa principale è l'elezione, o scelta, come nota il Filosofo. Ora, per usare le sue parole, l'elezione appartiene "all'appetito preceduto dalla deliberazione". Perciò non può dirsi virtù ciò che ostacola la deliberazione. Ma la misericordia ostacola la deliberazione, come nota Sallustio: "Tutti gli uomini che deliberano su cose dubbie devono spogliarsi dell'ira e della misericordia; infatti l'animo non può scorgere facilmente la verità, ove ci siano questi ostacoli". Perciò la misericordia non è una virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 3 arg. 2
2. Nessuna cosa contraria a una virtù è degna di lode. Ora, la nemesi, come dice Aristotele, è contraria alla misericordia. E d'altra parte la nemesi è una passione lodevole, secondo lo stesso Aristotele. Dunque la misericordia non è una virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 3 arg. 3
3. La gioia e la pace non sono virtù specialmente distinte, perché, come abbiamo visto, derivano dalla carità. Ma anche la misericordia deriva dalla carità: infatti come con la carità "godiamo con chi gode", così con essa "piangiamo con chi piange". Perciò la misericordia non è una virtù specifica.
IIª-IIae q. 30 a. 3 arg. 4
4. La misericordia, appartenendo a una potenza appetitiva, non è una virtù intellettuale. E neppure è una virtù teologale, non avendo essa Dio per oggetto. Così pure non è una virtù morale; perché non ha per oggetto né le operazioni, essendo questo il compito della giustizia, né le passioni, non riducendosi essa a nessuna delle dodici mesotes di cui parla Aristotele nell'Etica. Dunque la misericordia non è una virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Di gran lunga più giustamente e più umanamente e più convenientemente al sentimento religioso parlò Cicerone in lode di Cesare, là dove disse: "Nessuna delle tue virtù è più ammirevole né più gradita della tua misericordia"". Quindi la misericordia è una virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 3 co.
RISPONDO: La misericordia implica una tristezza per l'altrui miseria. Ma questa tristezza, o dolore, può indicare due cose. Primo, un moto dell'appetito sensitivo. E in questo senso la misericordia è una passione e non una virtù. - Secondo, può indicare un moto dell'appetito intellettivo, ed è il dispiacere (spirituale) del male altrui. Ora, questo atto può essere regolato dalla ragione: e con esso così regolato si possono regolare razionalmente i moti dell'appetito inferiore. Ecco perché S. Agostino insegna, che "questo moto dell'animo", cioè la misericordia, "è subordinato alla ragione, allorché si usa misericordia senza offendere la giustizia, sia soccorrendo i bisognosi, che perdonando ai colpevoli". E poiché l'essenza della virtù umana consiste nel fatto che i moti dell'animo sono regolati dalla ragione, come abbiamo visto sopra, è chiaro che la misericordia è una virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel testo di Sallustio va inteso della misericordia in quanto è una passione non regolata dalla ragione. Infatti essa allora ostacola la ragione nel deliberare, facendole abbandonare la giustizia.
IIª-IIae q. 30 a. 3 ad 2
2. Il Filosofo qui parla della misericordia e della nemesi in quanto sono passioni. Esse si contrappongono per una diversità di giudizio sui mali altrui: infatti il misericordioso si addolora, perché ritiene che uno soffra ingiustamente; chi invece è dominato dalla nemesi ne gode, ritenendo che certuni soffrano giustamente, e si rattrista della prosperità dei malvagi. E Aristotele conclude, che "l'una e l'altra cosa è lodevole, derivando da un identico costume". Propriamente però alla misericordia si contrappone l'invidia, come diremo in seguito.
IIª-IIae q. 30 a. 3 ad 3
3. Gioia e pace non aggiungono nulla alla ragione di bene che forma l'oggetto della carità: e quindi non si richiede altra virtù che la carità. Invece la misericordia ha di mira una ragione speciale, cioè la miseria di chi è oggetto di misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 3 ad 4
4. La misericordia in quanto virtù è una virtù morale riguardante le passioni: e si riduce a quel giusto mezzo che si chiama nemesi; poiché, come dice Aristotele, "derivano da un identico costume". Però queste mesotes il Filosofo non le considera virtù, ma passioni: perché sono lodevoli anche in quanto passioni. Niente però impedisce che derivino da un abito volontario. E in questo modo assumono l'aspetto di virtù.
