Stimati Associati e gentili Lettori, oggi parliamo di «esegesi». Secondo il «Dizionario di teologia dommatica», Piolanti, Parente, Garofalo, Studium, Roma, Imprimatur 1952, pagina 117: «L’esegesi è l’arte di trovare e proporre il vero senso di un testo e, nel campo teologico, di un testo della Sacra Scrittura. L’esegesi è arte in quanto applica le norme di ordine razionale e di ordine teologico che la scienza ermeneutica stabilisce. Il processo di interpretazione di un testo biblico passa dalla fissazione del testo stesso mediante i principi della critica testuale e, per mezzo delle regole dettate dall’ermeneutica, né dà la esatta esegesi, ricorrendo eventualmente alla critica letteraria per accertare il genere letterario del libro in cui è contenuto il testo in esame ed alla critica storica per ambientarlo nel suo tempo. Scopo supremo dell’esegesi è far brillare attraverso le parole umane la pienezza della luce e del pensiero divino». Di questa definizione prettamente accademica ci faccia riflettere particolarmente la conclusione degli autori: «Scopo supremo dell’esegesi è far brillare attraverso le parole umane la pienezza della luce e del pensiero divino». A cosa serve, pertanto, l’esegesi? A far brillare la pienezza della luce e del pensiero divino. L’esegesi di coloro i quali pretendono di dare lustro alle proprie opinioni, oscurando il pensiero divino, è, in realtà, una falsificazione tipicamente protestante o moderna. Impareremo il perché. La Chiesa comanda di leggere la Scrittura attraverso la sapienza del Magistero (cf. «Denzinger», numeri 325, 3792s, 3826, 3828, 3888s, ecc…). Definisce solennemente che «l’estensione dell’ispirazione (divina) si estende a tutti i Libri riconosciuti dalla Chiesa con tutte le loro parti» (Op. cit., numeri 1504, 3006, 3029). Poiché «il Canone, comprese le Lettere di san Paolo, fu stabilito dalla Chiesa» (Op. cit., numeri 179s, 186, 213, 1335, 1520s) e «questo Canone deve essere riconosciuto esclusivamente e con tutte le sue parti» (Op. cit., numeri 202, 213, 354, 1504, 1863, 2538, 3006, 3029). Senza l’intervento della Chiesa docente è impossibile riuscire a «decifrare l’ispirazione» e quindi anche a «comprendere correttamente la Scrittura», tanto che il dotto Sant’Agostino scrive ai Manichei: «Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica»(Contra ep. man., 5, 6; cf. Contra Faustum, 28, 2); ai Donatisti ricorda «l’universalità» e «l’antichità» della «Tradizione apostolica» (De bapt., 4, 24, 31); ai Pelagiani insegna che «deve ritenersi per vero ciò che la Tradizione ha tramandato» (Contra Iul., 6, 5, 11), poiché i Padri «hanno insegnato alla Chiesa ciò che hanno imparato nella Chiesa» (Opus imp. c. Iul., 1, 117; cf. Contra Iul., 2, 10, 34), dimostrato che fuori dalla Chiesa non si imparano le cose sante. Contro gli oppositori, si può presentare anche l’inoppugnabile verità storica. Purtroppo, oggigiorno, molti «[…] modernisti sostengono e quasi compendiano in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore […]» («Pascendi Dominici gregis», san Pio X). Dunque, anche nelle loro esegesi, evidentemente violentano il pensiero divino, magnificando le loro falsificazioni. Di essi ci avverte il Signore: «Sinite illos: caeci sunt, duces caecorum. Caecus autem si caeco ducatum praestet, ambo in foveam cadent» (s. Mt., XV, 14). Afferma Papa Pio XII: «Reca dispiacere il fatto che non pochi di essi (autori moderni o novatori), [...] quanto più volentieri innalzano l’autorità di Dio Rivelatore, tanto più aspramente disprezzano il Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire e interpretare le verità rivelate da Dio. […] E perciò taluni, più audaci, sostengono che ciò possa, anzi debba farsi, perché i misteri della fede, essi affermano, non possono mai esprimersi con concetti adeguatamente veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli» (Humani