Comunicato numero 185. Ultima cena: la questione cronologica

Stimati Associati e gentili Sostenitori, in data 22 novembre 2019 abbiamo donato ai cristiani poveri della Caritas di Potenza i seguenti prodotti: - Numero 40 giocattoli / peluche per bambini; - Numero 2 paia di scarpe da donna; - Un assortimento di foulard e calze da donna. Veniamo alla Sacra Scrittura. L’Abate Ricciotti in questa lezione ci parla della questione cronologica dell’ultima cena.

• § 536. Quanto al giorno della settimana non sorge alcun dubbio, perché tanto i Sinottici quanto Giovanni mettono l’ultima cena al giovedì e la morte al venerdì seguente. La divergenza sta nella collocazione di questi due giorni nel mese Nisan, perché dai Sinottici risulterebbe che il giovedì dell’ultima cena era il 14 Nisan e perciò il venerdì della morte era il 15, mentre da Giovanni risulterebbe che il giovedì era il 13 Nisan e il venerdì il 14. I Sinottici infatti mettono l’ultima cena nel giorno quando immolavano la Pasqua (Marco, 14, 12; cfr. Luca, 22, 7), ossia in cui si faceva l’immolazione dell’agnello pasquale che era prescritta per il pomeriggio del 14 Nisan (§74) perciò l’ultima cena sarebbe stata la cena dell’agnello pasquale celebrata da Gesù al giorno prescritto; essendo poi egli morto il giorno seguente, questo giorno sarebbe stato il 15 Nisan in cui cadeva la Pasqua ebraica. Giovanni invece narra che Gesù morì nella parasceve della Pasqua (Giov., 19, 14), ossia nel giorno precedente alla Pasqua e prima che in quel giorno i Giudei avessero celebrato il rito dell’agnello e mangiato la Pasqua: «Essi infatti non entrarono nel pretorio (di Pilato) per non contaminarsi ma per mangiare la Pasqua» (Giov., 18, 28), riuscendo in quello stesso giorno a far condannare Gesù e ad ucciderlo; in tal caso Gesù morì il 14 Nisan, e l’ultima cena da lui celebrata la sera precedente non era legalmente la cena dell’agnello pasquale. (...)

• § 537. Senonché i Sinottici stessi, con talune loro fuggevoli allusioni, inducono a fare ulteriori ed importanti considerazioni. Stando alla loro cronologia, Gesù fu arrestato nella notte fra il 14 e il 15 Nisan, e le varie peripezie del suo processo terminate con la condanna e l’esecuzione di questa cominciarono già alle prime ore del 15 Nisan per prolungarsi fino al pomeriggio di quel giorno. Ora, tutto ciò s’imbatté in una difficoltà gravissima ed evidentissima, cioè nel carattere supremamente festivo che aveva quella notte e quel giorno: in quella notte si mangiava l’agnello pasquale col solenne cerimoniale già visto (§ 75) e da turbe innumerevoli affluite a Gerusalemme da ogni paese; e in quel giorno poi, che era la Pasqua (15 Nisan), era rigorosamente prescritta l’astensione da ogni lavoro (Esodo, 12, 16; Levitico, 23, 7), e valevano per esso le norme del riposo del sabbato anche se in realtà quel giorno non fosse un sabbato. È pertanto storicamente inconcepibile che gli avversari di Gesù, per quanto colmi di odio contro di lui, trascurassero la cena pasquale di quella notte e violassero il riposo festivo di quel giorno per compiere tutto ciò che era necessario al processo, alla condanna e alla sua esecuzione. E infatti la sconfinata meticolosità che vedemmo più volte applicata al riposo sabbatico non avrebbe permesso varie azioni che troviamo compiute in queste poche ore: ad esempio che coloro i quali in quella notte arrestarono Gesù trasportassero armi ed altri oggetti (Matteo, 26, 47), e che accendessero il fuoco proprio in casa del sommo sacerdote (Luca, 22, 55); ovvero che durante quel santissimo giorno di Pasqua vi fosse un uomo come Simone il Cireneo che veniva dal campo, dove era stato certamente a lavorare (Marco, 15, 21); oppure che si comprasse una sindone, come fece Giuseppe di Arimatea (Marco, 15, 46); o anche che si preparassero aromi ed unguenti, come fecero le pie donne (Luca, 23, 56). Tutte queste azioni erano altrettante violazioni del riposo festivo; se perciò si considerano sommate tutte insieme, portano alla conclusione che quella notte non era sacra e quel giorno non era santissimo né di riposo per molti Giudei - se non per tutti - e quindi che costoro non avevano mangiato l’agnello pasquale la sera del giovedì come Gesù, né celebravano la Pasqua il venerdì. Questa conclusione è tanto più importante, in quanto estratta da informazioni offerte dai soli Sinottici. Si aggiunga a conferma un’altra osservazione. Gesù muore nel pomeriggio del venerdì, che secondo i Sinottici sembra essere il giorno di Pasqua (15 Nisan). Appena egli è morto, Giuseppe di Arimatea si affretta a seppellirlo in quello stesso pomeriggio, perché col tramonto sarebbe cominciato il riposo del successivo sabbato (Marco, 15, 42 segg); così pure dal canto loro le pie donne prepararono in quel pomeriggio gli aromi e gli unguenti per la venerata salma, ma giunta la sera passarono inoperose il sabbato conforme il comandamento (Luca, 23, 56). Tutto ciò sarebbe regolarissimo riferendosi al riposo del vero sabbato settimanale: ma se in quel venerdì ormai tramontato, in cui era morto Gesù, era anche caduta la Pasqua, questa solennità portava con sé egualmente il riposo festivo; e allora come mai e perché mai affrettarsi tanto nel pomeriggio di quel venerdì, se già in esso vigeva un riposo anche più solenne in virtù della solennità pasquale? Quindi anche da questo lato, ed egualmente per notizie offerte dai Sinottici, ritornerebbe la conclusione che pure Giuseppe di Arimatea e le pie donne non celebravano la Pasqua in quel venerdì, il quale perciò non era per essi il 15 Nisan. In realtà la divergenza fra i Sinottici e Giovanni, stando ai semplici dati ricavati da essi, è inconciliabile; se si seguono i Sinottici Gesù sembra morto il 15 Nisan, se si segue Giovanni è morto il 14 Nisan.