Articolo 4
IIª-IIae q. 30 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la misericordia sia la più grande delle virtù. Infatti:
1. La cosa che più sembra appartenere alla virtù è il culto divino. Ma la misericordia viene preferita nella Scrittura al culto divino. "Io voglio misericordia e non sacrificio". Dunque la misericordia è la più grande delle virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 4 arg. 2
2. Spiegando quel detto paolino: "La pietà è utile a tutto", la Glossa afferma: "Tutto il compendio della dottrina cristiana si trova nella misericordia e nella pietà". Ora, la dottrina cristiana abbraccia tutte le virtù. Dunque il compendio di tutte le virtù consiste nella misericordia.
IIª-IIae q. 30 a. 4 arg. 3
3. "La virtù è quella che rende buono chi la possiede". E quindi una virtù tanto è migliore, quanto rende l'uomo più simile a Dio: perché l'uomo diviene migliore rendendosi più simile a Dio. Ma questo viene compiuto specialmente dalla misericordia: perché di Dio si dice nella Scrittura, che "le sue misericordie dominano su tutte le sue opere". Infatti il Signore afferma nel Vangelo: "Siate misericordiosi, com'è misericordioso il Padre vostro". Perciò la misericordia è la più grande delle virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo, dopo aver detto ai Colossesi: "Assumete, come eletti di Dio, viscere di misericordia", aggiunge: "Soprattutto abbiate la carità". Dunque la misericordia non è la più grande delle virtù.
IIª-IIae q. 30 a. 4 co.
RISPONDO: Una virtù può essere la più grande in due maniere: primo in se stessa; secondo in rapporto a chi la possiede. Ora, in se stessa la misericordia è certamente al primo posto. Infatti spetta alla misericordia donare ad altri; e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui: ora, questo è compito specialmente di chi è superiore. Ecco perché si dice che è proprio di Dio usare misericordia: e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza.
Ma per chi la possiede la misericordia non è la virtù più grande, se egli non è il più grande, senza avere nessuno sopra di sé ma tutti sotto di sé. Infatti per chi ha sopra di sé qualche altro è meglio stabilire un legame col suo superiore, che supplire ai difetti dei propri inferiori. Ecco perché nell'uomo, il quale ha come superiore Dio, la carità che unisce a Dio è superiore alla misericordia, la quale supplisce le deficienze del prossimo. Ma tra tutte le virtù che riguardano il prossimo la prima è la misericordia, e il suo atto è quello più eccellente: poiché soccorrere l'altrui miseria è per se stesso un atto degno di chi è superiore e migliore.
IIª-IIae q. 30 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Noi non esercitiamo il culto verso Dio con sacrifici e con offerte esteriori a suo vantaggio, ma a vantaggio nostro e del prossimo: egli infatti non ha bisogno dei nostri sacrifici, ma vuole che essi gli vengano offerti per la nostra devozione e a vantaggio del prossimo. Perciò la misericordia con la quale si soccorre la miseria altrui è un sacrificio a lui più accetto, assicurando esso più da vicino il bene del prossimo, secondo le parole di S. Paolo: "Non vi dimenticate di far del bene e di partecipare (i vostri beni ad altri); poiché di tali sacrifici Dio si compiace".
IIª-IIae q. 30 a. 4 ad 2
2. Il compendio della religione cristiana consiste nella misericordia quanto alle opere esterne. Ma l'affetto della carità con la quale ci si unisce a Dio, è superiore all'amore e alla misericordia verso il prossimo
IIª-IIae q. 30 a. 4 ad 3
3. Con la carità diventiamo simili a Dio, unendoci a lui mediante l'affetto. Essa perciò è superiore alla misericordia, che ci rende simili a Dio solo nell'operare.