Stimati Associati e gentili Sostenitori, nel dicembre 1941 presso il Ministero della Educazione Nazionale si svolse un convegno di studi filosofici. Tra l’altro fu discussa la proposta di introdurre nel nuovo ordinamento della Facoltà di Filosofia una cattedra di Teologia cattolica. La proposta ebbe validi sostenitori e le buoni ragioni per sostenerla non mancavano: pur prescindendo dall’aspetto religioso, è chiaro che non è possibile studiare a fondo il pensiero filosofico italiano ignorando il pensiero teologico cattolico, che ha per lunghi secoli permeato tutta la cultura italiana; eppure l’Università italiana non offre la possibilità di studiare scientificamente il pensiero cattolico [ciò non stupisce, attesa la scandalosa laicità della Repubblica]; di qui la convenienza di introdurvi una cattedra di Teologia. Non mancarono, però, gli accaniti oppositori; la filosofia, l’antica ancella della teologia che a un certo momento aveva cacciato la padrona, si turbò al sentire che la padrona di un tempo chiedeva, per bocca di alcuni, l’ingresso nella facoltà, in un piano non di superiorità, è vero, ma di parità (sic!). «Io domando - disse conchiudendo la discussione l’Ecc. Bottai - se oggi sia possibile creare una convivenza pacifica; e se il risentimento di chi fu padrona e quello di chi si liberò dalla padrona, sia così lontano dalla memoria da non poter per caso rinascere; o se non, invece, l’invocata convivenza non richiami sopiti ricordi e con essi nuovo frastuono di armi. E ieri sera ci fu, se non frastuono di armi, frastuono di voci su tale questione» (Convegno di Studi Filosofici, Archivio di Filosofia 1942, III, pag. 259). In questo frastuono di voci noi fissammo la nostra attenzione sui principali argomenti dell’opposizione e ci parvero provenire da una concezione assai diffusa ai nostri giorni in Italia e fuori d’Italia che cioè la TEOLOGIA CATTOLICA e la FILOSOFIA MODERNA hanno caratteri essenzialmente opposti fra di loro per cui è impossibile ogni accordo ed intesa. Questa concezione ci appare chiaramente dall’esame dei vari atteggiamenti che nel corso della moderna filosofia hanno preso molti pensatori di fronte a quello che possiamo chiamare il «“problema” esterno della teologia» (Vi è un altro “problema” della teologia che potremmo chiamare il «“problema” interno della teologia» che riguarda la natura stessa della teologia e il suo metodo, “problema” che è stato pure oggetto di appassionate discussioni. Cfr. Gregorianum, 1913, I. p. 2s.), cioè dei rapporti della teologia cattolica con la filosofia moderna. In verità la vera teologia non ha nessun problema, bensì è l’uomo moderno, ignorante in filosofia e superbo (cf. Pascendi, S. Pio X) ad avere problemi con la verità, quindi con il pensiero cattolico genuino e verace.
• Nell’odierno approfondimento ci faremo aiutare dal P. Dezza, «Teologia cattolica e filosofia moderna», Collana SOS, imprimatur 1942. Atteggiamento materialista. Il primo tentativo di sciogliere il “problema” della teologia è stato quello più radicale che ha tentato di sopprimere la teologia stessa. Si è negato ogni valore teorico al cristianesimo in quanto religione rivelata, anzi si è negato valore teorico ad ogni religione anche naturale, negando ogni metafisica che è alla base della religione, eliminando le verità più fondamentali della religione e limitando la nostra conoscenza alla semplice constatazione dei fatti materiali. Si è allora cercata una spiegazione naturalistica ed evoluzionistica del fatto religioso, affermando che l’uomo dal primitivo stato di ignoranza di Dio, attraverso l’animismo e poi il politeismo e finalmente il monoteismo è arrivato alla religione cristiana e cattolica, ma per avviarsi di nuovo, seguendo la legge della continua evoluzione, allo stato di ateismo, o negazione di Dio. È questo il pensiero del materialismo degli antichi tempi, da quando Lucrezio scriveva che primus in orbe deos timor fecit (per prima al mondo la paura ha creato gli dèi) fino alle rinnovate forme di materialismo e positivismo; ultima quella della scuola sociologica del Durkeim che ha proposto l’origine sociologica della religione; la religione non sarebbe altro che l’espressione simbolica dei rapporti dell’uomo-individuo con la società di cui fa parte. Già il Comte nell’ottocento affermava che il periodo teologico, cioè delle credenze religiose, dovuto all’ignoranza della spiegazione dei fenomeni naturali, è da tempo sorpassato, anzi è superato anche il periodo metafisico che racchiude la base razionale della religione, e siamo ormai giunti al periodo scientifico, positivo, dell’esperienza, da cui la religione esula, se pur non voglia chiamarsi religione quella morale altruistica detta «religione dell’umanità». Contro questa soluzione del “problema” religioso è insorta la filosofia stessa, dimostrando quanto sia falso il voler limitare la nostra conoscenza alla pura constatazione del