• § 538. I tentativi per comporre la divergenza sono stati molti, sebbene parecchi di essi non avessero neppure l’ombra di fondamento storico. In tale condizione si ritrova, ad esempio, l’ipotesi secondo cui in quell’anno i Giudei avrebbero ritardato di un giorno la Pasqua trasportandola al 16 Nisan, per aver agio di processare ed uccidere Gesù, mossi unicamente dall’odio contro di lui, mentre Gesù avrebbe mangiato l’agnello pasquale al tempo prescritto; questa ipotesi, proposta già in antico da Eusebio di Cesarea e recentemente da alcuni moderni, ha il torto di essere antistorica in quanto dimentica il tenacissimo attaccamento che gli avversari di Gesù avevano alle loro tradizioni, e che non avrebbe ceduto il passo neppure al loro odio contro Gesù e ciò, senza rilevare l’assurdità che siffatto spostamento della Pasqua in odio a Gesù sarebbe stato decretato in poche ore, imposto a folle enormi che non conoscevano neppure di nome Gesù, e perfino a persone a lui benevole quali Giuseppe di Arimatea e le pie donne. Altra soluzione che non risolve nulla è quella secondo cui Giovanni, allorché dice che i Giudei «non entrarono nel pretorio per non contaminarsi ma per mangiare la Pasqua», alluderebbe alla consumazione delle altre offerte del ciclo pasquale, ma non a quella dell’agnello che i Giudei avrebbero già mangiato nella stessa sera che Gesù. Senonché, anche astraendo dal fatto che rimarrebbe egualmente la difficoltà del riposo violato, questa soluzione è dimostrata falsa dall’uso rabbinico dell’espressione «mangiare la Pasqua», la quale si riferisce costantemente all’agnello pasquale. Fra quegli studiosi moderni che vogliono trovare nel IV Vangelo tutte narrazioni allegoriche ha incontrato molta fortuna la soluzione che ritiene come storica soltanto la cronologia dei Sinottici e considera invece la cronologia del IV Vangelo come risultato di una accomodazione dogmatico-allegorica; Gesù sarebbe morto in realtà il 15 Nisan, giorno della Pasqua ebraica, giorno dell’immolazione dell’agnello pasquale, soltanto per significare che egli è il simbolico agnello pasquale del Nuovo Testamento che ha definitivamente sostituito l’antica vittima della Pasqua ebraica, conforme al principio dogmatico di San Paolo: «(Quale) nostra Pasqua fu immolato Cristo» (I Cor., 5, 7). Senonché, chi non si lasci abbagliare dalle apparenze, questa soluzione apparirà non meno antistorica di altre. Essa infatti passa sopra, con fallace indifferenza, agli importantissimi accenni che già rilevammo dagli stessi Sinottici, i quali su questo argomento sono considerati storici dagli stessi seguaci di tale soluzione. Se Gesù morì il 15 Nisan e se quel giorno era Pasqua, perché mai molti Giudei non osservavano in quel giorno il riposo festivo come incidentalmente ma sicuramente abbiamo appreso dai Sinottici? Sarebbero forse allegorici in altra maniera anche i Sinottici? O non piuttosto la presunta cronologia allegorica del IV Vangelo è storica non meno di quella dei Sinottici? Quanto all’unica ragione positiva addotta, cioè la coincidenza della immolazione dell’agnello pasquale con la morte di Gesù, è ragione più speciosa che soda; anzi, esaminata più da vicino, sembrerebbe piuttosto una difficoltà in contrario che una ragione in favore. Se Gesù è morto secondo i Sinottici il 15 Nisan ed ha celebrato la cena pasquale la sera del 14, Giovanni aveva ogni motivo allegorico per conservare questa cronologia e non già per mutarla; infatti, secondo essa, Gesù avrebbe istituito l’Eucaristia proprio mentre i Giudei celebravano la cena pasquale, ed è appunto l’Eucaristia il rito unico e perenne che nella Chiesa cristiana ha sostituito i vari riti sacrificali del giudaismo; perciò Giovanni, che giustamente è riconosciuto anche dagli avversari come l’Evangelista del Cristo «pane di vita» (§ 373, nota), poteva attenersi tranquillamente alla cronologia dei Sinottici ritrovandovi pienamente appagata la sua inclinazione dogmatico-allegorica. E invece, secondo il suo solito, Giovanni ha ritoccato in parte quella cronologia, mettendo in miglior luce quanto era stato accennato vagamente dai Sinottici stessi. In tal caso non parlerebbe in lui il testimonio oculare e prediletto, piuttosto che il presunto allegorizzante?

