Stimati Associati e gentili Sostenitori, oggi (29/9) ricorre la Festa di San Michele Arcangelo: il campione di Dio nella battaglia contro Lucifero e gli angeli ribelli (Apoc. 12, 7-8), il custode del corpo di Mosè (Giuda, 9), il difensore di Maria Santissima (Apoc. 12, 5-6); è il primo Angelo onorato dai fedeli e invocato come medico delle malattie. Il culto liturgico in Oriente si trova all’inizio del secolo IV, in Occidente qualche decennio dopo. Nel secolo VI, a Roma, il 30 settembre si celebrava l’anniversario della dedicazione della chiesa dedicata a San Michele Arcangelo sulla Via Salaria, dedicazione che più tardi diede origine alla festa attuale. In questo giorno San Michele è onorato come «il principe della milizia celeste»; e perciò la liturgia intende festeggiare tutti gli Angeli. A San Michele si attribuiscono tre funzioni: a) guida e conduce le anime in cielo (Off. della Messa dei Def.) dopo averle pesate sulla bilancia della giustizia divina; b) difende la Chiesa e il popolo cristiano (All.); c) in cielo presiede il culto d’adorazione della Santissima Trinità e offre a Dio le preghiere dei Santi e dei fedeli (Off.). Segue la preghiera che la Chiesa recita a San Michele alla fine di ogni Santa Messa: «Sancte Míchaël Archángele, defénde nos in proélio: contra nequítias et insídias diáboli esto praesídium. Imperet illi Deus, súpplices deprecámur: tuque, Prínceps milítiae coeléstis, Sátanam aliósque spíritus malígnos, qui ad perditiónem animárum pervagántur in mundo, divina virtúte, in inférnum detrúde. Amen». Fra le tante mostruosità e blasfemie compiute contro la Santa Messa, i modernisti hanno anche censurato questa importante orazione.
• Adesso finalmente parliamo di Sacra Scrittura con l’Abate Ricciotti - Dio lo abbia in gloria! § 515. L’insidiosa questione del tributo a Cesare era finita con una sconfitta dei Farisei interroganti, i quali «avendo udito furono presi d’ammirazione e lasciatolo se n’andarono» (Matteo, 22, 22). Di questa sconfitta si compiacquero i rivali Sadducei, i quali si fecero subito avanti a ritentare per proprio conto una nuova partita; questa avrebbe riguardato l’argomento della resurrezione dei corpi, tenacemente negata dai Sadducei (§ 34) e oggetto di vecchie dispute fra loro e i Farisei. Si presentarono pertanto a Gesù per sottoporgli non la questione astratta della resurrezione, ma un caso concreto, uno di quei «casi» che formavano la delizia delle accademie giudaiche. Cominciarono col citare la legge del «levirato», con cui Mosè prescrive che, se un Ebreo muoia non lasciando figli, il fratello del morto sposi la vedova di lui per procurare una discendenza al defunto (Deuteronomio, 25, 5 segg.). Ricordata questa legge, essi presentarono il «caso». C’erano stati sette fratelli, il primo dei quali era morto non lasciando figli, cosicché il secondo fratello aveva sposato la vedova del primo; ma anche costui era morto non lasciando figli, e la donna era stata sposata dal terzo; altrettanto era avvenuto con tutti i successivi fratelli fino al settimo, e dopo la morte del settimo era morta anche la donna. Ora - chiedevano quei Sadducei - di chi sarebbe stata moglie quella donna, quando fosse risorta insieme con tutti e sette contemporaneamente? Tutti e sette, infatti, avevano egual diritto su di lei. Il caso era tipicamente accademico; ma in fatto d’astruseria e di manierismo si andava oltre, come appare dal seguente «caso» conservato nel Talmud. - C’erano 13 fratelli, e 12 di essi morirono senza figli. Le 12 vedove citarono allora il superstite fratello davanti al Rabbi (Giuda I, morto sui primi del sec. III) affinché le sposasse in forza della legge del «levirato»; ma il superstite dichiarò che non aveva mezzi finanziari per mantenere le 12 aspiranti. Esse allora, tutte d’accordo, dichiararono che ciascuna avrebbe provveduto al mantenimento durante un mese all’anno, e così si sarebbe provveduto a tutti e 12 i mesi. Senonché il futuro marito delle 12 aspiranti fece cautamente osservare che nel calendario ebraico i mesi dell’anno erano talvolta 13: ciò infatti avveniva circa ogni 3 anni, quando si intercalava un tredicesimo mese per eguagliare l’ufficiale anno lunare con l’anno solare; ma il generoso Rabbi rispose che nel caso di mese intercalato egli avrebbe provveduto al mantenimento. E così avvenne. Dopo 3 anni le 12 vedove rimaritate si presentarono alla casa del Rabbi recando complessivamente 36 bambini, e il Rabbi li mantenne tutti per quel mese.
