Stimati Associati e gentili Sostenitori, rispondiamo ad alcune obiezioni utilizzando il volumetto SOS «La Religione. Obiezioni e risposte» del P. Giulio Monetti, imprimatur 1942.
• Asserisce il nemico del vero Dio: «Rispetto tutte le opinioni, non vado a cercare quello che fanno gli altri, ammiro anche quanto c’è di bello nell’arte religiosa, mi compiaccio persino di quanto ha di simpatico, a volte, l’altrui religiosità; ma, per conto mio, non ho scrupoli religiosi, né ubbie pietiste, né preoccupazioni puritane. Quella roba lì la lascio a chi la vuole; né troverei ragionevole che, mentre io lascio che ciascuno faccia la sua strada, non mi si lasciasse fare tranquillamente la mia, con l’impormi la Religione quando non la sento... Meglio rimanere senza religione, che praticare una religione non sentita....».
• Rispondiamo: Caro amico! Non è per toglierti la tua libertà, del cui uso, non io, ma tu sei responsabile, che ti avverto del tuo grosso sbaglio: — intendo invece renderti un servizio come un altro, anzi il più prezioso di tutti i servizi, con l’avvisarti che vai fuori strada, proprio completamente. E perché? Nel tuo modo di pensare e di condurti, sei senz’altro — scusami la parola, che non ha per nulla l’intenzione di offenderti — un anormale! Lo vuoi vedere? Guarda attorno: tanto nel mondo contemporaneo, quanto nel mondo di ogni altro tempo storico, la Religione è nella pratica di tutti i popoli, anche più rozzi e degradati. E dico «nella pratica»: che non si tratta soltanto di un’affermazione speculativa, che non trascenda i termini della conoscenza: si tratta di un’affermazione che comincia, sì, con la cognizione, ma passa poi all’azione. Si svolge nell’intimo della vita individuale in timore riverente, ed in possente speranza, riguardo alla Divinità che a suo senno governa il mondo; — ispira poi nella vita sociale la varia maestà dei riti, circonda di rispetto e di servitù il ceto sacerdotale o dei ministri del culto, innalza al cielo le torri delle basiliche, i minareti delle moschee, le cupole dei santuari, le fronti storiate delle pagode, e brucia gli incensi, e sparge del sangue delle vittime l’are fumanti dei sacrifici....
• Non c’è popolo che non abbia onorato Iddio; tra i Cinesi egli era Tieng, tra gli Indiani era Brama, tra gli Assiri era Assur, tra i Caldei era Belo, tra gli Egiziani era Ammon Ra, Zeus tra gli Elleni, Giove tonante tra i Romani, tra i Germani era Thor, nelle savane e nelle foreste americane era il Grande Spirito. Dappertutto il divino si sente, come dici tu: «Si fa sentire». Il fenomeno religioso è realtà storica, universale, cosa di tutti i luoghi e di tutti i tempi, non escluso il presente. Vedi bene che anche adesso — come osserva il Balmes (Filosofia Fondamentale, III. 33) — «chiunque misconosca la Religione, od anche si provi a combatterla, l’incontra all’entrata e all’uscita delle vie misteriose dell’esistenza; essa è là, alla culla del bimbo; ed è ancora là sotto i portici della morte, tra le arcate del cimitero e tra i suoi tumuli; essa domina il tempo e illumina l’eternità; risponde con divina parola ai semplici che l’interrogano sui veri fondamentali; ascolta impassibile le divagazioni dell’ignoranza e le bestemmie dell’empietà; e resta in attesa tranquilla e sicura che il corso dei secoli venga a rivendicare le ragioni di Colui che, prima ancor d’ogni secolo, già era la Ragione stessa».
• E deve essere così! «L’umanità ha bisogno di sapere da dove ella venga, dove ella vada, e che cosa ci stia a fare in questo mondo... L’umana coscienza — che non sia già fuori della normalità — non può quietare innanzi a siffatti misteri: sente che il penetrare simili enigmi è cosa del suo più alto interesse: vi è legata la sua sicurezza, la sua felicità! Disinteressarsene sarebbe un tarpare le ali alla propria intelligenza, condannandola a radere basso basso la terra, senza volate, senza slancio, senza larghi orizzonti... senza risorse allo spirito per i momenti difficili». (Poulin, La Religion, XXVII), soprattutto in faccia alla morte, all’al di là.
• È vero: il fenomeno religioso ci è mostrato e dall’etnografia e dalla storia, ora più spiccato ora meno; ora misto ad errori palmari, a grossolane superstizioni, fors’anche a crudeli costumi, ora più scevro d’aberrazioni. Soprattutto stupisce il vedere che, mentre la religione è in pacifico possesso pressoché in lutti i regni, che ne hanno fatta come una istituzione nazionale, essa al contrario vive in una perpetua atmosfera di lotta quando si mostra sotto la forma vera: la Religione cattolica. Tuttavia queste dissomiglianze non tolgono nulla all’università del fenomeno stesso, universalità che ben dimostra come esso sia affatto consentaneo alla ragione in se medesimo, ed imperiosa voce della natura, per chiunque sia normale.
a cura di CdP