Stimati Associati e gentili Sostenitori, il 3 settembre la Santa Romana Chiesa festeggia Papa San Pio X. Nacque a Riese, nella diocesi di Treviso, nell’anno 1835, e fu il secondo di dieci figli. Suo padre era procaccia postale e sua madre era sarta. A 12 anni fece la sua prima Comunione. Intelligente e studioso, percorreva sette chilometri a piedi scalzi, per frequentare il ginnasio di Castelfranco Veneto. A 17 anni entrò nel Seminario di Padova. Dopo sei mesi rimase orfano del padre. Il suo avvenire si presentava nero... Pianse, pregò, sperò... Noi tutti abbiamo il nostro bagaglio di sofferenze; ma il Signore veglia sopra ciascuno. Preghiamo, studiamo ed ubbidiamo: al resto ci penserà Lui... 2. Fu prefetto di camerata e maestro di canto in Seminario. A 23 anni fu Sacerdote: poi cappellano a Tombolo; arciprete a Salzano; Direttore Spirituale nel Seminario di Treviso e Cancelliere di Curia. Nel settembre del 1884 fu eletto Vescovo di Mantova, dove riaprì il Seminario, già chiuso da diversi anni, e tenne personalmente l’ufficio di Rettore, di professore di teologia, di canto e di cerimonie. Nel gennaio del 1892 veniva eletto Cardinale e Patriarca di Venezia. Nell’agosto del 1903 fu eletto Papa, succedendo a Leone XIII. Nell’agosto del 1914 moriva di dolore, per non aver potuto impedire la guerra mondiale. Nel giugno del 1951 fu proclamato beato, e nel maggio del 1954 fu canonizzato. Ecco dove lo ha portato l’amore al dovere!... 3. Fu semplice e rettilineo. Guardò e giudicò tutto alla luce della fede. Compì tutti i suoi doveri con mirabile perfezione. Fu di una umiltà profondissima. Da Sacerdote aveva amato e servito il Parroco come un figlio affettuoso, e le anime con assoluta dedizione. Da Vescovo e Cardinale riceveva a tutti gli orari; avvicinava i piccoli, i poveri, tutti. Servì più volte la Messa a umili suoi Sacerdoti. Per risparmiare in favore dei poveri, si privava di sufficiente personale di servizio; una mattina, servita la Messa al futuro Pio XI, gli preparò anche il caffè. Ammiriamolo e preghiamolo...
• Recitiamo una vecchia preghiera a Papa San Pio X per i seminari e per i seminaristi: + O glorioso san Pio X, che avete fondato i Seminari Regionali per dare alla Chiesa Sacerdoti santi e dotti, quali sono necessari ai tempi moderni, io Vi eleggo a mio speciale protettore di questo mese di settembre, mentre andrò meditando i pericoli che mi circondano e le sofferenze di Gesù e di Maria. Ottenetemi dalla SS. Trinità tutti quei lumi e tutte quelle grazie che mi sono necessarie; affinché, sotto la vostra protezione, e sulle orme dei vostri esempi, mantenendomi fedele alle mie pratiche di pietà, e fuggendo l’ozio e le occasioni pericolose, possa perseverare nello spirito della vocazione e rientrare generosamente in Seminario. Ora che non ho a mia disposizione tutti gli aiuti che avevo in Seminario; ora che sono in balia della mia inesperienza e debolezza, di fronte a tanti pericoli; ora mi è urgente il vostro prezioso patrocinio. Ve lo chiedo per l’amore che portate a Gesù e alla sua Chiesa. Così sia. + (Vita del Santo e preghiera tratte dal libro «Meditatio mea», Can. Muscolo, Marietti, 1962, pagine 282 e 285)
