Stimati Associati e gentili Sostenitori, anche il numero di oggi, grazie a Dio, sarà ricco di dottrina e di insegnamenti morali. Nell’editoriale di apertura ci occuperemo - con il compianto Abate Ricciotti - di Gesù Cristo buon Pastore. Seguiranno due articoli: 1) il primo contro il quietismo e sulla lotta al peccato (dalle docenze di Papa Pio XII); 2) il secondo sulla questione, tanto adulterata dai moderni fallibilisti (per brevità: dai cosiddetti Lefebvriani), riguardante la menzione esplicita del nome del Pontefice regnante nella Messa (dalle docenze di Papa Benedetto XIV).
• § 432. La guarigione del cieco nato e le relative discussioni ebbero ancora degli strascichi, probabilmente vari giorni dopo ma egualmente a Gerusalemme. Gesù ricorre ad una parabola, parzialmente allegorizzata (§ 360) ma ricavata dai comuni usi palestinesi, e paragona la propria operosità a quella d’un buon pastore, e la società da lui fondata ad un ovile. L’ovile in Palestina si riduce oggi (e così più o meno era venti secoli fa) ad un muricciolo di pietre ove si radunano la sera le pecore, di uno o più greggi, che di giorno hanno pascolato nei dintorni. Una porticina bassa e stretta, aperta nel muricciolo, permette alle pecore di entrare e uscire ad una ad una, per essere più facilmente contate ambedue le volte. Di notte un solo pastore fa la guardia all’ovile contro i ladri e le bestie feroci; ma, verso l’alba, quando vengono gli altri pastori a prendersi ciascuno il suo gregge, il pastore di guardia apre regolarmente ad essi la porticina: il nuovo arrivato dà il suo grido particolare, e allora le sue sole pecore si affollano all’uscio, escono ad una ad una e seguono per tutta la giornata il pastore nella steppa. Le altre pecore aspettano finché non odono il grido particolare del proprio pastore, e s’avviano ad uscire soltanto quando sentono quella voce, che poi le guiderà per tutta la giornata. Così, gregge per gregge, le pecore partono tutte attraverso l’unica porticina, dirette dalle rispettive voci; le quali, poi, alle volte pronunziano nomi particolari per le pecore predilette: «Ehi! La Bianca!». «Tu, la mia Bella!». Quella porticina, dunque, è il punto più delicato dell’ovile, ed essa sola ispira fiducia; chiunque non passi attraverso essa ma salga per il muricciolo scavalcandolo, si dimostra con ciò stesso nemico, e non può essere che un ladro o una bestia feroce. Perciò disse Gesù: «In verità, in verità vi dico, chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, bensì salendo da altra parte, colui è ladro e rapinatore. Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore: a lui apre il portiere, e le pecore odono la voce di lui, e le proprie pecore chiama (egli) per nome e le conduce fuori; quando tutte le proprie abbia menate fuori, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché sanno la voce di lui. Un estraneo invece non seguiranno, bensì fuggiranno da lui, perché non sanno la voce degli estranei».
• § 433. Senonché l’allusione non fu capita; e allora Gesù vi ritornò sopra: «In verità, in verità vi dico, che io sono la porta delle pecore. Tutti, quanti vennero prima di me, ladri sono e rapinatori; ma le pecore non li udirono. Io sono la porta: se per me alcuno sia entrato, sarà salvato, ed entrerà ed uscirà e troverà pascolo. Il rapinatore non viene se non per rapire, fare strage e distruggere: io venni affinché abbiano vita e abbondantemente (l’)abbiano». Chi fossero questi ladri e rapinatori Gesù non spiegò, ma le condizioni storiche dei suoi tempi erano sufficienti a farli riconoscere; come gli antichi profeti avevano trovato il massimo ostacolo alla loro missione nell’operosità avversaria degli pseudoprofeti «profetizzanti la menzogna e... la fraude del loro cuore» (Geremia, XXIII, 26; si veda tutta la lunga invettiva di questo Profeta - XXIII, 9-40 - contro gli pseudoprofeti, alla quale se ne potrebbero aggiungere altre di altri), così Gesù, parlando qui da Messia, si riferisce all’operosità avversaria degli pseudopredicatori messianici che pullularono prima e dopo di lui. [Questo passo della Scrittura, che è Parola di Dio, ci fa comprendere, ancora una volta, quanto sia radicalmente incompatibile il sistema dell’ecumenismo con la fede cattolica: Gesù unica via di salvezza, la Chiesa unica Istituzione salvifica; non più divinità, non più