• § 539. In questa vecchia e intricata questione i recenti e proficui studi degli antichi documenti rabbinici hanno aperto una nuova via, che è forse la buona. Già avemmo occasione di rilevare quanto fossero empirici ed incerti i mezzi con cui ai tempi di Gesù si fissava il calendario giudaico, e come questo calendario fosse di una elasticità appena concepibile per noi moderni (§ 180); ebbene, appunto da questa elasticità potrebbe dipendere la divergenza fra i Sinottici e Giovanni, consistendo essa nel collocare il venerdì della morte di Gesù o al 14 o al 15 Nisan. Se quel venerdì fu insieme il 14 e il 15 Nisan - ossia se alcuni Giudei lo computavano come il 14 e altri come il 15 - sarebbe conciliata la divergenza, perché i Sinottici si riferirebbero ai Giudei che consideravano quel venerdì come 15 Nisan, mentre Giovanni si riferirebbe agli altri che lo consideravano come il 14 Nisan. Troviamo infatti che, ai tempi di Gesù, si agitava una seria controversia fra Sadducei e Farisei a proposito della data della Pentecoste, e per conseguenza anche della Pasqua essendo le due feste ricollegate fra loro. I partigiani della famiglia di Boeto (§ 33), influentissima nel ceto sacerdotale e sadduceo, sostenevano che la Pentecoste doveva celebrarsi sempre di domenica; ma poiché i 50 giorni d’interstizio fra la Pasqua e la Pentecoste (§ 76) si cominciavano a contare da quel giorno dell’ottava Pasquale nel quale si offriva nel Tempio il primo manipolo di spighe, perciò essi sostenevano che l’offerta del manipolo doveva farsi sempre nella domenica di detta ottava. I Farisei al contrario sostenevano che la Pentecoste poteva celebrarsi in qualunque giorno settimanale; quindi l’offerta del manipolo doveva farsi sempre al giorno immediatamente successivo alla Pasqua, cioè al 16 Nisan, qualunque giorno settimanale esso fosse. Stante questa divergenza i Boetani e in genere i Sadducei usavano spostare il calendario, specialmente nei casi in cui la Pasqua (15 Nisan) fosse caduta di venerdì ovvero di domenica. Nel caso di Pasqua al venerdì, essi posticipavano il calendario d’un giorno e facevano cadere in quel venerdì l’immolazione dell’agnello e la cena pasquale (14 Nisan), nel sabbato la Pasqua (15 Nisan), e nella domenica l’offerta del manipolo (16 Nisan). Nel caso di Pasqua alla domenica anticipavano d’un giorno e facevano cadere in quella domenica l’offerta del manipolo (16 Nisan), nel precedente sabbato la Pasqua (15 Nisan), e nel precedente venerdì l’immolazione dell’agnello (14 Nisan). Questo spostamento di calendario si otteneva facilmente, anche mediante piccoli sotterfugi, approfittando dell’empirismo con cui si regolava la fissazione del calendario e di cui già trattammo (§ 180). A questa accomodazione dei Sadducei non acconsentivano però i Farisei; i quali, non preoccupandosi del giorno settimanale in cui cadeva la Pentecoste, celebravano il rito dell’agnello, quello della Pasqua e quello del manipolo, nei giorni in cui effettivamente cadevano. Si produceva quindi una scissione fra coloro che celebravano questi riti. La gran massa del popolo, dominata dai Farisei, li seguiva anche nella fissazione cronologica di questi riti. Al contrario le classi aristocratiche, più legate al ceto sacerdotale, seguivano la fissazione dei Boetani e dei Sadducei. Ogni gruppo seguiva la propria cronologia, non curandosi del gruppo opposto; tuttavia non dovevano mancare molti individui i quali o per ragioni di comodità seguivano la cronologia del gruppo non loro, ovvero non appartenendo a rigore a nessun gruppo sceglievano fra le due alternative quella che meglio piaceva.

