Stimati Associati e gentili Sostenitori, la scorsa settimana concludevamo accennando - con l’opuscolo SOS «Fuori della Chiesa non c’è salvezza», Giovanni Re - che Dio vuole seriamente e sinceramente l’eterna salvezza di tutti ed a tutti concede i mezzi necessari per giungere alla felicità. Dio, inoltre, non comanda delle cose impossibili. I detrattori vogliono il contrario, dunque le loro conseguenze sono semplicemente e assolutamente false, contrarie agli insegnamenti più elementari della ragione e della fede. Che siano false lo proveremo subito, ma intanto notiamo: se le deduzioni ricavate con rigore logico da un principio sono false, è falso il principio stesso. Nel caso nostro dunque è falso che «chi è veramente in buona fede non si possa salvare». Posto questo, dimostriamo che le conseguenze tratte da questo principio sono false.
• Falsità della prima conseguenza. Prima di tutto è certo che Dio vuole con volontà sincera e seria salvare tutti gli uomini. Come potrebbe avere chiamato all’esistenza tante creature ragionevoli, che portano in sé l’impronta sublime delle Sue divine perfezioni e possiedono un raggio della Sua luce, senza provvederle abbondantemente con generosa e divina bontà e larghezza dei mezzi necessari per raggiungere lo scopo finale, ad esse da Lui assegnato, l’appagamento delle loro più intime e naturali aspirazioni di felicita ? Gesù dice nel Vangelo (Matt., VI, 26 ss.) che egli pensa agli uccellini dell’aria: non conoscono essi il tempo della semina né l’epoca della messe, sono incapaci di prevedere l’avvenire e di provvedersi a tempo, ma il loro Creatore pensa anche per essi al necessario nutrimento. Egli riveste i fiori del campo con tale grazia ed eleganza di tinte e di forme, che nessun re su questa terra vestì mai con tanto splendore. Non può davvero dimenticare e abbandonare a se stesso l’uomo, costituito da Lui signore e re della natura creata irragionevole, arricchito dei Suoi doni soprannaturali più preziosi e destinato alla vita immortale del Cielo. Dio è padre; è il padre nostro per eccellenza, che sta nei cieli, che prova per le Sue creature, specialmente per l’uomo, capolavoro della Sua potenza creatrice, quei sentimenti di amore e di tenerezza che prova un padre terreno, ma elevati al più alto grado. «Tu hai pietà hai tutti, perché tutto puoi... Tu ami tutti gli esseri e nulla aborri di quanto hai fatto» (Sap., XI, 23-24).
• Gesù redentore di tutti. Il segno più evidente del Suo amore e della Sua volontà di salvarli tutti è il dono immensamente prezioso, trascendente ogni nostro concetto e desiderio, che Dio ha fatto al mondo. «Sì, Dio tanto ha amato il mondo, che ha dato il suo Figliuolo unigenito, affinché chiunque in Lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna» (Giov., III, 16). E il Figlio di Dio è disceso, dal cielo, «e il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi» (Giov. I, 14); è apparso in mezzo agli uomini come Maestro e Redentore. Gesù è «la vera luce, che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (Giov., I, 9). Queste parole non devono restringersi soltanto ad una parte del genere umano, cioè ai credenti, ma debbono estendersi anche agl’infedeli, e intendersi nel loro senso generale, comprendente tutti i singoli uomini in qualsiasi condizione di vita si possano trovare. Gesù è Redentore: per tutti e singoli gli uomini ha assunto la natura umana, ha offerto se stesso come vittima di espiazione e di salvezza al Padre, ha voluto sostenere i più dolorosi tormenti, la morte stessa, versando tutto il Suo preziosissimo Sangue sopra un infame patibolo, come il più vile rifiuto dell’umanità in un abisso senza confini di sofferenze e di umiliazioni. «Egli è la vittima di Propiziazione per i nostri Peccati: e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (I Giov., II, 2). «Per tutti è morto il Cristo» (II Cor., V, 15), esclama l’Apostolo San Paolo. E lo stesso Apostolo scrive nella prima lettera a Timoteo (I Tim., II, 4; 5, 10): «Dio nostro Salvatore, il quale vuole che tutti si salvino e giungano al conoscimento della verità... È salvatore di tutti gli uomini e specialmente dei credenti».
• A tutti dà i mezzi necessari. Sarebbe per lo meno assurdo pretendere che Dio vuole con volontà seria e operosa la salvezza di tutti gli uomini, se poi non concedesse loro, nelle condizioni particolari di esistenza in cui di fatto si trovano, gli aiuti necessari e sufficienti della Sua grazia perché possano, con la loro libera cooperazione, giungere a salvezza. Sono due fattori, starei per dire, ugualmente necessari, la grazia salvifica di Dio e la libera collaborazione della volontà dell’uomo. Perché, se è vero, secondo l’espressione di Sant’Agostino, che qui creavit te sine te, non salvabit te sine te, è tanto più vero che, privo dell’aiuto divino, da sé l’uomo non può fare nulla per ottenere la salvezza. «Senza di me, voi non Potete far nulla» (Giov., XV, 5). Sarebbe veramente irrisorio il modo di agire di un ricco signore, il quale promettesse ad un povero, bisognoso delle cose più necessarie alla vita, di aiutarlo generosamente nelle sue estreme necessità; e poi si contentasse di dargli solo delle buone parole o degli aiuti, non soltanto ipotetici, ma impossibili ad aversi. Non si potrebbe e si dovrebbe dire altrettanto di Dio, se, protestandosi Egli solennemente di volere la salvezza di tutti, non mettesse alla loro libera disposizione gli aiuti convenienti per raggiungere in realtà la felicità eterna? «A tutti gli uomini, così l’Autore del libro della vocazione delle Genti (L. II, c. 21), la multiforme e ineffabile bontà di Dio ha sempre provveduto e provvede in tale modo, che e nessuno di coloro, che vanno perduti, possa portare come scusa che gli è stato negato il lume della verità, e nessuno possa gloriarsi della sua giustizia».