chiese, non più religioni, ndR - Cliccare qui per approfondimenti]. Flavio Giuseppe, che li conobbe di persona, descrive coloro che predicarono sotto il procuratore Antonio Felice (52-60 dopo Cristo) con queste parole: «Uomini ingannatori e impostori, che sotto apparenza d’ispirazione divina operavano innovazioni e sconvolgimenti; inducevano essi la folla ad atti di fanatismo religioso, e la conducevano fuori nel deserto, come se là Dio avesse mostrato loro i segni della libertà (imminente)» (Guerra giud., II, 259). Riferendosi, poi, al tempo dell’assedio di Gerusalemme, lo stesso testimone oculare afferma: «Molti, del resto, erano allora i profeti che... andavano intimando d’aspettare il soccorso da parte di Dio... Cosicché il misero popolo fu allora illuso da ciarlatani e da quei che parlavano falsamente a nome di Dio» (ivi, VI, 286-288). Ma la cancrena era vecchia, e se scoppiò in pieno ai tempi qui accennati da Flavio Giuseppe, raccogliamo dallo stesso storico che essa covava da molto tempo prima; e che ai tempi di Gesù aveva invaso già largamente la plebe giudaica. Questi sono i «ladri e i rapinatori» biasimati da Gesù, come ai diretti e immediati avversari di lui Messia; se poi afferma che «le pecore non li udirono», si riferisce alla parte buona e sana del popolo, che del resto ai suoi tempi era ancora la parte numericamente maggiore, mentre in seguito andò sempre scemando.
• § 434. Insistendo ancora nel paragone dell’ovile, Gesù continuò: «Io sono il pastore, quello buono. Il pastore, quello buono, rimette la sua vita per le pecore. Il mercenario e che non è pastore, di cui non sono proprie le pecore, vede il lupo che viene, e lascia le pecore e fugge - e il lupo le rapisce e disperde - perché è mercenario e non gl’importa delle pecore. Io sono il pastore, quello buono, e conosco le mie e conoscono me le mie, come conosce me il Padre ed io conosco il Padre: e la mia vita rimetto per le pecore. Ho pure altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo io condurre, e la mia voce udranno, e si farà un solo gregge e un solo pastore». Gesù dunque, da vero pastore e non da mercenario, è pronto a perdere la vita per il bene dei suoi seguaci. Inoltre, egli è pastore non soltanto di questo ovile dell’eletto popolo israelitico, ma anche di altre pecore le quali un giorno udranno la sua voce: si formerà allora un solo gregge di suoi seguaci, tratti indifferentemente dal popolo d’Israele e da altri popoli, e il nuovo gregge collettivo avrà per comune pastore il Messia Gesù. Già gli antichi Profeti, trattando dei tempi del futuro Messia, avevano contemplato questo slargamento del ristretto ovile d’Israele entro cui sarebbero entrate pecore di altri ovili: «Alla fine dei giorni, sarà stabilito il monte della casa di Jahvè sulla cima dei monti e più elevato delle colline, e affluiranno ad esso tutte le genti e accorreranno popoli molti, dicendo: “Venite, ascendiamo al monte di Jahvè, alla casa del Dio di Giacobbe, affinché c’insegni le sue vie e procediamo sui sentieri di lui: perché da Sion uscirà la legge, e la parola di Jahvè da Gerusalemme!”. Terrà egli giudizio fra le genti, e darà sentenza su popoli molti; ed essi foggeranno le loro spade a zappe, e le loro lance a falci: non alzerà gente contro gente la spada, né impareranno più oltre la guerra» (Isaia, II, 2-4; cfr. Michea, IV, 1-3). Gesù infine concluse: «Per questo il Padre mi ama, perché rimetto la mia vita affinché nuovamente (io) la riprenda. Nessuno la tolse a me, bensì io la rimetto da me stesso. Ho potestà di rimetterla, e ho potestà di riprenderla nuovamente. Questo comando ricevetti dal Padre mio». Anche per queste parole ci fu dissenso tra i Giudei. Molti, e forse i più, le commentavano spregiosamente concludendo: «Ha un demonio ed è pazzo; perché state ad ascoltarlo?». - Altri tuttavia replicavano: «Eh, no! Queste parole non sono da indemoniato! Può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?» (Giov., X, 19-21). Da «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti - Riposi in pace! Per studiare la dottrina sui miracoli, quindi per comprendere le differenze fra veri e falsi miracoli, consiglio lo studio del libro «Racconti miracolosi» del P. Giacinto da Belmonte, pubblicato nel 2018 dalla nostra piccola casa editrice.
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.