generis). Proviamo a ragionare con logica semplicità usando il pensiero del Pontefice. La Chiesa, attraverso la sua esegesi, NON attraverso quella di terzi, fa brillare e ci comunica la pienezza della luce e del pensiero divino. Il pensiero divino è immutabile ed esclude l’errore (difatti "è luce"), dunque è inammissibile e falsa l’esegesi che pretenda di far cadere Dio in contraddizione sui medesimi argomenti. Il principio di non contraddizione è proprio del pensiero di Dio, dunque della Chiesa, cosicché Papa Pio XII conclude contro questi moderni “sapientoni”: «I Pontefici infatti – essi vanno dicendo – non intendono dare un giudizio sulle questioni che sono oggetto di disputa tra i teologi; è quindi necessario ritornare alle fonti primitive, e con gli scritti degli antichi si devono spiegare le costituzioni e i decreti del Magistero. Queste affermazioni vengono fatte forse con eleganza di stile; però esse non mancano di falsità. Infatti è vero che generalmente i Pontefici lasciano liberi i teologi in quelle questioni che, in vario senso, sono soggette a discussioni fra i dotti di miglior fama; però la storia insegna che parecchie questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in seguito non potevano più essere discusse».
Quando accade che tali questioni non possono più essere discusse? Quando la Chiesa, negli specifici argomenti, grazie ad una sua espressione, fa brillare e ci comunica la pienezza della luce e del pensiero divino. Contro i falsari dell’esegesi biblica e contro le loro pestilenziali conclusioni, che ordinariamente si contrappongono alle definizioni di Magistero, la Chiesa si è sempre scagliata con grande risolutezza. La «Traditi Humilitati» (24 maggio 1829) di Pio VII condanna le nuove traduzioni della Bibbia diffuse senza l’Imprimatur, la «Qui Pluribus» (9 novembre 1846) di Pio IX condanna le società bibliche, la «Quanta Cura» (8 dicembre 1864) di Pio IX condanna la libertà di coscienza e di culto e nuovamente le società bibliche, la «Nobilissima Gallorum Gens» (8 febbraio 1884) di Leone XIII condanna i sacerdoti che vanno a ruota libera, la «Pascendi Dominici gregis» (8 settembre 1907) di san Pio X condanna «quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo», etc. Fino ad arrivare ai monumenti di Magistero che pongono una lapide sul pensiero moderno, sulle sette laiche, sulle società bibliche o, più genericamente, sulla Nouvelle Théologie: la «Mystici Corporis Christi» (29 giugno 1943) e la «Humani generis» (12 agosto 1950) di Pio XII.
La Santa Romana Chiesa, interpretando infallibilmente il pensiero di Dio nel suo Magistero, anatematizza a perpetua memoria tutti i mentovati e molti altri erranti intorno alla fede, alla morale, al culto, alla disciplina, all’interpretazione della Scrittura, etc. In conclusione, la vera Chiesa, quella fondata da Gesù Cristo, la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, con la Prima Cattedra in Roma, comanda che si ricorra alla tradizione dei Padri per interpretare la Scrittura. Sto introducendo il «principio di convergenza dei Padri».
La stessa vera Chiesa giudica e condanna (cf. s. Mt. XVI, 19) ogni altra tendenza e quei soggetti sovversivi e diffamatori di Dio, per usare le parole di Papa Gregorio IX. In epoca contemporanea molti “esegeti” dimostrano di essere, chi più chi meno, dei sovversivi e diffamatori di Dio. Nei prossimi articoli studieremo il «principio di convergenza dei Padri» ed infine alcuni passi della «Providentissimus Deus» (18 novembre 1893) di Papa Leone XIII, della «Spiritus Paraclitus» (15 Settembre 1920) di Papa Benedetto XV e della «Divino Afflante Spiritu» (30 settembre 1943) di Papa Pio XII, dove particolarmente si affronta l’argomento. Il dossier proseguirà anche sui prossimi numeri di Sursum Corda, essendo molto lungo.
(A cura di CdP)