• È evidente che non uno solo, di coloro che si perdono, potrà davanti al tribunale supremo ed inappellabile di Dio scusarsi, affermando di non aver avuto dalla bontà divina gli aiuti necessari, anzi abbondanti, per potersi salvare, se l’avesse voluto; ma dovrà battersi dolorosamente il petto dicendo il mea culpa. Uno dei motivi, per cui alla fine di questo mondo visibile, si terranno le universali assise del genere umano è appunto questo, perché si possa da tutti constatare che se uno si è perduto eternamente non ne può attribuire la colpa a Dio, come se non avesse ricevuto i mezzi necessari per la salvezza, ma unicamente a se stesso, che non ha corrisposto alla grazia divina sino al termine della vita. Bisogna dunque ammettere che Dio vuole, con volontà sincera ed operosa, la salvezza di tutti gli uomini; è una verità luminosa, come appare da quanto ora abbiamo detto.
• Falsità della seconda conseguenza. Parimenti è certo che Dio non può imporre agli uomini delle leggi e dei precetti impossibili. Condizione prima ed essenziale di una legge giusta è che sia ragionevole, ordinata al bene generale: dev’essere quindi adattata e proporzionata alle comuni possibilità fisiche e morali dei sudditi. Una legge impossibile ad osservarsi non è legge, perché è contraria al concetto stesso di legge. Se il legislatore volesse punire il trasgressore di una pretesa legge siffatta, questi potrebbe con tutta ragione, a capo alto, opporsi e protestare, dicendo che una simile punizione è ingiusta, perché egli era nell’impossibilità di osservarla. Non ci può essere dubbio su questo punto. Dunque Iddio, che è la sapienza, la giustizia e la bontà stessa, non può imporre agli uomini dei precetti per essi impossibili. Ne viene di conseguenza che ogni uomo adulto, in qualsiasi condizione particolare di fatto in cui si può trovare, deve poter compiere, con gli aiuti divini, quanto Dio esige da lui, finché egli per sua colpa non si metta nell’impossibilità morale di poterlo fare. Bisogna dunque conchiudere necessariamente che tutti, anche coloro i quali ignorano invincibilmente la Chiesa, si possono salvare, purché siano uomini di buona fede e di buona volontà, che osservano fedelmente quanto loro viene intimato dalla voce della coscienza onesta e corrispondono e cooperano sinceramente alla grazia. Dio, che vuole la salvezza di tutti, alla cui onnipotenza non mancano i mezzi più efficaci, saprà rimediare alle conseguenze di un’ignoranza non colpevole e fare in modo che possano ottenere la grazia e la salvezza eterna.
• La dottrina della Chiesa. Anche questa è dottrina chiaramente insegnata dalla Chiesa, per mezzo dei Padri e dei Dottori e dei Sommi Pontefici in molti documenti. Segnaliamo tre casi speciali, da cui risulta abbastanza preciso e limpido l’insegnamento della Chiesa.
• Un imperatore. Il Primo caso, che più di qualche volta si verificò, è quello di un catecumeno, il quale studiava e imparava la religione cattolica e si preparava ad entrare nella Chiesa, sospirando il giorno in cui vi sarebbe ammesso, e fu sorpreso dalla morte, senza essere stato visibilmente ricevuto nel seno della Chiesa stessa, per mezzo del battesimo sacramentale. Abbiamo nella storia della Chiesa, nella vita di Sant’Ambrogio, un caso celebre a questo proposito. Il 15 di maggio del 392 il giovane imperatore di Occidente, Valentiniano, a Lione, dove si era recato da breve tempo, fu trovato morto strangolato nel suo letto. Valentiniano non aveva che 20 anni e per le sue magnifiche doti di mente e di cuore faceva presagire che sarebbe stato un grande imperatore. Si era messo sotto la direzione del vescovo di Milano, Ambrogio, che lo amava come figliuolo, e lo guidava con i suoi sapienti consigli per le vie della giustizia e della virtù. Fu perfidamente attirato a Lione nelle Gallie dal conte Arbogasto, che comandava gli eserciti e avrebbe voluto avere la direzione dell’Impero. Dopo qualche tempo, avendo Valentiniano tentato di togliergli il comando, venne in discordia con Arbogasto, che, secondo la voce comune, gli fece togliere la vita. In Italia ed in Gallia nessuno si ingannò, e sotto voce da tutti si indicava l’assassino. Il corpo di Valentiniano fu trasportato a Milano fra il dolore e la commozione universale dei popoli, che amavano il loro giovane imperatore. Valentiniano era morto senza battesimo: egli non era che catecumeno, e sotto la guida di Ambrogio si preparava ad entrare solennemente nella Chiesa, ricevendo il sacramento del battesimo. Sant’Ambrogio rimase per qualche tempo chiuso in un doloroso silenzio per una morte così immatura, e non lo ruppe che dopo due mesi per pronunziare l’orazione funebre di Valentiniano, che gli sgorgò dal cuore, tutta pervasa e vibrante di affettuoso dolore, di coraggio e di dottrina (De obitu Valentiniani, 38, 41, 51-53). Il vescovo, rivolto alle due vergini sorelle di Valentiniano, Giusta e Grata, diceva loro per confortarle: «Il suo esempio è la più ricca eredità che vi abbia lasciato...» e le invitava a unirsi e vivere con lui in comunione di fede, spirituale ed invisibile, sotto lo sguardo di Dio. «Abiti nei vostri cuori, viva dentro di voi, vi stia del continuo sotto gli occhi, nelle labbra, in tutti i pensieri e discorsi. Non avete nulla da temere per lui, dov’egli sia: dimenticatene i mali, ricordatene le virtù... Voi vi rattristate perché il vostro fratello è morto senza battesimo. Ma, ditemi, che altro è in mano nostra se non la volontà e la domanda? Ora egli da tempo e desiderò di essere iniziato, prima di venire in Italia, e mi significò di voler essere battezzato subito dopo da me... Non avrà egli la grazia desiderata e richiesta? Certamente l’ebbe, perché la domandò...». E dopo aver paragonato il catecumeno, che desidera e domanda il battesimo, al martire catecumeno, al quale la morte sopportata per amore di Cristo apre la porta del cielo, così conclude: «Che se i martiri sono stati battezzati nel loro sangue, anch’egli è stato purificato dalla sua pietà e dal suo desiderio». Il voto fervido del battesimo, che include in sé un atto di perfetto amore di Dio, secondo il grande Dottore, aveva purificato dalla colpa il cuore di Valentiniano e gli aveva ottenuto la grazia della giustificazione.