• L’Abate Ricciotti, nella sua preziosa «Vita di Gesù Cristo», oggi ci racconta del desiderio dei Greci di voler essere presentati a Gesù. § 508. Alla fine il corteo trionfale (di ingresso a Gerusalemme) Gesù raggiunse la città ed entrò nel Tempio. Ivi, nell’atrio esterno, continuavano ancora le acclamazioni festanti, e i fanciulli ripetevano le grida che già udimmo. Di quell’aura di tripudio approfittarono subito ciechi e storpi che erano a limosinare in un luogo così opportuno, e si fecero condurre presso al trionfatore taumaturgo implorando la sanità; e Gesù li guarì. Il Tempio era già affollato di pellegrini accorsi per l’imminente Pasqua; e fra costoro erano anche molti non giudei ma benevoli per il giudaismo. Nella Diaspora infatti il giudaismo aveva lavorato intensamente a far seguaci, e coloro che erano stati guadagnati si ripartivano in due classi: la classe inferiore era quella dei “devoti” o “timorati” di Dio, i quali erano obbligati all’osservanza del sabbato, a certe preghiere ed elemosine e ad altre prescrizioni minori, pur rimanendo sempre estranei alla nazione eletta d’Israele; la classe superiore invece era quella dei veri “proseliti”, i quali avevano ricevuto la circoncisione ed erano perciò eguagliati in tutto, o quasi, agli Israeliti, e ne condividevano ogni obbligo. Quando il corteo entrò nel Tempio, erano nell’atrio esterno alcuni di questi “devoti”, di stirpe Greci come li chiama san Giovanni (12, 20, greco), ch’erano venuti a Gerusalemme in occasione della Pasqua per fare adorazione, sebbene ai veri riti pasquali essi non potessero partecipare perché non erano eguagliati agli Israeliti. Rimasti colpiti dallo spettacolo del corteo e soprattutto da ciò che videro e udirono della potenza taumaturgica di Gesù, essi desiderarono esser presentati a lui; per riuscirvi più facilmente tra quella calca, si rivolsero all’apostolo Filippo (§ 314) e gli dissero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo, alquanto sorpreso dalla richiesta, si consigliò in proposito col suo compaesano Andrea, e finalmente ambedue comunicarono la richiesta a Gesù. Ciò che avvenne appresso è narrato da san Giovanni conforme a quella sua singolare maniera che lumeggia i principii perenni più che gli episodi fugaci: nel suo racconto i Greci che hanno chiesto di esser presentati a Gesù non sono più mentovati, ma in compenso Gesù parla della sua missione e questa è confermata solennemente da una testimonianza divina. Si direbbe che Giovanni nella ricerca di Gesù fatta da questi Greci scorga l’inizio della più ampia ricerca che farà di lui l’umanità, tanto che egli trascura l’episodio occasionale per dilungarsi sul risultato perenne. Alla comunicazione dei due Apostoli Gesù replicò: «È venuta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano caduto in terra non muoia, esso rimane solo; se invece muoia, porta molto frutto». Torna dunque l’idea della glorificazione di Gesù Messia, preceduta però dalla prova del dolore supremo; il regno di Dio si dispiegherà in pieno nella maniera riserbatagli nel «secolo» presente, solo dopoché il suo fondatore sia stato disfatto come un chicco di grano nascosto nell’umida terra: da quell’interiore disfacimento si sprigionerà la fruttificazione possente e moltiplicativa. Ed eguale alla sorte di Gesù sarà quella dei suoi seguaci: «Chi ama la vita sua la perde, e chi odia la vita sua in questo mondo la conserverà in vita eterna. Se alcuno mi serva, mi segua; e dove sono io, ivi sarà anche il mio servitore. Se alcuno mi serva, il Padre l’onorerà». Quindi Gesù ritorna su se stesso, e ripensa alla prova suprema che dovrà precedere la sua glorificazione: «Adesso l’anima mia è turbata. E che devo dire? “Padre, salvami da quest’ora”? Al contrario, per questo venni in quest’ora! Padre, glorifica il nome tuo». Appena è apparsa la possibilità di una titubanza davanti alla prova suprema, è respinta; più tardi nel Gethsemani la titubanza riapparirà in circostanze ben diverse e con risultato differente (§ 555).
