Stimati Associati e gentili Lettori, oggi parliamo di «Infallibilità» della Chiesa e del Romano Pontefice. Per iniziare studieremo l’«Enciclopedia Cattolica», Vaticano, 1951, coll. 1920 ss., alla voce Infallibilità, successivamente altri testi utili, infine il dogma enunciato nella «Pastor Æternus» del 18 luglio 1870, da Papa Pio IX in Concilio Vaticano. Al bisogno potete approfondire sui punti di «Denzinger» qui suggeriti. L’infallibilità è quella prerogativa soprannaturale, per cui la Chiesa ed il Papa non possono errare nel professare e definire la dottrina rivelata, per una speciale assistenza divina. L’infallibilità non esclude soltanto l’errore di fatto, ma anche di diritto, eliminando ogni possibilità di deviazione nel campo dottrinale. L’infallibilità della Chiesa differisce da quella di Dio, dalla quale deriva per partecipazione; non implica né manifestazione di nuove verità, né impulso soprannaturale a scrivere, ma un’assistenza divina (attribuita allo Spirito Santo) che dirige tutto l’insegnamento ecclesiastico con interventi negativi e positivi, impedendo la formulazione definitiva di falsi giudizi e indirizzando le menti del corpo docente alla retta comprensione e rielaborazione del dato rivelato. Attraverso questa assistenza è garantita pure l’infallibilità del credente, che aderisce (integralmente, ndR) alla dottrina proposta alla sua fede da un Magistero infallibile. L’assistenza divina non esclude i mezzi umani di ricerca della verità rivelata e dei suoi sviluppi, ma li suppone, li promuove e li preserva da deviazioni nel loro risultato finale. L’infallibilità non è, dunque, l’onniscienza, l’impeccabilità, la taumaturgia abituale del Papa, né l’unione ipostatica di tutti i vescovi con lo Spirito Santo, come non raramente viene presentata dai protestanti. L’infallibilità della Chiesa, in genere, non è mai stata formalmente definita come dogma, ma deve indubbiamente ammettersi quale verità rivelata proposta dal Magistero ordinario e universale; è supposta dal Concilio Vaticano nella definizione dell’infallibilità del Papa (Costituzione dogmatica Pastor Æternus, cap. 4; Denz-U, 1839; Denzinger ed. 2009, 3073-3074, ndR); può stabilirsi, con tutta certezza, dall’esame dei testi neotestamentari e dalla primitiva tradizione. 1) La Chiesa, nel Nuovo Testamento, appare investita della stessa missione e dello stesso potere di Cristo. Ora la missione ed il potere di Cristo ebbero per oggetto la predicazione della dottrina ricevuta dal Padre: cf. Mt. 18, 18; 28, 18-20; Mc. 16, 15-16. 20; Lc. 10, 16; Rom. 1, 5; I Cor. 1, 17; II Cor. 5, 20; 10, 4; I Tim. 1, 19; I Io. 2, 24; II Io. 1, 10. 2) I testi della solenne investitura dei poteri di Cristo agli Apostoli (Mt. 28, 18-20 e Mc. 16, 15-16), oltre la missione generale d’insegnare con il compito di «far discepoli», promettono un’assistenza efficace, i cui limiti di tempo sono gli stessi della durata del mondo presente. «Io sono con voi» è, nell’uso biblico, assicurazione divina di buon esito della missione affidata da Dio ai suoi messi, missione che nei testi citati è conservazione ed insegnamento orale del Vangelo. 3) Gesù Cristo minaccia la dannazione eterna a chi non crederà alla predicazione apostolica (Mc. 16, 16); minaccia assurda se il Magistero della Chiesa potesse concepirsi in disarmonia con la dottrina del Maestro. 4) Gesù indicò anche la causa soprannaturale dell’infallibilità additandola nello spirito di verità, che, posseduto e operante, assisterà gli Apostoli, come suoi testimoni ed interpreti della sua dottrina, illuminandoli, santificandoli con ogni verità, facendoli una cosa sola con Lui e con il Padre (Lc. 24, 48-49; Io. 14, 16 segg. 26; 15, 26; 16, 7-14; 17, 17; Act. 1, 8 e 2, 4). 