• Un eretico. Secondo caso: Un eretico per nascita, che vive nella sua setta, separato dalla Chiesa Cattolica, e osserva i precetti della legge naturale e della sua religione, oggettivamente falsa, senza aver alcun dubbio fondato intorno alla sua falsità e alla verità della religione cattolica. Egli non dubita positivamente che la sua religione possa essere falsa e che vi sia un’altra religione, con la quale Dio vuole e deve essere onorato. Caso molto frequente, perché anche in mezzo ai protestanti e agli scismatici si trova un gran numero di persone, che vivono una vita onesta, conforme ai dettami della coscienza, e cercano di praticare fedelmente la loro religione, senza dubitare menomamente della sua falsità. Anche costoro, secondo la dottrina della Chiesa, possono appartenere ad essa e giungere alla salvezza. Ecco che cosa insegna a questo proposito Sant’Agostino: «Vi sono degli uomini, che giacciono nell’eresia o nella superstizione del paganesimo. Anche là Dio conosce coloro che gli appartengono; poiché nell’ineffabile prescienza di Dio, molti, che sembrano essere fuori della Chiesa, le appartengono e molti, che sembrano essere dentro la Chiesa, ne sono fuori. È di queste anime, che in una maniera invisibile ed occulta sono nella Chiesa, che si forma il giardino chiuso, la fonte suggellata, la sorgente d’acqua viva, il Paradiso pieno di frutti, dei quali parlano le Sacre Scritture» (De baptismo contra Donat., L. V, 38). E altrove il Santo Dottore afferma chiaramente che si può essere nell’errore, senza conoscerlo come tale, specialmente per coloro, che in esso sono nati e che ricevono con attenta sollecitudine la verità, pronti a lasciare l’errore. «Questi tali, dice Sant’Agostino, non sunt inter haereticos deputandi, non devono essere annoverati tra gli eretici» (Epist. 43, c. 1, n. 1). E per conseguenza bisogna dire che sono membri in qualche modo della Chiesa e possono ottenere la felicità del cielo. Resta bene inteso che questa appartenenza è personale, pur permanendo essi, senza propria colpa, nelle sette di perdizione o false religioni, che sono certamente vie di dannazione e perdizione.
• Un pagano infedele. Cotesta soluzione consolante viene ancora maggiormente accentuata e sviluppata nei Dottori del Medio Evo, quando si propongono un terzo caso, il caso di un infedele, totalmente privo della conoscenza di Gesù Cristo e della verità della Sua religione. Un barbaro, un selvaggio delle foreste vergini del Brasile o delle tribù primitive dell’Africa o delle immense regioni della Cina o del Tibet o di qualsiasi altra nazione, che non ha neppure la più lontana idea della Chiesa Cattolica, e vive secondo quanto gli detta la sua onesta coscienza e gli comanda la sua religione. Già Sant’Agostino, a proposito della salvezza degli infedeli, parlando del santo Giobbe aveva scritto: «Io non ne dubito punto: Dio con l’esempio di Giobbe ha voluto mostrarci che vi potevano essere in tutte le nazioni pagane degli uomini viventi secondo la Sua volontà, amati da Lui ed appartenenti alla Gerusalemme spirituale» (De civitate Dei, L. XVIII, c 47). San Giustino, nella sua prima apologia, mostra che la ragione umana è una fiaccola accesa dal Verbo di Dio, lume increato, sorgente di ogni luce per le intelligenze, e ne trae questa conclusione: «Tutti coloro, che hanno vissuto e vivono secondo ragione, sono cristiani: essi non hanno nulla da temere». Ascoltiamo quanto insegna per riguardo al caso proposto il Dottore angelico, San Tommaso d’Aquino: «Appartiene alla Provvidenza, purché non sia impedita, il provvedere quanto è necessario per la salvezza. Quindi se un infedele, un selvaggio, anche cresciuto nelle foreste, segue i dettami della ragione naturale nel fare il bene e fuggire il male, bisogna tenere per certo che Dio gli rivelerà con una ispirazione interiore quanto si deve credere, oppure gli manderà chi lo istruisca, come inviò una volta Pietro al centurione Cornelio» (De veritate, quaest. 14, a. 11, ad 1). L’insegnamento di San Tommaso, così conforme alla volontà salvifica universale di Dio, fu poi sempre ripetuto in modo esplicito dai Teologi seguenti e applicato agli infedeli, che ignorano invincibilmente la rivelazione cristiana. Questo avvenne particolarmente quando, dopo la scoperta delle Indie e dell’America, la loro attenzione fu richiamata sopra la sorte e le condizioni di tanti infedeli per riguardo alla salvezza eterna.
