Stimati Associati, gentili Lettori, grazie a Dio, nonostante la ‘pausa’ estiva, fino ad ora siamo stati sempre puntuali nella stesura, stampa e distribuzione del nostro settimanale. Come avrete potuto notare, da questo numero ci concentreremo soprattutto sullo studio di alcuni libri, fra i quali: 1) «Fortes in Fide», don Bussinello; 2) «Il Sillabario del Cristianesimo», mons. Olgiati. Perché questa scelta? Per due ragioni. Lo scritto di don Bussinello è semplice ed immediato, adatto soprattutto ai giovanissimi ed agli ignoranti. Purtroppo, soprattutto nell’epoca moderna, se non si riparte dalla base, si rimane e si vive ignoranti. Quello di mons. Olgiati, invece, bene si presta a chi ha già acquisito, evidentemente studiando sui buoni libri, almeno i rudimenti della vera religione, la Cattolica, dunque apre ad approfondimenti filosofici e di anti modernismo. Quando avremo terminato lo studio di questi due libri, se Dio vorrà, pian pianino leggeremo e stamperemo altro. Cosa conta nella vita? Ciò che primariamente conta è la salvezza dell’anima. Commentando il Catechismo di san Pio X, padre Dragone riferisce al numero 132: «Chi è fuori dalla Chiesa si salva? Chi è fuori dalla Chiesa per propria colpa e muore senza dolore perfetto, non si salva; ma chi ci si trova senza propria colpa, e viva bene, può salvarsi con l’amore di carità, che unisce a Dio e, in spirito, anche alla Chiesa, cioè all’anima di lei». Il padre sta citando Papa san Pio X. Spiega, poi, Dragone: «La Chiesa ha un corpo formato dal Capo e dalle varie membra unite al Capo mediante il carattere battesimale; ha inoltre un’anima, che è lo Spirito Santo, che vivifica le membra con la grazia e la carità. Per salvarsi è necessario morire in grazia di Dio; perciò per entrare in cielo occorre essere uniti almeno all’anima della Chiesa, mediante la grazia. Orbene: 1) è unito al corpo e all’anima della Chiesa, e quindi si salva, colui che è battezzato e muore in grazia di Dio; 2) è unito al corpo e non all’anima della Chiesa, e quindi non si salva, chi è battezzato e muore in peccato mortale senza pentimento; 3) è unito all’anima e non al corpo della Chiesa, e quindi si può salvare, chi è senza battesimo, ma muore perdonato dei suoi peccati per il dolore perfetto con cui li ha detestati; 4) non è unito né al corpo né all’anima della Chiesa, e quindi non si salva, chi non è battezzato, vive in peccato e muore senza il dolore perfetto. Non si può salvare chi è fuori della Chiesa per propria colpa, cioè chi sa che soltanto nella Chiesa vi è possibilità di salvezza, trascura di entrarvi o di ritornarvi, e muore in peccato senza l’amore di carità o il dolore perfetto. Invece si salva colui che è fuori della Chiesa senza propria colpa, o perché non la conosce o pur conoscendola, non sa che bisogna farne parte, ma vive bene, o almeno prima di morire si pente dei suoi peccati col dolore perfetto» (Spiegazione del Catechismo di San Pio X. Per i catechisti, ed. CLS, Verrua Savoia, 2009, pag. 207). Leggendo padre Dragone, abbiamo capito quanto sia necessario detestare l’ignoranza ed essere umili come gli innocenti, sempre pronti a studiare i buoni libri. Se si desidera l’ignoranza, difatti, si è colpevoli e molto facilmente ci si danna l’anima. Ci erudisce sant’Alfonso Maria de’ Liguori che usa il sommo san Tommaso ed altri: «È regola certa che non può darsi ignoranza invincibile in quelle cose che l’uomo deve e può sapere. Quando dunque non sa quel ch’è tenuto a sapere ed all’incontro può vincere l’ignoranza colla sua diligenza (studio superare potest, come parla S. Tommaso, I, II, q. 76, a. 2) egli non può essere scusato da colpa. Quali cose poi siam tenuti noi a sapere, le spiega l’Angelico nello stesso luogo: Omnes tenentur scire communiter ea quæ sunt fidei, et universalia juris præcepta; singuli autem quæ ad eorum statum vel officium spectant. Sicché, parlando del dritto naturale, non può darsi ignoranza invincibile nei primi principi della legge [...] Così anche non può darsi nelle conclusioni immediate o sieno prossime a detti principi, quali sono i precetti del decalogo. Neppure può darsi negli obblighi spettanti al proprio stato o proprio officio; poiché chi assume qualche stato, per esempio, ecclesiastico o religioso, o pure chi prende ad esercitare qualche officio, come di giudice, di medico, di confessore o simile, è obbligato ad istruirsi dei doveri di quello stato o di quell’officio; e chi l’ignora, lasciando d’istruirsene, o per timore di non esser poi tenuto ad osservarli, o per mera ma volontaria negligenza, la sua ignoranza sarà sempre colpevole, e tutti gli errori che indi commetterà per cagione di tal negligenza saranno tutti colpevoli, quantunque egli, nel commetterli, non abbia avvertenza attuale della loro malizia; mentre basta a renderli colpevoli l’avvertenza virtuale ossia (come chiamano altri) interpretativa, ch’egli ha avuta in principio in tralasciare di sapere le proprie obbligazioni. [... San Tommaso scrive] che non può essere scusato quel giudice, se erra nel giudicare per non saper le leggi che doveva aver imparate» (cf. Dell’uso moderato dell’opinione probabile, CAPITOLO II).
A cura di CdP