5) Gli Apostoli, d’altronde, appaiono pienamente consapevoli della loro infallibilità (Act. 5, 32; 15, 28) e trasmettono i loro poteri ai successori (I Tim. 4, 11-16; II Tim. 2, 2; Tit. 1, 5) secondo una legge di successione chiaramente attestata da san Clemente Romano (Cor. 44, 1) e contemplata già nelle promesse di Gesù. 6) I Padri più vicini agli Apostoli riecheggiano lo stesso insegnamento. Per sant’Ignazio d’Antiochia i vescovi sono la dottrina stessa di Cristo, come questi è la dottrina del Padre; ad essa devono unirsi i fedeli (Ephes., 3, 2; cf. Philadelp., 3, 2). Per sant’Ireneo la dottrina apostolica, pervenuta mediante la successione dei vescovi, è il criterio per discernere la verità dall’eresia (Adv. haer., 1, 10, 1; 3, 3, 1; 3, 4, 1). Ma il Collegio episcopale, erede dei poteri del Collegio apostolico, infallibile sia nelle solenni definizioni dei Concili, sia nel Magistero ordinario e universale, esplica la sua missione di insegnamento soltanto in subordinazione al suo capo, secondo la divina istituzione del primato, che racchiude, perciò, nella sua stessa natura, l’infallibilità, attributo inseparabile dal Magistero universale (sia esso ordinario o straordinario, ndR). Il Papa è anzi l’unico soggetto immediato o diretto, o la fonte, rispetto alla Chiesa, dell’infallibilità, secondo la speculazione teologica oggi prevalente, insinuata anche da un testo della Mystici corporis (AAS, 35 [1943], p. 216), e già formulata così dal teologo passionista Giacomo del S. Cuor di Maria: «Il Papa non è infallibile da sé, ma da lui, Gesù; nondimeno il Papa è infallibile per sé come per sé è infallibile Gesù Cristo. Laddove la Chiesa non è infallibile né da sé, né per sé ma da Cristo per il Papa».
La conclusione scaturisce dall’indole universale dell’insegnamento papale, poiché dove si trova insegnamento ecumenico (ossia universale, ndR) in tutta la sua intensità, ivi è pure esercizio d’infallibilità. Per questo i testi biblici che stabiliscono il primato fanno pure fede dell’infallibilità pontificia. Così in Mt. 16, 18-19 le tre immagini parallele di fondamento, di clavigero, di legatore e scioglitore, in funzione di vicario di Cristo, autenticato nelle sue decisioni dal Cielo, assegnano a Pietro, con gli altri poteri sovrani, anche quello del supremo Magistero. In Io. 21, 15-17 è anche più esplicitamente indicato l’incarico di pascere l’intero gregge di Cristo. Indicazione specifica dell’infallibilità pontificia si ha in Lc. 22, 31-32. Gesù ha appena risposto alle contese dei Dodici sul primato, inculcando loro il nuovo spirito dell’autorità (24-27), quando affida a Pietro, ripetendo anteriori designazioni, l’ufficio di confermare nella fede tutti i fratelli. Sembra una applicazione di Mt. 16, 18-19, un particolare della lotta ivi annunciata tra la Chiesa e le potenze infernali. Molti Padri e il Concilio Vaticano (1870, ndR) hanno veduto in questo testo la chiara affermazione dell’infallibilità pontificia (Costituzione dogmatica Pastor Æternus, cap. 4; Denz-U, 1836; Denzinger ed. 2009, 3069-3070, ndR). Sant’Ireneo in un testo celebre (Adv. haer., 3, 3, 2) afferma apertamente il supremo Magistero della Chiesa romana, impersonata nei suoi vescovi (uniti al Papa, ndR), radice dell’unità dottrinale della Chiesa universale, assommando in sé le qualifiche di teste, di custode e d’organo della Tradizione apostolica, di criterio pienissimo di verità contro tutte le eresie [...]. Tertulliano è costretto a constatare, suo malgrado, che il vescovo di Roma è riconosciuto come l’arbitro della comunione e ortodossia universale (Adv. Prax., 1). Particolarmente attestata è fin dai primi secoli cristiani l’usanza del ricorso a Roma ad ogni insorgere di qualche pericolo per la fede, come sono numerosi e decisivi gl’interventi pontifici contro le eresie. I casi di san Dionigi di Alessandria, del pelagianesimo, del nestorianesimo e del monofisismo, con le decisioni dei papi san Innocenzo I, san Zosimo, san Bonifacio I, san Celestino I e san Leone Magno, nonché la formola di san Ormisda