• E vicino a noi? Il Sommo Pontefice Pio IX nella sua allocuzione concistoriale del 9 dicembre 1854, mentre per una parte riprova solennemente l’indifferentismo di coloro, che si immaginano falsamente che fuori della Chiesa si può ottenere la salvezza, per l’altra parte dichiara espressamente che coloro i quali ignorano invincibilmente la vera religione, non contraggono per questo nessuna colpevolezza davanti a Dio, e che Dio solo può tracciare i limiti esatti di questa ignoranza, secondo la molteplice varietà dei popoli, dell’ambiente e dei caratteri (Denzinger Bannwart, 1647). Questo insegnamento è ripetuto e svolto più ampiamente con termini ancora più precisi e più chiari dallo stesso Pio IX nella sua lettera ai vescovi d’Italia del 10 agosto 1863 (Denzinger Bannwart, n. 1677). È bene riportare le sue parole: «È noto a noi e a voi che coloro, i quali si trovano in uno stato di ignoranza invincibile per riguardo della nostra santissima religione, e che, osservando con diligenza la legge naturale e i suoi precetti, scritti nei cuori di tutti, pronti ad ubbidire a Dio, menano una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto efficace della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna. Poiché Dio, che vede pienamente e scruta e conosce le menti e gli animi e i pensieri e le condizioni di tutti, per la sua somma bontà e clemenza, non permette che sia punito con gli eterni supplizi, chi non è reo di grave colpa volontaria».
• Concludiamo: il secondo principio. È dunque certissimo: Tutti gli uomini di buona fede e di buona volontà si possono salvare. È questo l’insegnamento autentico della Chiesa. Ci si potrebbe domandare se in concreto esista, nei casi individuali, questa buona fede e buona volontà. La risposta bisogna ricavarla da molti dati e circostanze di fatto. «Il problema della responsabilità o colpevolezza morale essendo necessariamente una questione individuale, non si può applicare a tutte le intelligenze, a tutti i tempi, a tutte le regioni, a tutti gli ambienti, una misura uniforme. Ma si deve cercare di dare un giudizio particolare per ogni caso individuale, tenendo conto dello stato abituale della coscienza di ciascuno e delle cause interne ed esterne, che possono turbarla o falsarla, e tenendo anche conto della facilità o delle difficoltà particolari, che ogni individuo può incontrare per l’acquisto della conoscenza religiosa, che è obbligato ad avere. Bisognerà quindi guardarsi da ogni generalizzazione temeraria riguardante una regione, un popolo o tutta una categoria di persone, come dice Pio IX nell’allocuzione, che abbiamo poco innanzi citata. Già il celebre teologo Francesco Suarez (De fide, Disp. XVII, sect. 2, n. 6 ss.), parlando in un tempo e in una nazione, dove la fede cattolica regnava sovrana, pensava che anche in un tale ambiente potevano esservi di fatto degli eretici o degli infedeli, viventi all’infuori di ogni influenza cristiana, senza provare alcun dubbio intorno alla verità della loro religione» (Dictionnaire de Théologie catholique, T. IV, col 2167).
• Consolanti speranze. Perché non si potrà parimenti dire che in mezzo all’immensa massa di uomini, lontani dalla vera religione, non vi siano molti uomini di buona fede e di buona volontà? Dio ha i suoi servi fedeli dappertutto e in ogni tempo. L’Autore dell’Opuscolo riferisce che ebbe occasione d’intrattenersi con due missionari tornati per qualche tempo in Europa dopo essere stati lungo tempo tra gli Indiani, professori in una scuola superiore cattolica. Conoscevano a perfezione le condizioni, il loro stato d’animo. Interrogati se fossero molti gli indiani in buona fede e in buona coscienza, risposero che su tale questione non vi poteva essere dubbio alcuno, specialmente per la massa del popolo, in modo particolare delle campagne. È certo anche che molti di costoro, che non appartengono alla Chiesa cattolica, specialmente infedeli, per ragione dell’ambiente in cui vivono, si trovano spesso in uno stato di profonda ignoranza, di barbarie e di abbrutimento, di pregiudizi inveterati ed hanno perciò la coscienza ottusa e indurita e spesso a stento sanno distinguere il bene dal male nelle cose più importanti. Di alcuni in casi particolare si può, con tutta probabilità, asserire che siano quasi ancora in uno stato d’infanzia. Lo stato d’infanzia molte volte può essere tale che coloro i quali si trovano in cotesta condizione né sono capaci di peccare mortalmente, né di fare un atto di fede in Dio esistente e rimuneratore e un atto di carità o di contrizione perfetta. Costoro devono quindi considerarsi come i bambini, che muoiono privi di battesimo, prima di avere l’uso di ragione. Avendo solo il peccato originale, contratto con la stessa generazione, secondo la comune sentenza dei Teologi, essi, dopo morte, non hanno nulla da soffrire, anzi godono quella felicità, che si godrebbe nello stato di pura natura. Per essi, come asserisce San Tommaso d’Aquino, anche in simile condizione, sarà sempre meglio aver avuto l’esistenza che non essere mai esistiti. Praticamente essi vanno al Limbo eterno.