• § 509. L’invocazione finale al Padre celeste fu esaudita. Come già era accaduto al battesimo di Gesù ed alla sua trasfigurazione (§§ 270, 403) venne una voce dal cielo che disse: «E glorificai, e di nuovo glorificherò». L’oggetto di questa glorificazione non è espresso, ma è chiaramente il nome dell’invocato Padre, il quale sarà glorificato dalla missione del suo Figlio Gesù e soprattutto dalla conclusione di quella missione. La folla astante percepì il suono, ma non capì distintamente le parole; perciò alcuni credettero che fosse scoppiato un tuono, chiamato spesso dagli Ebrei «la voce di Dio» (cfr. II Samuele, 22, 14; Salmo 29, 3.9 ebr.; Giobbe, 37, 5; ecc.), mentre altri supposero che un angelo avesse parlato a Gesù. Egli allora spiegò: «Non per me è stata questa voce, ma per voi. Adesso è (il) giudizio di questo mondo: adesso il principe di questo mondo sarà scacciato fuori. E io, se sia innalzato dalla terra, attirerò tutti a me stesso». In altre parole, Dio stava per compiere il giudizio di condanna sul mondo presente e su Satana, principe di esso; segno materiale che quel giudizio cominciava era la voce testé udita, la quale ricordava le voci divine del Sinai allorché era stata stabilita l’antica alleanza; la chiusura ed il coronamento di quel giudizio si sarebbero avuti quando Gesù fosse stato innalzato dalla terra, poiché avrebbe attirato a sé tutti gli uomini liberandoli dalla sudditanza a Satana. Appena menzionato l’«innalzamento» di Gesù, l’Evangelista si affretta ad aggiungere: «Ciò poi diceva, significando di qual morte stava per morire.» Non sappiamo però con sicurezza in qual maniera gli ascoltatori di Gesù interpretassero il suo annunziato «innalzamento»; dalle loro parole sembra che pensassero ad una specie di «assunzione» di Gesù, analoga all’assunzione di Henoch. Gli rispose pertanto la folla: «Noi udimmo dalla Legge che il Cristo (Messia) permane in eterno, e come tu dici che dev’essere innalzato il figlio dell’uomo? Chi e questo figlio dell’uomo?». Dalle sacre Scritture (Legge) risultava infatti che il regno del Messia sarebbe stato eterno; Gesù invece diceva che egli sarebbe stato innalzato ossia, come interpretavano essi, «assunto» in cielo: dunque il suo regno, qui su questa terra, non sarebbe durato in eterno. Inoltre, quel titolo di «figlio dell’uomo» non era chiaro per quegli ascoltatori, i quali forse conoscevano poco o nulla il libro di Daniele (§ 81); essi quindi si sentivano dubbiosi e aspettavano luce da Gesù. Gesù invece questa volta non si estese in spiegazioni, o almeno esse non ci sono tramandate; ci viene trasmesso soltanto ciò che sembra una sua generica esortazione conclusiva. Disse pertanto ad essi Gesù: «Ancora (per) piccolo tempo la luce è in voi. Camminate mentre avete la luce, affinché tenebra non vi sorprenda; e chi cammina nella tenebra non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, affinché diveniate figli di luce». Mentre Gesù pronunziava queste parole, calavano le prime ombre del vespero, dicendoci espressamente san Marco (11, 11) che «tarda era già l’ora»; perciò le parole, mentre convenivano spontaneamente con le circostanze della giornata solare, si riferivano in realtà alla giornata della vita di Gesù e alla sua luce spirituale che era vicina al tramonto. Quando l’ultimo chiarore di quella giornata trionfale fu spento, Gesù con gli Apostoli fece il cammino inverso da Gerusalemme a Bethania, ove passò la notte (Marco, ivi; Matteo, 21, 17; cfr. Giovanni, 12, 36).
Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.