• § 516. I Sadducei che proposero il loro «caso» a Gesù non s’interessavano di questioni finanziarie, ma di quella della resurrezione. Secondo essi il caso proposto dimostrava che la resurrezione era impossibile, giacché risorta che fosse quella donna avrebbe dovuto essere nello stesso tempo moglie di tutti e sette i risorti mariti: ma poiché ciò era manifestamente una sconcezza e un’assurdità, per questo la resurrezione si dimostrava impossibile. Se poi Gesù avesse tentato di difendere la resurrezione, nello sciogliere il caso proposto si sarebbe cacciato in un ginepraio di ridicolaggini perdendo così ogni credito sulla folla. Questo modo di ragionare presupponeva un concetto della resurrezione molto crasso e materialesco, il quale anche per tale ragione era respinto dai Sadducei mentre tra i Farisei era predominante sebbene non universale; questo concetto immaginava la resurrezione come il ridestarsi di un dormiente, il quale svegliato che sia si ritrova nelle stesse condizioni naturali di prima che s’addormentasse. Perciò ai risorti si assegnavano le antiche attività di mangiare, bere, dormire, generare, ecc.; anzi sembrava conveniente che queste attività fossero accresciute e rafforzate, tanto che un cinquantennio dopo Gesù l’autorevole Rabban Gamaliel sentenziava che nella vita futura le donne partoriranno ogni giorno come le galline (in Strack e Billerbeck, Op. cit. nei precedenti Comun., vol. I, pag. 889, insieme con altre testimonianze più crude). Gesù taglia corto a tali fantasticherie puerili, e risponde: «Errate, non sapendo le Scritture né la potenza d’Iddio. Nella resurrezione infatti (i risorti) né sposano né sono sposati, ma sono come angeli nel cielo». I risorti saranno bensì gli stessi uomini di prima, ma non già nelle stesse condizioni di prima: la loro nuova condizione sarà come quella degli angeli nel cielo. Continuò poi Gesù: «Riguardo alla resurrezione dei morti, non leggeste ciò che fu detto a voi da Iddio affermante “Io sono il Dio di Abramo e il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe”? (Esodo, 3, 6)? Non è Dio di morti ma di viventi». Il passo citato da Gesù fa parte della Torah, l’unica Scrittura sacra accettata dai Sadducei (§ 31); questa sembra la ragione - come notò già San Girolamo - per cui Gesù, tralasciando altri passi delle Scritture che attestano più chiaramente le fede nella resurrezione dei morti (§ 80), argomenti da questo passo che a differenza degli altri non poteva essere rifiutato dai Sadducei. Ad ogni modo l’argomentazione è condotta secondo i metodi delle scuole rabbiniche, e presuppone il patrimonio ideale dell’ebraismo: il Dio dei patriarchi ebrei è Dio non di morti ma di viventi; dunque quei patriarchi vivono anche dopo la loro morte corporea, e la resurrezione è attestata dalle sacre Scritture.
Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.