• Come si conciliano i due principii: Fuori della Chiesa non c’è salvezza, e: Tutti gli uomini di buona fede si possono salvare. Le due verità ora dimostrate non possono evidentemente essere incompatibili, benché a primo aspetto sembri molto difficile il poterle conciliare. In che modo? Ecco la risposta. Alla Chiesa cattolica, che è l’unica arca di salvezza, si può appartenere anche senza un legame visibile. È la teoria già abbozzata dai Padri e Dottori della Chiesa, svolta poi ampiamente da Teologi. Bisogna distinguere il corpo e l’anima della Chiesa (il collettivo umano e il Corpo mistico). Per ben comprenderla è assai utile compendiare in breve sintesi l’opera redentrice di Gesù Cristo. Il Verbo eterno è disceso dal cielo per redimere l’umanità, che nel suo capo Adamo col peccato aveva rovesciato il primitivo disegno di amore di Dio, e redintegrarla in quei beni soprannaturali, che il Signore le aveva concessi. Gesù, vero Dio e vero uomo, capo e rappresentante del genere umano, secondo Adamo, con la Sua morte e risurrezione ha vinto tutti i Suoi nemici, ha redento l’uomo, lo ha pacificato con Dio, ridonandogli la vita soprannaturale della grazia. Egli è capo dell’umanità redenta; è il centro a cui tutto deve convergere; è la sorgente inesauribile della grazia meritataci col Suo Sangue; e solo da Lui noi possiamo e dobbiamo ricevere la vita della grazia, a cui Dio ci ha chiamato nel Suo eterno disegno di ammirabile bontà. Ora Gesù, dovendo salire al cielo ha fondato la Chiesa affidandole la missione, da lui ricevuta dal Padre, di reggere, di istruire, di santificare e salvare gli uomini.
• La Chiesa è Gesù vivente. La Chiesa è il capolavoro di Gesù Cristo. Secondo la sua più giusta e profonda concezione, come si è sopra accennato, è la continuazione e il prolungamento di Gesù Cristo in terra, perché alla Sua Chiesa Gesù ha dato i Suoi divini poteri. È talmente unita con Gesù Cristo e possiede i tesori della Sua grazia, che noi possiamo dire che la Chiesa è Gesù Cristo vivente attraverso i secoli. San Paolo ce la presenta sotto la magnifica immagine di un edificio, fondato sugli Apostoli, del quale Gesù Cristo è la pietra angolare (Efes., II, 19-22). «Sopra di lui tutto l’intero edificio si innalza ben connesso in tempio santo di Dio». «O celeste città di Gerusalemme, dice la Liturgia (Inno della Dedicazione della Chiesa a vespro), beata visione di pace, che fabbricata di pietre viventi ti elevi sublime sino agli astri».
• ... è il suo corpo mistico. Un’altra immagine ritorna spesso nelle lettere dell’Apostolo Paolo, ancora più espressiva, perché ci fa approfondire le relazioni intime di vita intercedenti fra Gesù Cristo e i fedeli: la Chiesa è il corpo mistico di Gesù Cristo: Gesù ne è il capo e i fedeli sono i membri viventi di questo corpo morale. Come nel corpo umano il capo è la parte più eminente e il centro della vita; così Gesù nel corpo della Chiesa ha ogni primato su tutte le cose, di dignità, di autorità e di vita divina. Da Lui solo deriva la vita della grazia, che per mezzo dei sacramenti, del sacrificio, della preghiera si diffonde in tutto il corpo, e che produce la figliolanza e l’amicizia di Dio, il diritto alla sua eredità ed apre le porte del cielo. Per poter raggiungere la vita della grazia e raggiungere la vita della gloria è necessario assolutamente appartenere al corpo mistico di Gesù Cristo.
• Corpo ed anima della Chiesa. Ma nella Chiesa bisogna distinguere, come dissi, il corpo visibile e l’anima. Il corpo della Chiesa è la società visibile dei fedeli, che hanno ricevuto il sacramento del battesimo e sono in comunione con la legittima gerarchia, professano esternamente la fede cattolica e partecipano ai sacramenti. L’anima della Chiesa è la società invisibile di tutte le anime in stato di grazia, abbiano o no ricevuto il battesimo sacramentale, siano o no congiunte visibilmente con la gerarchia ecclesiastica. Quanti possiedono in qualsiasi modo la grazia e la figliolanza di Dio appartengono all’anima della Chiesa, a Gesù Cristo, da cui solo ricevono la vita soprannaturale.