fatto materiale, e come l’esperienza ci mostra il finalismo, la vita, il pensiero che l’evoluzione della materia invano tenta di spiegare; perciò in nome dei diritti dello spirito contro ogni forma di materialismo e positivismo è insorto l’idealismo accanto alle varie forme di spiritualismo. Inoltre i recenti studi etnologici hanno dimostrato falso il presupposto di un ateismo iniziale nella storia dell’uomo, mentre vediamo tuttora presso i popoli primitivi forme di religione assai pure ed elevate, e si è ormai dimostrato che non già il politeismo ha preceduto il monoteismo, ma anzi ne è stata una posteriore degenerazione. Finalmente tutti i tentativi fatti per sopprimere ogni forma di religione e strappare dalla mente dell’uomo l’idea stessa di Dio sono riusciti vani: se l’ateismo ha potuto sedurre e conquistare individui, non è mai riuscito a dominare le masse, ed ultima conferma è la recente storia della Russia, dove per venticinque anni un governo ateo ha lavorato sistematicamente per diffondere l’ateismo e per annientare violentemente la religione; mentre nell’anima del popolo è tuttora vivo almeno il sentimento religioso, e spontaneamente si è manifestato appena le circostanze hanno imposto qua e là ai governanti una maggiore tolleranza religiosa. I “problemi” religiosi naturalmente si presentano all’uomo perché lo toccano intimamente nella sua natura, nelle sue origini e nei suoi destini; per quanto si cerchi di sciogliere il “problema” della teologia, sopprimendola, essa risorge sempre più imperiosa di prima.
• Atteggiamento idealista. La seconda soluzione data al “problema” della teologia è stata quella di inquadrarla negli schemi della moderna filosofia. II fallimentare e meschino tentativo fu già fatto da Kant nella sua «Religione nei confini della pura ragione». Coerentemente ai principii stabiliti nelle due Critiche Kant ha tentato d’inquadrarvi la religione: ha dovuto perciò svuotare di contenuto i dogmi rivelati, dando ad essi un’interpretazione naturalistica e simbolica, ha ridotto la religione cristiana a un semplice complesso di massime morali e di esigenze della nostra volontà, ha escluso ogni elemento soprannaturale. [Si noti che tutti questi loschi figuri si interrogano sempre e solamente sul “problema” del Cattolicesimo, mai sui problemi del talmudismo, della setta della mezzaluna, o delle tante pseudo chiese serve dei governi]. • Il tentativo fu rinnovato da Hegel nel suo idealismo, nel quale egli cerca d’inserire la teologia cristiana, coi suoi dogmi fondamentali della Trinità e della Incarnazione, sforzandosi di spiegarli razionalmente, perché, secondo i suoi principii, tutto il reale è razionale e tutto il razionale è reale, e perciò perfetta religione e perfetta filosofia.
• Più recentemente ancora nell’idealismo italiano, il Gentile ha rinnovato lo stesso tentativo. Egli inserisce la religione nella dialettica dello spirito, identificando il momento religioso coll’antitesi, quando cioè lo spirito - secondo la sua concezione - dopo avere creato questo meraviglioso universo che ci fronteggia e ci circonda, dopo averlo disteso nello spazio e nel tempo, obliando per un istante la sua potenza creatrice, assorto nella contemplazione della natura ne cerca una ragione, una spiegazione, un perché, e immagina un Dio creatore dell’universo e dinanzi a questo Dio che la sua mente finge, si prostra nella polvere e adora. «La religione, scrive il Gentile, è l’atteggiamento dello spirito di fronte all’oggetto suo, concepito come puro oggetto, astratto dalla sua relazione essenziale col soggetto» (Discorsi di Religione, Firenze, 1931, p. 97). Ma tosto lo spirito si riscuote, dall’antitesi passa alla sintesi, acquista la coscienza di sé, si accorge di essere lui il creatore dell’universo, per cui «Dio non è tanto Dio che non sia lo stesso uomo» (Teoria Generale dello Spirito come atto puro, Pisa, 1918, p. 146): è il momento della filosofia. La religione ha così una parte importante nell’attualismo gentiliano, rappresenta un momento necessario nella vita dello spirito che non arriva alla sintesi se non passando attraverso all’antitesi, non arriva alla filosofia se non dopo avere creduto ingenuamente alla religione (la filosofia dei fanciulli) momento provvisorio irrazionale, che deve essere superato dalla filosofia (la religione degli adulti). Né solo la religione in genere ha la sua parte nell’idealismo attuale, ma il Gentile tenta di spiegarvi proprio la religione cristiana cattolica fino ad affermare che la concezione immanentistica dell’atto spirituale, come è richiesta dal moderno idealismo, è l’inveramento del cristianesimo, e che l’interpretazione dualistica data da venti secoli di pensiero e di vita cristiana è interamente sbagliata, mentre la concezione attualistica è «la concezione più radicale, logica e sincera del Cristianesimo» (Teoria Generale dello Spirito come atto puro, Pisa, 1918, p. 280).