• § 540. Ora, applicando questi dati al caso di Gesù, si trova una corrispondenza sorprendente. L’anno in cui Gesù mori, la Pasqua cadeva regolarmente al venerdì. Perciò i Sadducei, conforme alla loro norma, posticiparono il calendario d’un giorno per ottenere che l’offerta del manipolo cadesse alla domenica. I Farisei invece si attennero al calendario regolare, respingendo la posticipazione dei Sadducei e celebrando l’offerta del manipolo al sabbato. Il popolo si divise fra le due correnti. [Il Ricciotti a questo punto pubblica una] tabella [che] mostrerà nelle prime due colonne la differenza di datazione della festività pasquale tra i Sadducei e i Farisei, nelle ultime due colonne le rispettive posizioni degli Evangelisti (cfr. tabella al § 536): Si noti come Giovanni concordi col calendario mensile dei Sadducei, e invece i Sinottici concordino con quello dei Farisei. Infatti l’ultima cena di Gesù fu certamente la cena legale dell’agnello, e fu tenuta al giovedi nello stesso tempo che la tenevano i Farisei e in maggioranza quei del popolo; i quali consideravano quel giorno come il 14 Nisan, e il seguente venerdì come il 15 ossia la Pasqua. Ma la preponderanza del Sinedrio, che condannò Gesù, era composta di Sadducei (§ 58); i quali perciò consideravano quel giovedì come il 13 Nisan, e di conseguenza ritardavano la cena dell’agnello al venerdì seguente e la Pasqua al sabbato seguente. Così si comprende anche perché nel venerdì della morte di Gesù non osservassero il riposo festivo, sebbene quel giorno cadesse la Pasqua; era Pasqua per i Farisei, ma non per molti altri che per una ragione o l’altra seguivano il calendario dei Sadducei. In conclusione, i Sinottici si riferiscono al calendario mensile seguito da Gesù in accordo con i Farisei, pur accennando chiaramente al disaccordo di altri; Giovanni invece si riferisce al calendario seguito dai sinedristi Sadducei; condannatori ufficiali di Gesù, pur supponendo già noto che il calendario seguito da Gesù era differente. È assolutamente sicura questa spiegazione della vecchia questione? No, giacché rimangono ancora taluni punti oscuri, che qui sarebbe eccessivo elencare. Tuttavia a noi sembra la più fondata storicamente, soprattutto perché tiene conto della elasticità del calendario contemporaneo; la quale elasticità è una realtà storica di primaria importanza perché essa, come entra per qualche parte nelle famose controversie sorte nel cristianesimo primitivo a proposito della celebrazione della Pasqua cristiana, così ancora oggi spiega le divergenze cronologiche che si riscontrano a proposito di costumanze islamiche fra Arabi, anche di regioni confinanti, formandosi il loro calendario sull’osservazione diretta della luna. 

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Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.