sono tra i più noti e dimostrativi (Denz-U, 100, 109, 110, 112, 149, 171; Denzinger ed. 2009, 217, 221, 232, cit. 3056, accresciuto in 306, 363-364, ndR). [Come potete notare, nelle parentesi sto indicando la concordanza fra i punti di Denzinger anteriore al 1963 e quello attuale, ndR]. Dopo un riconoscimento, che in Occidente può considerarsi quasi ininterrotto, si giunge al II Concilio di Lione (1274), che proclama il Papa «giudice definitivo delle questioni intorno alla fede» (Denz-U, 466; Denzinger ed. 2009, 861, ndR). La parentesi conciliarista poté parer chiusa quando il Concilio di Firenze (1445) chiamò il Papa «Dottore supremo di tutti i cristiani», munito di pieno potere (Denz-U, 694; Denzinger ed. 2009, 1307, ndR), ma al contrario l’errore si diffuse largamente ed il gallicanesimo persistette nella pericolosa via affermando che il Papa non è infallibile «nisi Ecclesiæ consensus accesserit» (Denz-U, 1325; Denzinger ed. 2009, 2281 - 2285, ndR). Toccò al Concilio Vaticano (1870) riaffermare solennemente la Tradizione e spiegare in un quadro meglio definito la locuzione ex-cathedra, escludendo così le esagerazioni e le incertezze di alcuni infallibilisti (Denz-U, 1832-40; Denzinger ed. 2009, 3065-75, ndR). La definizione ex-cathedra, unico caso in cui si abbia, strettamente parlando, esercizio dell’infallibilità pontificia, non si verifica se non quando il Papa si pronuncia con sentenza manifestamente definitiva e destinata a tutta la Chiesa, mettendo in opera tutto il suo potere dottrinale ecumenico (ovvero universale, ndR).
L’infallibilità è nel Papa prerogativa personale, non perché come persona privata egli sia garantito da errore o da eresia, questione libera, ma nel senso che è infallibile ciascuno dei successori di Pietro, senza eccezione, e non la sola serie o la Sede romana considerate come ente morale, secondo le pretese di certi gallicani. Potrebbe anche dirsi personale, con intenti più positivi, per escluderne la comunicabilità: essa infatti non può delegarsi. Fu e talvolta è ancora detta «assoluta» e «separata», termini da molti rigettati, ammissibili solo nella funzione storica di esclusione della condizione del consenso della Chiesa, sotto la quale condizione (che la minerebbe in radice), erano disposti ad accettarla anche gli ultimi gallicani, che tentarono, ma invano, di introdurvi almeno un accenno nella definizione vaticana. Il Concilio Vaticano non definì però l’oggetto dell’infallibilità pontificia, limitandosi a dichiararlo identico a quello dell’infallibilità della Chiesa, che alcuni Padri avrebbero voluto fosse definito prima. Su questo argomento però si hanno precise indicazioni del Magistero ordinario e una dottrina bene elaborata dai teologi. Deve ritenersi di fede che la Chiesa è infallibile nell’insegnamento di quanto è esplicitamente o implicitamente rivelato, secondo l’accezione di esplicito e implicito più comune nella teologia odierna. La custodia, spiegazione e proposizione della dottrina stessa del Divin Maestro fu infatti affidata al Magistero apostolico. L’ampiezza di questo oggetto è indicata chiaramente nei termini stessi che garantiscono l’infallibilità: nel suo ambito stanno «ogni verità» rivelata agli Apostoli dallo Spirito Santo (Io. 14, 26; 16, 13), «tutta la predicazione» di Gesù (Mt. 28, 20), «le parole di Gesù venute dal Padre» (Io. 17, 6-8), «il Vangelo del Regno» (Mt. 24,14; 26, 13). Logicamente vi è compresa l’infallibilità nella condanna dell’eresia, che si oppone contraddittoriamente alla Verità rivelata. Per questa prerogativa può ancora la Chiesa infallibilmente fissare il canone della Sacra Scrittura, dichiarare l’estensione dell’ispirazione biblica, definire il senso di un testo biblico dogmatico, scegliere formole dogmatiche adatte ecc. Tutto ciò viene dalla maggior parte dei teologi moderni chiamato l’oggetto diretto o primario dell’infallibilità.
