Stimati Associati, gentili Lettori, il 6 agosto dell’anno 523 moriva Papa sant’Ormisda. Ogni legittimo Pontefice ci ha lasciato in eredità il grande tesoro del suo Magistero, che, senza trascurare i nostri doveri di stato e senza travalicarne i limiti, faremmo bene a meditare con filiale attenzione. La Professione di fede che ci accingiamo a studiare era destinata al clero che rientrava dallo scisma acaciano. Oggi risulta insolito parlare di scisma, dato che ognuno sembra predicare e praticare la propria ‘esclusiva’ fede sentimentale, generalmente un misto di relativismo, naturalismo e fideismo, noncurante di qualsiasi autorità, nell’indifferenza di chi dovrebbe essere l’autorità, eppure la storia ci insegna che la Chiesa ha sempre e santamente vigilato sull’unità di fede e di governo. Tra le diverse versioni, di poco differenti l’una dall’altra, viene qui riportata quella che sant’Ormisda consegnò al suo legato l’11 agosto 515. Essa fu sottoscritta a Costantinopoli il 18 marzo 517. È molto vicina a questa versione della formula un’altra che fu allegata alla lettera Inter ea quae, indirizzata ai vescovi della Spagna in data 2 aprile 517. Il 16 marzo 536 l’imperatore Giustiniano ed il patriarca Menas di Costantinopoli (Collectio Avellana, Lettera 89 90) e più tardi anche il Concilio di Costantinopoli IV (Sessione 1) sottoscrissero una formula di questo tipo (cf. Denzinger, 363-365; pag. 208-209). Leggiamo: «(1) L’inizio della salvezza è custodire la regola della retta fede e non deviare in nessun modo da quanto stabilito dai Padri. E giacché non si può non tenere conto della sentenza del Signore nostro Gesù Cristo, che dice: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa [Mt 16,18], quanto fu detto vien dimostrato dai fatti che seguirono, giacché presso la Sede Apostolica la religione cattolica è sempre stata conservata immacolata. (2) Non desideriamo dunque affatto separar(ci) da questa speranza e (questa) fede e, seguendo in tutto quanto i Padri hanno stabilito, anatematizziamo tutte le eresie, particolarmente l’eretico Nestorio, che è stato a suo tempo vescovo della città di Costantinopoli, (e fu) condannato nel Concilio di Efeso da Celestino, papa della città di Roma e da san Cirillo, vescovo della città di Alessandria; assieme a costui, anatematizziamo Eutiche e Dioscoro d’Alessandria, condannati nel santo Concilio di Calcedonia, che seguiamo e abbracciamo [e che sulle orme del s. Concilio di Nicea proclamò la fede apostolica]. (3) Aggiungiamo a costoro [Detestiamo anche] il traditore Timoteo soprannominato Eluro, e il suo discepolo e in tutto (suo) seguace Pietro d’Alessandria; così pure condanniamo [anche] e anatematizziamo Acacio, vescovo di Costantinopoli, condannato dalla Sede Apostolica, loro complice e seguace, oppure coloro che sono rimasti nella condivisione di comunione con loro: giacché [Acacio] meritò nella condanna un giudizio simile (a quello) di coloro alla cui comunione si unì. Condanniamo non di meno Pietro d’Antiochia con i suoi seguaci e (i seguaci) di tutti i sopraddetti. (4) Conseguentemente accogliamo [invece] e approviamo tutte le lettere del beato papa Leone, da lui scritte circa la religione cristiana. Quindi, come abbiamo sopra detto, seguiamo in tutto la Sede Apostolica e proclamiamo tutto quanto è stato da essa stabilito, [E perciò] spero di meritare di essere nell’unica comunione con voi, (quella) proclamata dalla Sede Apostolica, nella quale c’è l’integra e verace [e perfetta] solidità della religione cristiana: promettiamo [prometto] anche [in futuro] di non leggere durante i misteri i nomi di coloro che sono stati allontanati dalla comunione con la Chiesa cattolica, cioè coloro che non sono d’accordo con la Sede Apostolica. [Che se cercherò in qualcosa di deviare dalla mia professione, professo che per il mio stesso giudizio sono complice di quanti ho condannato]. (5) Questa mia professione poi [io] (l’)ho sottoscritta di propria [mia] mano e (l’)ho consegnata [mandata] a te, Ormisda, santo e venerabile papa della città di Roma ...».
A cura di CdP