Stimati Associati e gentili Sostenitori, (§ 435) terminate le ultime discussioni sorte in occasione del Tabernacoli, Gesù si allontanò da Gerusalemme. Nel bimestre abbondante che correva fra i Tabernacoli e la Dedicazione (§ § 76-77), avvennero buona parte dei fatti narrati a proposito del cosiddetto «viaggio» di Luca (§ 413 segg.), che perciò si svolsero in massima parte nella Giudea: questo, infatti, era il nuovo campo di lavoro scelto da Gesù allorché aveva abbandonato la Galilea (§ 411). Come già avvertimmo, questa narrazione particolare a Luca ha mire cronologiche e geografiche soltanto vaghe e generiche, e ciò le imprime un carattere spiccatamente aneddotico; dell’operosità varia spiegata da Gesù in questo tempo per diffondere il regno di Dio nella Giudea abbiamo soltanto elementi isolati, di fatti e di discorsi, ma non una relazione completa ed organica. Il diligente raccoglitore Luca ci fornisce solo le notizie ch’è riuscito a ricuperare, sia nella loro quantità sia nei loro reciproci collegamenti: di ciò ch’egli ignora, fedelmente tace. Occasionalmente ci vengono ricordati, tutti insieme, tre uomini che vogliono seguire Gesù (Luca, 9, 57-62); di questi tre, soltanto due sono mentovati da Matteo (8, 19-22), ed è molto probabile che i tre si presentassero in tempi e luoghi diversi, sebbene poi le loro menzioni fossero riunite insieme per ragioni redazionali.
• § 436. Un tale, che era scriba secondo Matteo, raggiunge Gesù per strada e gli dice: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada!». - Pensava forse, il buon uomo, che un profeta così autorevole e potente avesse una dimora stabile e decorosa, la quale gli servisse da centro di irradiazione per la sua operosità. Gesù lo disillude con franchezza: «Le volpi hanno tane e i volatili del cielo nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove reclini il capo». [Questo NON significa affatto che per essere buoni cristiani bisogna diventare accattoni o vagabondi, ndR]. In altre parole, il primo a seguire le norme del Discorso della montagna relative alla fiducia nella Provvidenza (§ 331) era appunto l’oratore di quel discorso. A un altro, che già faceva parte dei discepoli secondo Matteo, Gesù stesso rivolse l’invito dicendogli: «Seguimi!». L’invitato era ben disposto, ma prima domandò licenza di andar a seppellire suo padre; Gesù replicò: «Seguimi! E lascia i morti a seppellire i loro morti»; alle quali parole Luca aggiunge le altre: «Tu invece va’, annunzia il regno d’Iddio!». - Molto si è discusso su questo breve dialogo. Taluni hanno pensato che il padre di quel discepolo non fosse veramente morto, altrimenti il figlio secondo i costumi giudaici avrebbe dovuto stare presso la salma e non vicino a Gesù: egli quindi avrebbe domandato in realtà il permesso di andare ad assistere il vecchio padre nei suoi giorni estremi, come ancora oggi per esprimere questa assistenza si usa la frase affettuosa «chiudere gli occhi ai propri vecchi»; tuttavia, pur non essendo assolutamente impossibile, la spiegazione è poco verosimile. Anche meno verosimile è l’ipotesi (del Perles) secondo cui il testo greco risulterebbe da una traduzione difettosa dell’aramaico, il quale avrebbe detto originariamente «lascia i morti al seppellitore dei loro morti». Secondo ogni verosimiglianza, il padre del discepolo era veramente morto; d’altra parte Gesù vuol far risaltare l’imperiosità dell’appello al regno di Dio, che poteva in certi casi passar sopra anche alle costumanze più legittime. Se per ragioni religiose la Legge mosaica proibiva al sommo sacerdote e al «nazireo» di curare il seppellimento dei propri genitori (Levitico, 21, 11; Numeri, 6, 7), a maggior ragione il Messia Gesù esigeva negli annunziatori del regno di Dio almeno la stessa libertà dai legami sociali e una dedizione totale al loro ufficio. I viventi fuor del regno di Dio erano spiritualmente morti, e il tornare anche per breve tempo fra quei morti poteva essere pericoloso per quel discepolo: costui ch’era chiamato al regno di Dio, entrasse risolutamente nel regno della vita senza volgersi addietro a rimirare il cimitero del mondo. Questa è anche, in sostanza, l’esortazione rivolta al terzo postulante. Egli dice a Gesù: «Signore, io ti voglio seguire, ma prima permetti ch’io vada a congedarmi da quei di casa mia». - Gesù risponde: «Nessuno che imponga la mano su aratro e riguardi all’indietro, è adatto al regno d’iddio!». Come il bifolco che governa l’aratro non traccerà solchi diritti se si rivolta addietro, così chi mira al regno di Dio non deve voltarsi a riguardare le cose del mondo lasciate dietro le sue spalle.