• Condizione normale di salvezza. La condizione normale ordinaria, stabilita da Gesù Cristo, per salvarsi, è che si appartenga e al corpo e all’anima della Chiesa: «Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvato». Colui pertanto che non possiede la grazia, benché sia membro della società visibile, che è la Chiesa, se muore in tale stato, non si può salvare. Finché egli non rinunzia alla propria fede e non fa pubblica professione di apostasia, finché non altera scientemente e ostinatamente i dogmi sacri, che bisogna credere, o finché non si ribella apertamente contro l’autorità legittima, alla quale ogni cristiano deve ubbidire, rimane ancora la fede. Rimangono ancora i vincoli esterni, che lo congiungono al corpo della Chiesa, alla Chiesa visibile, all’edificio di Gesù Cristo. Ma non c’è il vincolo intimo, essenziale della grazia, che l’unisce all’anima della Chiesa. Non è ancora un tralcio totalmente staccato dall’albero della vita, ma è un tralcio secco, non più percorso dalla linfa vitale della grazia. È un tralcio secco, ancora congiunto al tronco, e che può essere nuovamente avvivato dalla grazia di Dio. Non basta quindi per giungere alla felicità del cielo appartenere al corpo visibile della Chiesa; ma è necessario anche appartenere all’anima della Chiesa, per mezzo della grazia santificante. Senza la carità, senza la grazia santificante, dice l’Apostolo San Paolo, anche i doni più straordinari non valgono nulla davanti a Dio. «Quando pure io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante. E se avessi la profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e se avessi tutta la fede fino a trasportare i monti, se non ho la carità, non sono nulla. E se distribuissi ai Poveri tutti i miei averi, e dessi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, tutto ciò non mi serve a niente» (I Cor., 13, 1-3). Quanti cristiani dolorosamente vivono abitualmente privi della grazia di Dio e non appartengono all’anima della Chiesa, e si espongono ad evidente pericolo di perdersi eternamente! «Chi non rimane in me, è gettato via come il tralcio e si dissecca, e raccoltolo lo si butta nel fuoco e brucia» (Giov., 15, 6). Per la stessa ragione colui che ha riconosciuto la verità della Chiesa cattolica, e potendolo fare, ricusa per sua colpa di abbracciarla, ed anche colui, che, dubitando positivamente della verità della sua religione, per sua grave negligenza, non si cura di cercare la verità, non si possono salvare. Essi infatti, unicamente per loro colpa, rifiutano di entrare nella Chiesa visibile e di appartenere al corpo della Chiesa.
• Condizione eccezionale. Condizione essenziale, assolutamente necessaria per potersi salvare, quando per qualsiasi ragione, senza propria colpa, non si può entrare nella Chiesa, è appartenere almeno all’anima della Chiesa. Nessuno si può salvare, se non è amico e figlio di Dio, se non possiede di fatto la grazia santificante. È necessità di mezzo, senza eccezione. Bisogna però dire che non è difficile appartenere all’anima della Chiesa per chi si trova nell’impossibilità di appartenere anche al corpo della Chiesa stessa. Ci vuole innanzi tutto un atto di fede soprannaturale nelle verità strettamente necessarie a credersi per salvarsi, cioè almeno che Dio esiste e che è rimuneratore dei buoni e giusto punitore dei cattivi (Ebrei XI, 6). Questo atto di fede, con l’aiuto della grazia, è accessibile ad ogni adulto, per quanto egli non abbia il mezzo di ascoltare la predicazione viva della divina parola e di conoscere l’obbligo della fede. Chi non sa che questa verità dell’esistenza di Dio rimuneratore si trova, per una straordinaria e benevola provvidenza, nel credo di tutti i popoli, anche più barbari, come un residuo della primitiva tradizione? Chi non sa anche che Dio è un buon padre, che a tutti offre le Sue buone ispirazioni e illustrazioni alla mente e impulsi alla volontà, perché possano credere? Come è assolutamente necessario l’atto di fede soprannaturale nella verità di un Dio rimuneratore, è altrettanto indispensabile un atto di carità o di contrizione perfetta. È l’unico mezzo per ottenere la grazia di Dio per gl’infedeli e per molti protestanti e scismatici. Infatti conoscendo Dio, essere supremo e perfettissimo, essi per un impulso superiore possono anche rivolgersi a Lui con un atto di carità o contrizione perfetta, amandolo sopra ogni cosa, come sommo bene. Con questo atto di carità, che è implicito anche nella contrizione, essi di fatto rinunciano a quanto si oppone all’amicizia di Dio, si dispongono ad unirsi a Lui e così acquistano la Sua grazia e diventano suoi figli. «Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio ed io l’amerò e mi manifesterò a lui... Se uno mi ama... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e in lui faremo dimora», ha detto Gesù nel discorso della Cena (Giov., XIV, 21-23).
• Battesimo di desiderio. È questo il cosiddetto battesimo di desiderio. Come vi è un battesimo di sangue, perché chi, sacrificando la vita per Gesù Cristo, gli dà il segno supremo di amore, e, anche non avendo ricevuto il battesimo sacramentale, viene con questo stesso giustificato ed ammesso alla felicità del cielo; così vi e un battesimo di desiderio, cioè l’atto di perfetto amore di Dio o di contrizione perfetta. I non cattolici e gli infedeli, con questo atto di carità, acquistano la grazia santificante, appartengono all’anima della Chiesa e contraggono anche una qualche relazione col corpo della Chiesa stessa. Essi infatti, così facendo, protestano a Dio, in maniera esplicita e formale, che sono fermamente decisi di fare quanto Egli comanda per poterlo a-mare e possedere; sono pronti — come dice il Sommo Pontefice Pio IX — ad ubbidire a Dio. E poiché in realtà Dio ha stabilito che per salvarsi è necessario ricevere il sacramento del battesimo e diventare membri della Chiesa visibile, con quell’atto di carità, implicitamente essi si dicono pronti a compiere queste condizioni, appena ne venissero a conoscenza e lo potessero fare. Se dunque un protestante o uno scismatico o un infedele, così disposto, conoscesse che l’unica vera religione, l’unica vera Chiesa è soltanto la Chiesa cattolica romana, immediatamente, in virtù di quella disposizione di ubbidire in tutto a Dio, rinunzierebbe ai suoi errori e abbraccerebbe il cattolicesimo. Per gli uomini, che non penetrano con lo sguardo della mente nei cuori e non possono conoscere le intenzioni, ma giudicano di esse soltanto da segni esterni, il desiderio implicito di farsi cattolico non è la stessa cosa che farsi cattolico in realtà. Ma Dio, che legge nelle menti e nei cuori, vede quel desiderio sincero del battesimo e della Chiesa, che rimane inefficace unicamente per ignoranza non colpevole, e considera quelle anime come appartenenti alla sua Chiesa.