• Ma anche questo tentativo di inquadrare la religione e la teologia negli schemi della moderna filosofia è riuscito vano, perché praticamente si riduce a negazione della religione e della teologia. Già il Protestantesimo era insorto contro l’interpretazione del cristianesimo data da Kant. Questi infatti aveva iniziato la pubblicazione della sua opera «La religione nei confini della pura ragione» in un periodico: «Berlinischer Monatschrift» ma la censura ne arrestò la pubblicazione dopo il primo articolo nel 1792. Kant allora pubblicò l’anno seguente tutto il volume con l’imprimatur (sic!) di una Facoltà filosofica; ma nel 1794 l’opera veniva colpita perché contraria a molte dottrine fondamentali del cristianesimo e proibita ai professori dell’Università di Konisberg nelle loro lezioni. Kant dovette sottomettersi e solo nel 1798, dopo la morte di Federico Guglielmo II e l’avvento al trono di Federico Guglielmo III più tollerante in fatto di religione, Kant poté liberamente preporre le sue dottrine.
• Come il Protestantesimo aveva condannato l’interpretazione del Cristianesimo fatta da Kant, così ed anzi con vera ragione la Chiesa Cattolica ha condannato i libri del Gentile con la sua concezione attualistica della religione cattolica. Non a torto fu detto che i «Discorsi di religione» del Gentile sono uno dei libri più irreligiosi che siano stati scritti: infatti quando si nega la trascendenza di Dio, ridotto ad una pura autoproiezione dialettica dell’Io, che cosa può restare della religione? Quando poi si interpretano idealisticamente i dogmi della religione cattolica, si dice che rivelazione e grazia non sono che illusioni di ignoranza, per cui l’uomo crede di non poter da sé conoscere quel che conosce (rivelazione), né poter presumere di fare da sé quello che fa (grazia), si ripete che mitica è la dogmatica dei rapporti tra Dio e l’uomo, mitica la creazione, mitica l’immortalità dell’anima, mitica la Chiesa e i suoi insegna-menti, (Sistema di logica, Bari, 1923, II, pag. 157) che rimane della religione cattolica? Se una differenza vi è tra la soluzione materialistica del problema della teologia e quella idealistica, sembra che si riduca a questo: la prima è schietto ateismo, la seconda è ateismo più una menzogna, perché realmente anche l’idealismo è ateo, solo conserva le espressioni della religione per illudere gli incauti e confondere le idee (Cfr. Dezza, L’affermazione di Dio nella moderna filosofia Italiana, Civ. Catt., marzo 1932, V, p. 32). Lo stesso deve ripetersi di altre forme di idealismo, come lo storicismo del Croce nonostante la sua pretesa di dirsi cristiano (Cfr. La Critica, novembre 1912 e Civ. Catt., febbraio 1913), come l’ontologismo critico del Caraballese. Per il Caraballese Dio non è soggetto, ma è puro oggetto, puro essere, immanente a noi, immanente all’universo, che sostanzia il nostro essere e le cose tutte e costituisce l’oggetto necessario del nostro pensiero; ma negata la trascendenza e personalità di Dio è negato il carattere fondamentale della religione, in particolare della religione cattolica.
• Atteggiamento modernista. Riuscito vano il tentativo di risolvere il “problema” della teologia sopprimendo la teologia stessa e vano anche il tentativo di inquadrarla negli schemi della filosofia moderna, si è proposta un’altra soluzione, quella cioè di considerare filosofia e religione come due attività dello spirito indipendenti fra loro, che nascono e si svolgono parallele: mentre la filosofia è razionale, la religione di natura sua è irrazionale, alogica, extrafilosofica. È stato il tentativo del modernismo alla fine del secolo diciannovesimo e agli inizi di ventesimo, tuttora vivo in parecchi pensatori, tentativo sorto nel seno stesso del cattolicesimo, che pretendeva di ripensare il cristianesimo per metterlo in armonia con la mentalità moderna. Le varie forme di modernismo, pur nelle loro differenze, si accordano in due punti. Il primo consiste nel negare ogni valore teorico ai dogmi del cristianesimo, accettando l’impossibilità di conoscere una manifestazione di Dio al mondo per mezzo della rivelazione, anzi l’impossibilità di dimostrare la stessa esistenza di Dio per mezzo di argomenti razionali; il secondo consiste nell’affermazione che la religione nasce da un bisogno del divino, dapprima inconscio, o subcosciente, che diviene poi cosciente, sotto forma di sentimento o esperienza religiosa. Questo bisogno e questo sentimento sono insieme rivelazione e fede, Gesù Cristo non è altro che un uomo il quale ha sentito più vivo e profondo questo bisogno e sentimento religioso, la Chiesa non e altro che un’organizzazione destinata a conservare e promuovere in mezzo agli uomini l’esperienza religiosa, i dogmi si riducono a pure formule, nelle quali si esprime quell’esperienza religiosa, perciò soggetti a modificazioni secondo i vari tempi e secondo la diversa mentalità degli uomini. [Il modernismo è madre e linfa del “cattolicesimo” moderno, ossia dell’ateismo mascherato da religione cattolica. È dal modernismo che scaturisce la sintesi del Vaticano Secondo, con le tragiche conseguenze che tutti ben conosciamo e sulle quali poco si può opinare. Il modernismo ha trasformato la “società Chiesa” (o piuttosto ha rubato edifici e beni della Chiesa) in una o.n.g. vuota di contenuti, in fase di liquidazione, prossima ad essere assorbita dal pantheon della religione universale e falsa per antonomasia. Per grazia di Dio esistono sacche di resistenza cattolica che si oppongono a questa subdola macchinazione, partendo dal presupposto che il modernista non è cattolico, pertanto non può essere né unito con Cristo, né Papa: i suoi atti e fatti, dunque, sono pari al nulla e vanno totalmente ignorati. Solo così si può salvare la fede].