• § 437. Trasferitosi in Giudea, Gesù inviò nuovamente in missione particolare i suoi cooperatori, come aveva già fatto in Galilea (§ 352). Essendo cresciuti i cooperatori, questa volta gli inviati furono ben più numerosi: settantadue, o settanta, a seconda dei codici; è ben probabile che fra i nuovi inviati fossero inclusi, tutti o in parte, i dodici già inviati l’altra volta. Le norme e gli scopi della nuova missione furono sostanzialmente gli stessi di quella precedente; la sua zona d’azione dovette essere la Giudea e forse anche la Transgiordania, senza però che ci siano fornite notizie precise in proposito: neppure siamo in grado di dire quanto tempo durasse questo nuovo giro d’evangelizzazione, ma sembra che non si protraesse oltre una ventina di giorni. Al loro ritorno gl’inviati erano giubilanti. Riunitisi appresso a Gesù, gli riferirono con fierezza che perfino i demonii si erano assoggettati a loro nel nome di Lui. Gesù si associò alla loro gioia, asserendo di aver visto Satana caduto dal cielo come folgore, e confermò ad essi per l’avvenire l’impero sulle potenze avverse; ma insieme li ammonì che la loro vera gioia doveva esser causata non dall’impero sugli spiriti del male, ma dal fatto che i loro nomi erano stati scritti nel cielo. Il bel successo ottenuto dai discepoli nel propagare il regno di Dio produce in Gesù una gioia più ampia ed elevata. Innalza egli il pensiero al suo Padre celeste, ne contempla i piani dell’umana salvezza e rileva che nell’attuare quei piani sono impiegati i mezzi umanamente meno opportuni, gli uomini meno pregiati ed appariscenti: il suo spirito erompe allora in un ringraziamento tripudiante al Padre celeste. «In quella stessa ora esultò (egli) nello Spirito santo e disse: “Rendo laude a te, Padre, Signore del cielo e della terra, perché celasti queste cose a sapienti e intelligenti, e le rivelasti a pargoli! Si, Padre, perché così fu beneplacito al tuo cospetto! - Tutte le cose a me furono consegnate dal Padre mio: e nessuno conosce chi è il Figlio se non il Padre, e chi è il Padre se non il Figlio e a chi voglia il Figlio rivelare”». Rivolto infine ai discepoli li proclamò beati perché contemplavano e udivano cose che invano avevano desiderato di contemplare e udire antichi profeti. Questa «esultanza» di Gesù è riferita concordemente da due Sinottici (Luca, 10, 21-22; Matteo, 11, 25-27); eppure, a sentirla leggere senza conoscere la provenienza, si concluderebbe fiduciosamente che essa proviene dal Vangelo di Giovanni, tante sono le sue analogie di pensiero e di espressione col IV Vangelo: il quale invece non contiene nulla di questo tratto. Siffatte analogie sono state sufficienti agli studiosi prevenuti per concludere, ad onta dell’attestazione concorde degli antichi documenti, che il tratto è aggiunto posteriormente o almeno ampiamente interpolato. Gli studiosi non prevenuti, e che si riportano alle origini storiche dei quattro Vangeli, vedranno in questo tratto un documento genuino dell’insegnamento di Gesù, pur rammentandosi che di quell’ampio insegnamento i Sinottici hanno ordinariamente preferito certe parti più accessibili e piane, mentre Giovanni è andato apposta in cerca delle parti più elevate ed ardue tralasciate da quelli (§ § 165, 169); tuttavia l’ordinaria preferenza dei Sinottici riceve un’eccezione appunto qui, ove essi trasmettono ciò che Giovanni tralascerà. Ma rimane sempre fermo che Sinottici e Giovanni si riportano egualmente al Gesù storico [NON ad un Gesù inventato, idealizzato o ad aggiunte postume dei primi cristiani: come sognano i maledetti modernisti, ndR].
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.