Stimati Associati e gentili Sostenitori, inizia il mese di novembre, nel quale si commemorano particolarmente i fedeli defunti. Le condizioni per l’indulgenza plenaria sono: 1) Adempiere l’opera prescritta, con l’intenzione (almeno abituale e generale) di guadagnare l’indulgenza. 2) Confessione (anche nella settimana che precede o segue l’opera prescritta) e comunione (la vigilia o la settimana che segue l’opera prescritta). 3) Visita, se richiesta, di una chiesa o oratorio pubblico; si può fare dal mezzogiorno del giorno precedente. 4) Pregare in qualunque modo, secondo le intenzioni dei SS. Pontefici, cioè: a) Esaltazione della Fede; b) Estirpazione delle eresie; c) Conversione dei peccatori; d) Pace tra i prìncipi cristiani. 5) Essere in stato di grazia. Prosegue qui.
• L’Abate Ricciotti oggi ci spiega: «La parabola delle vergini. L’ultimo giudizio». § 530. Essendo assolutamente ignoto il giorno della parusia, coloro che aspettano la consumazione finale del regno di Dio dovranno tenersi pronti sempre, perché sempre potrà giungere quel giorno e cadere quell’ora. L’ignoranza del tempo porta con sé il pericolo di una neghittosa trascuranza, al quale dovrà provvedersi con una incessante vigilanza. Questo è l’insegnamento della parabola delle vergini, riportata dal solo Matteo (25, 1-13) e soggiunta al discorso escatologico. La parabola si riporta alle costumanze delle nozze giudaiche, di cui già trattammo (§ 281). Dieci vergini sono state invitate alle nozze di una loro amica, per farle corteggio la sera dei nissū’īn (§ 231); sono uscite dalle loro case munite ciascuna della propria lampada di terracotta, non tanto per far chiaro lungo la strada fino alla casa della sposa, quanto per accrescere la giocondità della festa allorché giungerà lo sposo. Si prevede tuttavia, essendo un matrimonio di lusso, che lo sposo si farà attendere alquanto, dovendo egli a sua volta ricevere una fila interminabile di visitatori. Perciò cinque di quelle vergini, ch’erano prudenti, portarono seco oltre alla lampada accesa anche un orcioletto pieno d’olio per rifornire la piccola lampada quando il suo contenuto fosse esaurito; le altre cinque invece, ch’erano disavvedute, non si preoccuparono delle ore lontane e portarono soltanto la lampada, non ripensando ch’essa non poteva restare accesa se non per un tempo relativamente breve. Ciò che le vergini avvedute hanno previsto, avviene di fatto: lo sposo, trattenuto a casa sua, tarda molto a giungere. Frattanto in casa della sposa la comitiva ivi radunata cambia gradualmente il suo contegno; quelle ragazze, da vivaci ed irrequiete ch’erano alla prim’ora, divengono man mano inerti, svogliate e come rassegnate; il chiacchierio s’acquieta, qua e là appaiono segni di noia; ancora più tardi qualcuna sbadiglia e appartatasi in un angolo comincia a lottare fiaccamente contro il sonno che la invade; e le ore seguitano a passare monotone senza che nessuno giunga, cosicché «indugiando lo sposo, s’appisolarono tutte e dormivano. Ma a metà notte ci fu un grido: “Ecco lo sposo! Uscite(gli) incontro!”. Allora sorsero tutte quelle vergini ed acconciarono le lampade loro. Le disavvedute dissero pertanto alle prudenti: “Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono!” Ma le prudenti risposero dicendo: “Mai più! Non basterebbe a noi e a voi (insieme)! Andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Allontanandosi quelle per comprare venne lo sposo, e quelle pronte entrarono con lui nelle nozze e fu rinserrata la porta. Alla fine però vengono anche le restanti vergini dicendo: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispondendo disse: “In verità vi dico, non so (di) voi!”». La ripulsa dello sposo fa scaturire la morale della parabola, la quale si conclude con l’ammonizione: «Vegliate dunque, perché non sapete il giorno né l’ora!». Veramente la parabola ha taluni tratti che si discostano dalla realtà contemporanea, ad esempio l’invito di andare a comperare l’olio a mezzanotte quasicché a quell’ora le botteghe fossero aperte. Ma tali astrazioni di tempo e luogo sono ammissibili in una comparazione ampia, la quale converge tutta su un punto particolare non soffermandosi su lineamenti secondari. Qui il punto preso di mira è duplice: l’ignoranza del giorno e dell’ora ch’è rilevata dalla conclusione finale, e insieme anche il pericolo dell’impreparazione e dell’attesa ch’è rilevato in tutta la parabola. L’attesa prolungandosi diventa insidiosa, perché fa trascurare la preparazione che eventualmente esisteva da principio e fa dimenticare la realtà della «venuta»; d’altra parte l’essere stato preparato soltanto alla prima ora non giova nulla a chi non si ritrovi preparato anche all’ultimo minuto, quello della «venuta». Nella lingua dei papiri greci la «venuta» e «presenza» di un re si trova espressa col termine parusia.