• La religione e la filosofia sono quindi eterogenee, le loro differenze radicali e irriducibili: tutti i tentativi di razionalizzare la religione riescono vani, la filosofia della religione deve abbandonare la pretesa d’inquadrare l’esperienza religiosa in concetti assoluti e definitivi, le varie concezioni teologiche si riducono, sempre per il modernista, a sistemi provvisori di simboli mentali che rappresentano l’incidenza della religione con la ragione in un punto determinato della rinnovantesi spiritualità umana (Maresca, Religione e vita spirituale, Archivio di Filosofia, 1911, 2 pag. 235 e segg.). Non si può neppure parlare di religione vera perché la verità è propria della ragione, mentre la religione deriva da una esigenza originaria del nostro spirito che non è di natura logica, ha le sue radici fuori della ragione e quindi di natura sua è irrazionale [Da qui si spiega lo spirito delle funeste “giornate di Assisi” inaugurate da Wojtyla, arricchite da Ratzinger (che aprì agli atei) e pacchianizzate dal rozzo Bergoglio].
• Ma anche questo nuovo tentativo di sciogliere il “problema” della teologia è fallimentare. Esso infatti non spiega nessuna forma di religione perché ogni religione involve necessariamente una base razionale per quanto il sentimento possa avervi la sua parte; molto meno esso può spiegare la religione cattolica, e risolvere il “problema” della teologia cattolica, perché il cattolicesimo proclama apertamente il suo carattere soprannaturale, ma insieme razionale. Il più grande teologo della Chiesa cattolica, San Tommaso d’Aquino, scriveva nella sua Somma Teologica: «(Homo) non crederet, nisi vieteret ea esse credenda» (2,2 q. I. a. 4 ad 2), non solo la religione cattolica non è opposta alla ragione, anzi è proprio la ragione che deve condurre alle soglie della fede cattolica; e San Tommaso non fa che ripetere quello che parecchi secoli prima scriveva Sant’Agostino: «Non crederemus nisi animas rotionales haberemus» e le frasi di Tommaso e di Agostino non sono che un’eco di quanto al principio del cattolicesimo proclamava San Paolo: «Ralionabile obsequium vestrum» (Rom., 12, l): l’ossequio della vostra fede è perfettamente ragionevole. La Chiesa cattolica è perciò insorta anche contro il modernismo, condannato con l’Enciclica «Pascendi Dominici gregis» di Papa San Pio X, e insorge ogni qual volta si rinnovano simili tentativi che, staccando la religione dalla ragione, cercano di insinuare una qualsiasi forma di agnosticismo religioso.
• La soluzione del “problema” della teologia. I vari tentativi fatti dalla filosofia moderna per risolvere il “problema” della teologia hanno in un modo o nell’altro cercato di distruggere la teologia cattolica: non è dunque possibile risolvere in altro modo il “problema”? La teologia cattolica crede di si, atteso che il problema è dei moderni filosofi: essa pensa che sia possibile risolverlo senza distruggere i due termini: filosofia e teologia; pensa che tali termini si possono conciliare conservando le loro caratteristiche essenziali, che anzi sia possibile non solo un accordo tra la filosofia e la teologia, ma che la filosofia sia utile alla teologia perché le offre gli elementi per la giustificazione razionale della fede e la teologia alla sua volta sia utile alla filosofia perché le schiude nuovi campi di investigazione, donde nasce il mutuo interesse tra filosofia e teologia. Abbiamo detto che la filosofia offre alla teologia gli elementi per la giustificazione della fede di fronte alla ragione: giustificare la fede di fronte alla ragione è un compito fondamentale della teologia che in quanto tale si chiama appunto teologia fondamentale. Nella teologia cattolica si sogliono distinguere due parti: l’una dogmatica, che studia ed espone il complesso dei dogmi, cioè il contenuto della fede; l’altra fondamentale, che espone i preamboli della fede, cioè dimostra criticamente quelle affermazioni che giustificano, vale a dire rendono legittimo e doveroso, l’atto di fede.