Nell’oggetto secondario vengono raggruppate quelle che con termine generico si chiamano «verità connesse». Le quali formalmente non si trovano nella Rivelazione, ma sono con questa così strettamente legate, che vi si possono dire virtualmente contenute. L’errore intorno a queste applicazioni del principio rivelato scuoterebbe le stesse basi su cui poggiano e metterebbe in pericolo la fede. Le verità connesse devono quindi ritenersi presenti nella mente del Divin Maestro nell’atto di comunicare la sua Rivelazione, come in ogni essere intelligente sono logicamente presenti le conseguenze più immediate delle sue affermazioni. Le classi più considerate di queste verità connesse sono quelle delle conclusioni teologiche dei fatti dogmatici, della canonizzazione, della legislazione ecclesiastica. La connessione della canonizzazione con la Rivelazione appare dal fatto che essa non è se non l’applicazione concreta di due articoli di fede, quello sul culto dei santi e l’altro della comunione dei santi, oltre che interessa lo stesso costume religioso cristiano, essendo il canonizzato proposto anche come modello di perfetta virtù. Per la legislazione il nesso si rivela nella dipendenza che questa ha dai principi morali rivelati, che vengono qui interpretati e applicati per tutta la Chiesa. Un caso particolare è costituito dall’approvazione solenne degli Ordini religiosi, tali in senso stretto. Con essa la Chiesa dichiara che un genere di vita è via sicura alla perfezione cristiana. L’infallibilità non coinvolge però un giudizio di maggiore o minore prudenza nella promulgazione delle leggi ecclesiastiche universali. Il principio dell’infallibilità intorno all’oggetto secondario ha per sé il consenso unanime della teologia cattolica, anzi la sua certezza vorrebbe da alcuni teologi, animati dall’ampiezza delle promesse di Cristo, elevarsi al grado di fede divina (accenni del Magistero ecclesiastico in merito in Denz-U, 1698, 1722, 1817, 2005; Denzinger ed. 2009, 2895, passo da 2901 a 2980, 3042, passo da 3401 a 3465, ndR). L’assenso dovuto dai fedeli alle definizioni intorno alle verità connesse è detto generalmente assenso di fede ecclesiastica. [...]. Fine della citazione.
Adesso passiamo rapidamente dall’«Enciclopedia Cattolica», fino ad ora usata, al testo «Dall’Opinione al domma», parte I, Note e Censure particolari, Magistero ex cathedra, del commentatore Sisto Cartechini: «La definizione vaticana (contenuta in Pastor Æternus, ndR) non precisa l’oggetto dell’infallibilità pontificia, ma la dichiara identica a quella della Chiesa nel suo oggetto primario, cioè nell’insegnamento di quanto è esplicitamente o implicitamente rivelato in materia di fede e di costumi. Ma è evidente che non si possono escludere dal dominio della infallibilità pontificia le cosiddette “verità connesse”, le quali, benché non si trovino formalmente nella rivelazione, sono con questa così strettamente congiunte che vi si possono dire virtualmente contenute: un errore intorno a ciò metterebbe in pericolo la stessa fede. Tali verità sono le conclusioni teologiche, i fatti dommatici, la canonizzazione dei santi e la legislazione ecclesiastica». Chiarezza e volontà di definire: «Parlando poi ex cathedra il Papa può usare varie forme nel proporre una verità di fede: bolle, encicliche, lettere apostoliche, brevi; può servirsi anche di concili particolari col dare conferma solenne alle loro decisioni. L’importante è che l’intenzione del Pontefice di definire una dottrina sia manifesta con certezza: per questo non si richiede una forma determinata, né egli è tenuto a servirsi di un mezzo piuttosto che d’un altro».
È indubitabile sul piano della fede, ma è anche semplicemente logico, che la Chiesa non può dottrinalmente indicare bene ciò che è male, non può moralmente chiamare virtù ciò che è vizio, non può vincolare i fedeli al culto universale di un dannato o presunto tale, non può indicarlo come esempio da imitare per salvarsi, non può legislativamente obbligare al male od al vizio, non può, in senso stretto, approvare regole di vita religiose che siano vie alla dannazione. Pertanto la Chiesa non può errare in tali questioni e, per conseguenza, non può costringere i fedeli alla disobbedienza ordinaria, infine alla ribellione. Dice il Signore: «Qui vos audit, me audit; et, qui vos spernit, me spernit; qui autem me spernit, spernit eum, qui me misit», e questa sentenza, in chi ha fede, basta e avanza!
(A cura di CdP)