Comunicato numero 127. Il centurione e la vedova

Stimati Associati e gentili Sostenitori, il compianto Abate Giuseppe Ricciotti - autore di una vera «Vita di Gesù Cristo»: contro le mondane fantasticherie e mistificazioni dei modernisti - oggi ci presenta altri due personaggi: «Il centurione di Cafarnao e la vedova di Naim».

• § 336. Tanto San Luca quanto San Matteo mettono dopo il Discorso della montagna l’episodio del centurione di Cafarnao: la circostanza cronologica sembra dunque assicurata, ed essa, insieme con le divergenze interne, basta a distinguere questo episodio dall’altro dell’impiegato regio (§ 298), sebbene in realtà i due episodi abbiano vari tratti somiglianti. Poco dopo il Discorso, Gesù rientrò a Cafarnao, dov’era di guarnigione un centurione: probabilmente faceva parte delle truppe mercenarie del locale tetrarca Erode Antipa, non di qualche distaccamento romano. Era pagano, ma ben disposto verso il giudaismo, tanto che aveva costruito a sue spese la sinagoga di Cafarnao (§ 285); la sua bontà di cuore è confermata anche dal fatto che aveva uno schiavo al quale era affezionatissimo, trattandolo più da figlio che da schiavo. Ora, questo schiavo si era ammalato e stava in punto di morte; il desolato centurione, che aveva certamente tentato tutte le cure ma invano. Conosceva di fama Gesù, anzi proprio in quel giorno Cafarnao si doveva essere quasi svuotata perché molti si erano recati sulla vicina montagna ove il famoso taumaturgo teneva un gran discorso. Disperando dei medici, il centurione pensò spontaneamente al taumaturgo; ma non osava di proporgli il suo caso, anche perché non era stato in relazioni personali con lui. Si rivolse allora a Giudei insigni del paese, affinché parlassero a Gesù del moribondo pregandolo di far qualcosa per lui. I Giudei fecero l’ambasciata e raccomandarono vivamente a Gesù il desiderio del centurione: «È degno che tu gli conceda ciò: ama infatti la nostra nazione, e la sinagoga ci costruì (proprio) egli»  (Luca, 7, 15). Gesù, giudeo, fu accessibile a questa domanda giudaica: quel pagano era stato un benefattore anche di lui, perché della sinagoga di Cafarnao anche Gesù si era servito per pregare e predicare; senz’altro, quindi, s’avviò insieme con gli intercessori alla volta della casa del centurione. Ne era già in vista, quando fu incontrato da una seconda ambasceria inviatagli dal centurione. Costui sentiva una certa titubanza, motivata da scrupolo e da rispetto: la sua casa era pagana, cioè tale che un Giudeo osservante non avrebbe potuto entrarvi senza stimarsi contaminato; ed il famoso Gesù non avrebbe sentito interiormente ripugnanza a tale ingresso, o almeno non ne avrebbe riportato esteriormente disonore presso i suoi correligionari? Perciò la nuova ambasceria avvertì delicatamente Gesù da parte del centurione: «Signore, non ti disturbare! Non sono infatti degno che entri sotto il mio tetto; perciò neppure mi stimai degno di venire da te: ma comanda a parola, e sia sanato il mio servo! Anch’io, infatti, sono uomo ch’è messo sotto autorità, avendo sotto di me soldati, e dico a questo “Vai!” ed (egli) va, e ad un altro e “Vieni!” ed (egli) viene, ed al mio schiavo e “Fai ciò!” ed (egli lo) fa»  (Luca, 7, 6-8). Il centurione voleva giustificare la propria deferenza verso Gesù col suo spirito soldatesco. Egli conosceva bene ciò che i Romani d’allora chiamavano l’imperium e noi oggi chiamiamo la disciplina militare, e la esercitava sui propri soldati essendone sempre obbedito; Gesù, quindi, non si abbassasse fino a venire in casa sua, ma pronunziasse una sola parola d’imperium, e il suo comando sarebbe subito riconosciuto ed eseguito dalle forze della natura che opprimevano il moribondo. Udite tali cose, Gesù l’ammirò, e rivoltosi alla folla che lo seguiva disse: «Vi dico, neppure in Israele trovai tanta fede!». E subito la parola d’imperium aspettata dalla bocca di Gesù fu pronunziata, ed il malato fu guarito all’istante. Ma nel racconto evangelico tutto ciò passa quasi in seconda linea, mentre in prima linea rimane la tanta fede.