• § 531. Egualmente il solo Matteo (25, 31-46) presenta il gran quadro in cui il «secolo» presente si chiude e il «secolo» futuro s’inaugura ufficialmente, il quadro del giudizio finale. Questo tema era stato trattato già dagli antichi profeti, ma sotto altra luce e con altri intendimenti; qui invece la mira principale è di far risaltare i rapporti morali che legano il «secolo» presente con quello futuro, cioè la ripercussione etica che la vita presente avrà nella vita futura. Se nel passato il giudizio finale era stato presentato come il trionfo della nazione ebraica su nazioni pagane o di un partito onesto e pio su un partito malvagio ed empio, qui invece esso riveste un carattere morale riguardante i singoli individui dell’umanità intera senza discriminazione alcuna: inoltre, questo carattere morale è riassunto nella carità, come se la nota distintiva del regno di Dio e la tessera per entrarvi sia la carità (§ 550) e il giudizio finale sia il trionfo della carità. «Quando venga il figlio dell’uomo nella gloria sua e tutti gli angeli con lui, allora sederà sul trono della sua gloria. E si raduneranno davanti a lui tutte le genti, ed (egli) separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai montoni e collocherà le pecore alla sua destra e i montoni alla sinistra. Allora dirà il re a quelli della sua destra: “Venite, i benedetti del Padre mio! Possedete il regno a voi preparato dalla fondazione del mondo! Ebbi fame, infatti, e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, forestiero ero e mi accoglieste, nudo e mi ricopriste, fui ammalato e mi visitaste, in prigione ero e veniste a me”. Allora gli risponderanno i giusti dicendo: “Signore, quando ti vedemmo aver fame e nutrimmo, ovvero aver sete e demmo da bere? E quando ti vedemmo forestiero ed accogliemmo, ovvero nudo e ricoprimmo? E quando ti vedemmo ammalato ovvero in prigione e venimmo a te?”. E rispondendo il re dirà loro: “In verità vi dico, quanto faceste ad un solo di questi fratelli miei minimi, faceste a me”. Allora dirà a quelli alla sinistra: “Partitevi da me, maledetti, nel fuoco eterno, quello preparato al diavolo e agli angeli suoi! Ebbi fame, infatti, e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, forestiero ero e non mi accoglieste, nudo e non mi ricopriste, ammalato e in prigione e non mi visitaste”. Allora risponderanno anch’essi dicendo: “Signore, quando ti vedemmo aver fame ovvero aver sete ovvero forestiero ovvero nudo ovvero ammalato ovvero in prigione, e non ti servimmo?”. Allora risponderà loro dicendo: “In verità vi dico, quanto non faceste a uno solo di questi minimi neppure a me (lo) faceste”. E andranno questi in supplizio eterno, i giusti invece in vita eterna (cfr. Daniele, 12, 2)».
Ndr.: Anche quest’ultimo passo della Sacra Scrittura viene abitualmente abusato dai modernisti e fanatici della cosiddetta “accoglienza” - gli stessi che ostentano esecrandi peccati e sostengono di non credere nell’inferno «supplizio eterno» - per losche finalità filantropiche od elettorali. Non lasciamoci ingannare. Le loro rivendicazioni poggiano sulla falsa scienza, sulla falsa esegesi, finalmente sull’apostasia. Per una corretta conoscenza della dottrina cristiana sull’immigrazione e sulla vera accoglienza rimandiamo almeno ai seguenti approfondimenti: 1) «Esposizione della dottrina cristiana sulle migrazioni»; 2) «Exsul Familia Nazarethana in italiano. La Magna Charta di Pio XII sull’immigrazione». Buono studio!
Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.