• Risposte al problema iniziale. Possono adunque salvarsi i protestanti e gli scismatici? Non c’è dubbio, se sono in buona fede ed hanno buona volontà. Per gli scismatici e in alcune sette protestanti, il battesimo è valido e i bambini che muoiono prima di perdere l’innocenza battesimale appartengono alla Chiesa ed hanno diritto al Paradiso a titolo di eredità. Gli adulti protestanti, i quali o non avessero ricevuto validamente il battesimo o disgraziatamente, dopo il battesimo, avessero perduto la grazia santificante, possono riacquistarla, come ora si è detto, con un atto di carità o di contrizione perfetta, che certamente per essi è molto più facile che non per gli infedeli. Gli adulti scismatici, che, dopo il battesimo hanno commesso un peccato grave ed hanno così perduto la grazia di Dio, possono riaverla o con la contrizione perfetta od anche, almeno in punto di morte, con la confessione: perché fra gli scismatici (non tutti) le ordinazioni sono valide, vi è il vero sacerdozio, e almeno in pencolo di morte, ogni sacerdote, anche scismatico, può assolvere dai peccati. Anche gli infedeli possono salvarsi, perché, come or ora si è detto, possono fare con la grazia divina un atto di fede soprannaturale nelle verità necessarie a credersi e un atto di carità o di contrizione perfetta e così appartenere all’anima della Chiesa. Dio è largo a tutti delle Sue grazie onnipotenti, delle Sue ispirazioni e impulsi interiori al bene, particolarmente poi nelle ore estreme della vita. Sant’Agostino dice ben a ragione (De vera religione, 46): «Ciò che Dio opera con i singoli uomini, lo conosce Dio operante e quegli stessi, nei quali avviene l’azione divina. Quello poi che Dio opera nel genere umano, ha voluto che fosse ricordato per mezzo della storia e della profezia».
• La conferma dei fatti. Vi sono dei fatti mirabili storicamente certi, dai quali appare con evidenza l’efficacia onnipotente della grazia di Dio, specialmente negli ultimi momenti poco prima della morte. Credo bene di riportare un fatto, che si legge nelle memorie del venerabile P. Giuseppe Anchieta S. J., Apostolo del Brasile, e che conferma mirabilmente quanto ora si è detto (Patrignani, Menologio della Compagnia di Gesù, T. II, s. 50)
• Il Venerabile P. Anchieta. Lo zelo di guadagnare anime a Dio spinse il P. Anchieta ad uscire dalla città e ad avventurarsi in regioni ancora incolte e impervie, abitate dagli indigeni. Un giorno entrò egli da solo in una selva e scoprì da lontano un vecchio, appoggiato ad un alberò. Avvicinatosi a lui, dopo alcune domande, comprese che la divina Provvidenza l’aveva colà guidato per sua salvezza. Trovò che era sempre vissuto secondo i dettami della coscienza onesta, senza aver mai trasgredito in nessun punto la legge naturale, e che col solo lume naturale comprendeva molte verità riguardanti la esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, la bellezza della virtù e simili. Dopo averlo istruito a sufficienza intorno ai misteri principali della fede, raccolse un poco d’acqua piovana dalle foglie di alcuni cardi selvatici e con quella lo battezzò. Allora il buon vecchio, pieno di santa gioia, ringraziò la divina bontà e il Padre Anchieta del beneficio ricevuto, e breve tempo dopo morì tra le braccia del suo benefattore. Dio ha mandato il P. Anchieta, come un angelo visibile del cielo; volle che si verificasse in questo avvenimento mirabile quanto dice San Tommaso, cioè che il Signore interviene, quando sia necessario, in modo anche del tutto eccezionale. Ma anche se non gliel’avesse mandato, non c’è nessun dubbio che Dio avrebbe aiutato quel vecchio a fare un atto di carità o di contrizione perfetta; anzi si può essere certi che già l’avesse fatto. Perché, secondo una dottrina comunemente insegnata dai Teologi, nessuno può evitare per un tempo notevole il peccato mortale, senza la grazia santificante, e quel buon vecchio non aveva mai durante la vita trasgredito la legge naturale.