• Le due affermazioni che costituiscono i preamboli della fede e sono criticamente dimostrate dalla teologia, non appoggiandosi su alcun presupposto dogmatico, sono una di carattere filosofico (l’esistenza di Dio) e l’altra di carattere storico (il fatto della rivelazione). Il filosofo cattolico, partendo dall’esame della realtà quale ci appare nell’esperienza attuale concreta e cercando di spiegarla, vede che la realtà non può essere solo materia: la materia, come abbiamo detto, non spiega tutta la realtà, non spiega la finalità, la vita, il pensiero. Ha ragione quindi l’idealismo quando condanna il materialismo e proclama i diritti dello spirito. Ma lo spirito che vive e pensa in ciascuno di noi non è lo spirito assoluto, come vorrebbe l’idealista. La nostra intima esperienza ci attesta con evidenza che noi siamo qualcosa di limitato, di finito, di contingente: le miserie e debolezze della nostra vita quotidiana, le incertezze e gli errori della nostra vita spirituale ci confermano che non siamo l’Assoluto e che lo spirito assoluto, necessario per spiegare la realtà del mondo quale ci appare nella concreta esperienza interna ed esterna, è distinto, è superiore, è trascendente al mondo e a noi, ed il filosofo cattolico è così ragionevolmente ed evidentemente condotto all’affermazione dell’esistenza di Dio. Interviene allora la storia ad attestarci che questo Dio, la cui esistenza è criticamente dimostrata dalla filosofia, non è rimasto nascosto a noi nella Sua luce inaccessibile, ma si è rivelato, ha parlato per mezzo del Cristo. La verità storica dell’esistenza del Cristo, la Sua affermazione, sono tutti fatti che la critica storica rigorosamente dimostra. Attraverso questa duplice dimostrazione, che non si appoggia come già dicemmo su alcun presupposto dogmatico, la teologia cattolica dimostra legittimo e doveroso l’atto di fede: se è vero che esiste Dio, se è vero che Dio ha parlato all’uomo, e che la Chiesa cattolica è la depositaria di questo messaggio divino, l’uomo ragionevolmente può e deve credere; e il filosofo può e deve interessarsi del dogma cattolico che apre nuovi orizzonti al suo sguardo indagatore rivelandogli i misteri più intimi dell’essere divino.
• Regione e Fede. In questo modo la teologia cattolica risolve il “problema”. Che in tale soluzione non venga soppressa la teologia, è chiaro; ma potrà qualcuno domandarsi se questa volta non ne soffre la filosofia. Infatti la filosofia di natura sua vede, ragiona, dimostra; mentre la fede cattolica ha gli occhi bendati e crede. Come si conciliano la luminosità della ragione e l’oscurità della fede? Rispondiamo che conciliare non vuol dire identificare e il cattolico nella filosofia vede e dimostra la ragionevolezza della sua fede, nella fede crede e fermamente crede. Non è dunque vero quanto scriveva il Martinetti in «Ragione e Fede»: «Volete essere cattolici? Rinunziate senz’altro all’esame ed alle prove, imponete silenzio alla vostra ragione, abituatevi a credere senza vedere e senza sapere...» (pag. 31); e poco dopo insiste che per credere è necessario rinnegare la propria ragione, rinunziare alla qualità di essere ragionevole (pag. 32). No, non è rinnegando la ragione che si arriva alla fede, anzi ripetiamo, è proprio seguendo la ragione che arriviamo alle soglie della fede; e neppure si rinnega la ragione quando si crede il mistero, perché il mistero è superiore bensì ma non contrario alla ragione. Lasciamo la frase tanto abusata di Tertulliano «Credo quia absurdum» che dal contesto appare un’espressione impropria di un concetto vero, intendendo per assurdo quello che con la ragione non si può dimostrare; ma qualunque sia il pensiero di Tertulliano, certamente il pensiero esplicito della Chiesa è che giammai l’uomo possa o debba credere a ciò che ripugna alla ragione, mentre non c’è difficoltà che Dio riveli all’uomo delle verità superiori alla ragione umana. La nostra ragione ha dunque dei limiti, non è essa infinita? Volentieri concediamo alla ragione umana una certa “infinità” estensiva in quanto è capace di conoscere in qualche modo tutto il reale, ma non è capace di esaurirlo e molti sono i misteri dell’Essere ai quali la ragione umana da sola non arriva.