• § 337. A questo episodio il solo Luca soggiunge quello di Naim. In greco il nome è Nain, e si è conservato in quello arabo odierno. Il villaggio è situato alle falde del Piccolo Hermon, a una dozzina di chilometri da Nazareth e a una cinquantina da Cafarnao per la strada odierna, e oggi consta di poche e miserabili case con neppure 200 abitanti tutti musulmani; ai tempi di Gesù era certo in condizioni migliori, ma era egualmente di poca ampiezza e sembra che avesse un’unica porta nelle mura. A questa «borgatuccia» Gesù un giorno giunse accompagnato dai discepoli e da molta folla. Mentre egli stava per entrare nella porta delle mura, ecco uscirne un corteo funebre, indirizzato certamente a quel cimitero ch’è ancora oggi superstite a breve distanza dalle case e contiene antiche tombe scavate nella roccia. Portavano alla tomba un giovanetto; la madre del morto, ch’era vedova ed aveva quel solo figlio, seguiva la salma. Il caso era particolarmente pietoso, e forse ciò spiega anche perché «c’era molta folla della città insieme con essa», con la vedova (Luca, 7, 12): certamente tutti della borgata avevano risaputo della disgrazia e volevano condolersi con l’infelicissima madre. Di tutto il resto che Gesù vide in quest’incontro, non dice nulla il sapiente San Luca; per lo scrittore medico il triste corteo si riassume tutto nella madre piangente, e Gesù non vede che lei: «E vedutala, il Signore s’intenerì su di lei, e le disse “Non piangere!”». Queste due parole erano state certamente ripetute centinaia o migliaia di volte in quella giornata alla povera donna, ma rimanevano soltanto parole. Gesù andò oltre le parole; «e avvicinandosi toccò la bara - i portatori allora si fermarono - e disse: “Giovanetto, dico a te, alzati!”. E il morto si alzò a sedere, e cominciò a parlare; e (Gesù) lo dette alla sua mamma». La descrizione, come ognuno vede, è quanto di più vivo ed immediato si possa immaginare; ha perfino il realismo di far notare come i portatori si fermassero sorpresi da quell’inaspettato intervento, e come il morto, tornato in vita (ma sbalordito ben più dei portatori), per prima cosa si mettesse a sedere sulla bara, quasi per prendere tempo ad orientarsi e rendersi conto di quanto era successo. Se dunque si trattasse della descrizione d’un corteo nuziale qualsiasi, oppure d’una scena in cui Gesù semplicemente accarezzi bambini, nessun critico avrebbe trovato alcunché da ridire e tutti sarebbero stati d’accordo nell’accettare la narrazione tale quale, senza scoprirvi dei sottintesi. Ma qui c’è di mezzo il morto che risuscita; ed ecco perciò che il testo di Luca è stato collocato insieme con le presunte allegorie del IV Vangelo e considerato come un simbolo continuato: la madre vedova sarebbe - (secondo il violentatore della Scrittura e sfortunato modernista Alfred Loisy) - Gerusalemme, il figlio unico sarebbe Israele, il quale è strappato dalla morte e restituito alla madre mercé la potenza di Gesù. Basta però rileggere il testo di Luca per riscontrare se interpretazioni siffatte siano dettate da critica e storica, oppure da prevenzioni “filosofiche”, e se queste prevenzioni rispettino l’indole della narrazione oppure la deformino totalmente. [Libro utilizzato: «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti - riposi in pace!]. Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.