• ... e il Santo Curato d’Ars. Nella vita del Santo Curato d’Ars si leggono altri due fatti, veramente straordinari, riguardanti non eretici o infedeli, ma persone dominate dall’indifferentismo e dal razionalismo, completamente areligiose. Una pia signora aveva uno sposo lontano da molti e molti anni da ogni idea di religione, e pregava molto per la sua conversione, sempre trepida che un’avanzata malattia di cuore non glielo rapisse improvvisamente. Venerava con amore filiale una devota statua della Madonna, che teneva in casa, e il marito talvolta le recava dei fiori, sapendo a quale scopo erano destinati. Com’essa temeva, improvvisamente la morte lo colpì, senza che potesse ricevere i sacramenti e desse segno alcuno di pentimento. Il dolore della signora fu tanto, che ne ammalò e sembrò impazzire. Dal suo lontano paese si recò ad Ars per cercare un po’ di conforto. E il santo curato, che mai l’aveva veduta né conosciuta, al primo incontro le disse: Signora, non vi ricordate dei mazzi di fiori, che offrivate alla Santa Vergine? Queste parole, che le furono dapprima di meraviglia, formarono la sua consolazione e la rassicurarono per la sorte del marito. Un fatto simile avvenne ad un’altra signora. Recatasi ad Ars nel 1855 o 1856, quasi unicamente per caso o per distrarsi, vi giunse verso le 11 del mattino. Il santo curato, ancora rivestito della cotta, usciva allora dalla chiesa; attraversò la folla, si diresse verso la signora vestita a lutto, che, ad esempio degli altri pellegrini si era inginocchiata, e le sussurrò sommessamente all’orecchio: «Egli è salvo!». La sconosciuta ebbe un sussulto, ma il curato di nuovo le ripeté: «È salvo». Fece essa un atto di incredulità. Allora il santo, scandendo le parole, soggiunse: «Vi dico che è salvo, si trova in Purgatorio e si deve pregare per lui. Tra il parapetto del ponte e l’acqua ha avuto il tempo di fare un atto di contrizione. È la Santa Vergine, che gli ottenne questa grazia; ricordate le devozioni del mese di maggio nella vostra camera, alle quali si è unito qualche volta, benché irreligioso, vostro marito. Questo gli ha meritato il perdono». La parola del santo consolò quella povera signora, che non trovava pace per la tragica morte del marito annegatosi con suicidio volontario. Dio opera divinamente ed è sempre largo delle Sue grazie con tutti gli uomini. Si può dunque avere una fondata speranza che molti non cattolici e infedeli appartengano all’anima della Chiesa e ottengano la salvezza eterna.
• Ricordiamo però che è un beneficio segnalato essere membri viventi della Chiesa Cattolica e potersi valere dei grandi mezzi di grazia, che essa possiede e mette a disposizione dei suoi figli. Avendo avuto dalla bontà misericorde di Dio un dono così prezioso, per debito di riconoscenza, mentre dobbiamo ringraziarlo e mettere a frutto i tesori da Lui ricevuti, dobbiamo anche cooperare attivamente con Gesù Cristo per condurre molte anime al Suo regno visibile, che è la Chiesa cattolica. (L’ecumenismo è un ostacolo irriducibile a condurre le anime alla vera Chiesa). Ecco, pertanto, come si possono e si devono conciliare i due principii sopra esposti: Fuori della Chiesa non c’è salvezza: Tutti gli uomini di buona fede e di buona volontà si possono salvare.
• Conclusione. Da quanto abbiamo sinora detto, fondandoci sopra documenti e testimonianze di primo ordine, evidenti ed inoppugnabili, appare chiaramente quale sia il vero significato del principio: Fuori della Chiesa non c’è salvezza. Dogma di fede definito, che tutti i figli della Chiesa devono credere. E non meno chiaramente appare quanto siano vane e insussistenti e calunniose le accuse lanciate astiosamente contro la Chiesa dai suoi rabbiosi nemici, che gridano alla sua intolleranza e condannano le sue dottrine come disumane, crudeli e mostruose. Prima di essere accusatori implacabili e giudici inesorabili, dovrebbero istruirsi e studiare bene la causa, con lealtà e sincerità, con buona fede, col desiderio di conoscere la verità e non lasciarsi guidare da pregiudizi inveterati e dall’odio velenoso contro il Papato, contro la Chiesa, e contro il Suo divino Fondatore e Capo. Dovrebbero piuttosto rivolgere lo sguardo alle loro sette e conventicole e alle dottrine da esse esplicitamente e pubblicamente proclamate, che hanno ricevuto dai loro fondatori, e che tutti possono leggere facilmente nei loro scritti. E se hanno ancora un po’ di pudore, dovrebbero chiudersi in un assoluto silenzio. Dice il proverbio: Chi ha la casa di vetro, non scagli sassi contro la casa del suo vicino. Perché i dogmi barbari e crudeli non sono insegnati dalla Chiesa di Gesù Cristo, che ne possiede la celeste dottrina, piena di bontà e di amore, ma sono insegnati soprattutto dai corifei del Protestantesimo. È bene riportare almeno qualche citazione.
• Ecco quanto scrive Lutero (De servo arbitrio, Jena, T. III, pp. 199, 176, 274): «Le anime pie, che fanno il bene per guadagnare il regno dei cieli, non vi giungeranno mai: bisogna contarle fra gli empi. La suprema perfezione della fede è credere che Dio è giusto, benché di sua volontà ci renda necessariamente dannevoli. Dio ci deve piacere anche quando condanna degli innocenti». Non meno blasfemo e crudele è quanto scrive Calvino (Inst. chrèt., L. III, c. 2, n. 5; c. 23, n. 6): «Gli uomini non sono nati tutti per lo stesso fine: gli uni sono predestinanti alla vita eterna, gli altri all’eterna dannazione. Questi ultimi non possono in alcun modo salvarsi. Dio li condanna agli eterni supplizi, indipendentemente dai loro sforzi, affinché la sua giustizia sia glorificata dalla loro dannazione». Giansenio nel suo libro Augustinus, fa eco agl’insegnamenti ributtanti e sconfortanti di Lutero e di Calvino e scrive (Proposizioni condannate dal S. P. Innocenzo X): «Vi sono dei comandamenti che i giusti non possono osservare quando vogliono, perché non è data loro la grazia necessaria».
• La Chiesa, a cui Gesù Cristo ha affidato il sacro deposito della sua dottrina, e ne ha ricevuto il carisma di maestra infallibile di verità, ha condannato tutte coteste false e orribili dottrine, come condannerà sempre l’errore sotto qualsiasi forma si possa nascondere e mascherare. Seguendo con umile ossequio e sottomissione i suoi insegnamenti, i suoi figli hanno la certezza e la fortuna invidiabile di camminare sempre fra gli splendori della verità.
a cura di CdP