• La rivelazione non la umilia, ma anzi la eleva, né le toglie quella libertà che la filosofia moderna - la falsa filosofia - così gelosamente vuole rivendicare al pensiero umano. Il pensiero umano è libero nella ricerca della verità, non accetta imposizioni estrinseche che possano intralciargli il suo cammino in tale ricerca: ma la fede lascia perfettamente libero il pensiero umano nella sua indagine filosofica, solo interviene dove il pensiero umano ha terminato il suo cammino per aprirgli nuovi campi d’investigazione; la teologia è Beatrice che aiuta il Poeta a salire di cielo in cielo fino all’Empireo dopo che Virgilio, la filosofia, al solo lume della ragione l’ha condotto attraverso gli altri regni.
• Dogmatismo e criticismo. Contro questa soluzione del “problema” teologico insorge la filosofia moderna con una difficoltà ripetuta nei libri, negli articoli, nei discorsi e sulla quale si è insistito nel già ricordato Convegno Nazionale di Filosofia, quando si discuteva la proposta del Carlini d’introdurre una cattedra di teologia nella Facoltà di Filosofia. La filosofia moderna, si dice, è critica, mentre la teologia cattolica è dogmatica: il dogmatismo è la morte della filosofia come il criticismo è la morte della teologia; un accordo è dunque impossibile. Riflettendo serenamente sull’obiezione essa appare tutt’altro che insolubile; anzi esprimendo la soluzione in una forma un poco paradossale, ci pare di poter affermare che quando la filosofia moderna, in nome della critica, combatte la teologia cattolica perché dogmatica, diviene proprio essa dogmatica e fa meglio risaltare il carattere sanamente critico della teologia cattolica. Infatti che s’intende per filosofia critica? Critica è quella filosofia che non accetta nessun presupposto dogmatico ma inizia la sua indagine sottoponendo all’esame della ragione tutte le affermazioni fino ai loro più remoti presupposti, senza accettarne alcuno ciecamente o per argomenti di autorità, e procede nelle sue affermazioni solo alla luce della ragione ed a tale luce che con evidenza la appaghi. In questo senso, che è il vero senso, la teologia cattolica nella sua parte fondamentale è critica non meno di qualunque filosofia moderna. Il cattolico, difatti, inizia la sua indagine non appoggiandosi su alcun presupposto dogmatico e la prosegue alla luce della sola ragione come ogni vera filosofia [È questo che manca ai moderni filosofi: la luce della ragione, poiché la loro mente è ottenebrata dalle passioni disordinate]. Ora avviene che in questo esame critico della realtà alcuni arrivano alla conclusione che tutta la realtà è materia e solo materia e si proclamano materialisti; altri seguono lo stesso metodo critico arrivando alla conclusione che tutta la realtà, la vera realtà, è spirito, è idea, e si proclamano idealisti; altri concludono la loro indagine critica con l’affermazione che tutta la realtà non è né solo spirito né solo materia, ma è spirito e materia, spirito limitato e contingente come quello dell’uomo e spirito infinito e trascendente come quello di Dio e sono i realisti scolastici. Se critica è la filosofia del materialista e del positivista, se critica è la filosofia dell’idealista perché si vuol negare che sia critica la filosofia scolastica del teologo cattolico? Si potrà discutere sul valore degli argomenti che il cattolico apporta nella sua filosofia, come si può discutere sugli argomenti del materialismo e dell’idealismo, ma escludere a priori che la filosofia scolastica possa essere critica ed escluderlo proprio in nome della critica, vuol dire escludere a priori che l’indagine filosofica possa risolversi nel realismo scolastico, vuol dire pretendere di conoscere le conclusioni dell’indagine critica prima di fare la critica, vuol dire cominciare la filosofia critica con un presupposto dogmatico, il che evidentemente, come fu giustamente osservato, non può essere altro che dogmatismo della peggiore lega. Ma, sussume qualche filosofo, che è dogmatismo non solo il realismo scolastico della teologia cattolica, ma anche il materialismo, l’idealismo, come ogni forma di positivismo o di spiritualismo; perché ogni filosofia che pretende dare delle soluzioni definitive, dei sistemi, delle verità assolute è filosofia dogmatica e non più critica. La filosofia critica è una problematica sempre aperta, una storia di problemi e di esigenze, le cui soluzioni sono sempre provvisorie, è pura ricerca senza conclusioni definitive, è negazione di ogni sistema e di ogni verità assoluta. Che all’inizio dell’indagine filosofica si possa ignorare se essa si concluderà con un sistema, con soluzioni definitive, con verità assolute, ovvero si concluderà con la constatazione che soluzioni definitive ai problemi della filosofia non ne esistono, sia pure; che al termine dell’indagine filosofica qualcuno possa concludere che la verità assoluta non si trova, ma che la filosofia è sempre una posizione di problemi, sia pure; è la conclusione dello scettico. Ma che a priori, all’inizio dell’indagine filosofica, si affermi che questa indagine non può concludersi con una soluzione definitiva, con un sistema, con la scoperta di una verità assoluta, non è un pessimo dogmatismo, un voler fare della filosofia critica partendo proprio da un presupposto dogmatico, un voler fermarsi sulle soglie della filosofia e dogmaticamente precludersene l’ingresso?
• Trascendenza e immanenza. Se la filosofia può criticamente arrivare a soluzioni definitive - dicono altri - questa soluzione non può essere il realismo scolastico perché è la filosofia della trascendenza, mentre tutta la filosofia moderna è filosofia dell’immanenza. La filosofia della trascendenza non è critica, è filosofia dogmatica e ormai superata e chi vuole occuparsene, ancora è simile a colui che volesse insistere nell’astronomia tolemaica dopo parecchi secoli di astronomia copernicana. Non crediamo che il principio di immanenza, che è alla base della filosofia moderna, sia proprio così evidente da non poter essere messo in discussione: è spesso affermato ma non dimostrato; anzi ad un esame approfondito della coscienza, esso ci appare insostenibile e quanto si dice per sfuggire alle critiche, ricorrendo alla distinzione fra il trascendentale e l’empirico (attualismo) e fra oggetto già esplicito o ancora implicito (ontologismo critico) contiene, se ben si riguarda, una implicita professione di quella trascendenza che si vorrebbe negare. Ma, qualunque sia il valore del principio d’immanenza, rimane vero anche in questo caso quanto dicevamo più sopra. Che si possa iniziare l’indagine filosofica non sapendo se essa sfocerà nella filosofia dell’immanenza o in quella della trascendenza, sia pure; che qualcuno possa concludere la sua indagine critica con la filosofia dell’immanenza, sia pure; ma che a priori si affermi, all’inizio dell’indagine filosofica, che se la filosofia deve essere critica, deve essere filosofia dell’immanenza, è, lo ripetiamo, dogmatismo e non criticismo. Ben a ragione il Tarozzi, senza essere filosofo scolastico né teologo cattolico, giunto dopo una indagine veramente critica all’affermazione della trascendenza, lamentava che nel linguaggio filosofico moderno si chiami dogmatico chiunque non rifiuta in limine il reale esterno, e critico invece chi accetta i risultati della gnoseologia kantiana; mentre il significato più esatto, più augusto e più fecondo di filosofia critica è quello d’indipendenza da ogni argomento di autorità e da ogni presupposto non dimostrato (La ricerca filosofica, Napoli, Rondinella, 1936, p. 25). [I tanti documenti eredità di Papa Pio XII ci insegnano quali sono i parametri della vera filosofia]. In questo senso la teologia cattolica è dunque veramente critica e non ci può essere sotto questo a spetto opposizione tra filosofia e teologia.
• Astrazione e concretezza. È stato osservato che la filosofia scolastica, di cui si serve la teologia cattolica, anche se possa dirsi critica, oggi non interessa. La caratteristica della filosofia moderna è la sua mondanità, la sua concretezza e aderenza al nostro mondo, mentre i problemi della teologia sono trascendenti, astratti, extramondani e quindi non interessano. È proprio vero che la trascendenza della filosofia scolastica allontana la filosofia dalla vita, che il Dio degli scolastici è astratto e relegato lontano dal mondo e che la teologia cattolica, la quale tratta di questo Dio, non può interessare l’uomo moderno che vive la concretezza di questa vita, il filosofo che studia la realtà di questo mondo? La teologia cattolica difende, è vero, l’assoluta trascendenza di Dio, ma questo Dio non è il Dio di Aristotele, tutto immerso nella contemplazione di sé, che non conosce il mondo e non si interessa degli uomini: il Dio della filosofia scolastica e della teologia cattolica, pur restando trascendente al mondo, è presente nel mondo così che in Ipso vivimus et movemur et sumus (Act. Ap., 17, 28), non solo è presente, ma operante in noi, nell’intimo dell’anima nostra, sia nella vita naturale sia più ancora nell’elevazione alla vita soprannaturale per mezzo della grazia santificante, fino alla più intima unione mistica che suole spesso accompagnare i gradi più alti della spiritualità cristiana; non solo presente ed operante nel mondo, ma così mondano (passi la parola impropria) che si è fatto uomo come noi assumendo in unità di persona la nostra stessa natura: Et Deus erat Verbum... et Verbum caro factum est et habitavit in nobis (Jo., 1, 1 e 1, 14). Orbene, la storia di questo Dio fatto uomo ha riempito di sé la storia dell’umanità di cui è divenuto il centro: dividendola in storia prima di Cristo e dopo Cristo; l’opera sua che è la Chiesa sopravvive nei secoli in questo mondo ed estende i suoi confini da un capo all’altro della terra; la sua dottrina, la dottrina cristiana si è diffusa ed è penetrata in ogni strato della società, da due millenni ha permeato la nostra letteratura, la nostra arte, la nostra cultura, tutta la nostra civiltà. Come si può dire che la teologia cattolica è astratta, extramondana e non interessa? Se per mondana intendiamo ciò che è materiale e chiuso nel mondo della materia, negando il mondo dello spirito, allora la teologia cattolica non è mondana: ma se per mondano intendiamo tutto quello che appartiene al nostro mondo, mondo della materia e mondo dello spirito, che è pure il nostro mondo, il mondo più perfettamente nostro, di noi uomini che siamo materia e più ancora spirito, la teologia cattolica è veramente concreta e “mondana”, ed astratta diviene quella filosofia che, disinteressandosi della teologia cattolica, astrae da un elemento così vivo nella concretezza di questo mondo. [Fatto sta, e questo è certo come il sole che sorge, che la teologia cattolica ha costruito e costruisce civiltà, mentre la filosofia moderna ha distrutto e distrugge ogni cosa].
• Immobilità e progresso. Un’ultima istanza e poi finiamo. La filosofia scolastica, propria della teologia cattolica, si dice è sistema fatto, chiuso, cristallizzato e il pensatore non può far altro che aggirarsi pigro e inerte: è la morte della filosofia che, per vivere, ha bisogno di sistema sempre aperto, di ricerche sempre nuove. Concediamo che il filosofo cattolico riconosce che il pensiero umano in venticinque secoli non ha pensato invano, ma attraverso il laborioso travaglio di tante generazioni ha raggiunto dei punti fissi, delle pietre miliari, ha gettato delle basi solide per il suo edificio intellettuale; ma aggiungiamo che il sistema non è chiuso, l’indagine non è finita, resta ancora da fare, da progredire: e progredire non significa ricominciare sempre da capo, ma proseguire per la via iniziata approfondendo i veri trovati, scoprendone dei nuovi e non contrastanti, fissando lo sguardo in più vasti orizzonti. Che ci possano essere dei pigri tra i filosofi scolastici, che si adagiano nelle affermazioni già dimostrate e le ripetano senza saper dire alcunché di nuovo, è possibile, e non fa meraviglia: i pigri ci sono sempre e dappertutto, numerosi anche tra i cultori di altre filosofie, come certi idealisti che ci vanno ripetendo a sazietà il ritornello della tesi, dell’antitesi e della sintesi. Tra gli stessi filosofi più critici che affermano l’assoluta problematicità della filosofia, se per alcuni la negazione d’una verità assoluta è assillante stimolo a nuove ricerche, per altri invece è facile tentazione ad adagiarsi in un comodo agnosticismo. Ma che la filosofia scolastica e la teologia cattolica portino naturalmente alla pigrizia o all’inerzia del pensiero, è tutt’altro che vero. Chi così afferma ci sembra simile a colui che dal fondo della valle guarda l’amico che faticosamente ha salito l’erta del monte vicino e ne ha raggiunto la cima indorata dal sole: per te, sembra dirgli, l’ascesa è finita; non puoi far altro che scendere per ricominciare a salire, o adagiarti pigro e inerte sulla vetta raggiunta. Ma l’amico risponde: L’ascesa non è finita; questa che, dalla valle, sembra la vetta, non è la vetta, bisogna salire ancora più su. E a mano a mano che l’alpinista sale, si rinnova l’illusione frequente per chi sale in montagna, che crede di aver raggiunto la vetta e poi s’accorge che essa è ancora lontana: e continua a salire e l’orizzonte s’allarga e nuove vette scintillanti di neve lo invitano a salire sempre più su, e cala la sera e la cima più alta forse non è ancora raggiunta e l’alpinista attende che domani il sole risorga per riprendere il suo cammino. Così nell’ascesa spirituale alla ricerca della verità; di vetta in vetta l’uomo ascende e gli orizzonti dello spirito si allargano e la luce della ragione e poi il raggio della fede illuminano vette sempre più alte. E cala la sera, tramonta la vita dell’individuo senza che sia esaurita la conoscibilità dell’essere. Ma il lavoro non è stato vano, domani il sole risorgerà, nuove generazioni si affacceranno alla vita e, sfruttando il lavoro già fatto, ripiglieranno il faticoso cammino e penetreranno sempre più a fondo nella cognizione della verità. La filosofia scolastica della teologia cattolica è dunque un sistema, ma non un sistema chiuso, in essa c’è sempre da progredire [ma nello stesso senso e nello stesso significato, cf. Dei Filius], sempre da costruire senza bisogno di cominciare da capo né di distruggere il lavoro già fatto. Ecco il compito della filosofia che nella teologia cattolica non trova ostacoli ma compimento, perfezionamento, incoraggiamento.
• Conclusione. Fra la teologia cattolica e la vera e sana filosofia, anche moderna, non c’è opposizione, ma accordo e mutuo interesse... La teologia cattolica getta potenti fasci di luce ove la ragione umana da sola non arriva...
a cura di CdP