Comunicato numero 147. Gesù si proclama preesistente ad AbramoStimati Associati e gentili Sostenitori, segnaliamo con gioia una delle tante lodevoli iniziative del sito spagnolo Propaganda Católica (Sito - Pagina Facebook). Scrive Albert Navarro di Barcellona, ideatore e gestore del portale: «Inauguramos con esta entrada la nueva serie de artículos sobre Teología Política, a cargo del periodista italiano Carlo Di Pietro, que ofrecemos desde ahora en español para nuestros lectores. Unas reflexiones sobre la política contemporánea a la luz de la Doctrina Social de la Iglesia». I nostri articoli di Teologia politica saranno, dunque, tradotti in spagnolo e pubblicati qui.  Dio benedica Albert ed il suo zelo.

• Con l’aiuto del compianto Abate Giuseppe Ricciotti, «Vita di Gesù Cristo» anno 1941, il nostro approfondimento di oggi è dedicato al ministero di Gesù nel periodo che va dall’ultima Festa dei Tabernacoli, fino all’ultima Festa della Dedicazione. Riserveremo a questo approfondimento vari editoriali.

La questione cronologica e geografica. § 413. Finora i tre Evangelisti sinottici hanno camminato su strade abbastanza parallele fra loro: solo San Giovanni, secondo la sua abitudine, si è inoltrato in una particolare direzione che non ignora ma neppure fiancheggia quella dei tre suoi predecessori (§ 165). Senonché a questo punto anche fra i tre Sinottici avviene un distacco: San Matteo e San Marco proseguono verso una direzione che è genericamente comune, ma sono abbandonati da San Luca che piega da un altro lato, mentre San Giovanni continua per la sua via che non è nè quella di Matteo e Marco, né quella di Luca. Soltanto in occasione dell’ultima Pasqua della vita di Gesù, Luca si affiancherà nuovamente a Matteo e Marco; dal canto suo anche Giovanni terrà loro dietro, ma come al solito precisando e integrando. Già sappiamo chè Giovanni si preoccupa soprattutto dell’operosità di Gesù in Gerusalemme e fissa nettamente le date: perciò, anche in questo nuovo periodo, egli offre allo storico elementi di sommo pregio per l’integrità della biografia e per il suo quadro cronologico. A sua volta Luca, in questa sua narrazione ove non è fiancheggiato dagli altri due Sinottici, comunica molti fatti e discorsi del tutto nuovi, pur curandosi poco o nulla di fissare tempi e luoghi. Di qui sorge la questione di collocare in tempi e in luoghi convenienti le cose che Luca narra indipendentemente sia da Matteo e Marco sia anche da Giovanni. Molti studiosi moderni designano convenzionalmente questa narrazione propria al terzo Evangelista come il «viaggio» di Gesù secondo Luca, perché l’intera sezione comincia annunziando un viaggio di Gesù alla volta di Gerusalemme (Luca, 9, 51) e termina con l’ingresso effettivo nella città (19, 28 segg.); il quale ingresso, però, è precisamente il punto in cui Luca si ricongiunge con gli altri Evangelisti, perché è l’ingresso dell’ultima Pasqua. Ma si tratta di un vero «viaggio»?

• § 414. Per rispondere bisogna tener conto di alcuni fatti. In primo luogo, questo «viaggio» sarebbe stato di una lentezza eccezionale, giacché s’inizierebbe al principio dell’autunno per raggiungere la meta solo nella primavera successiva: più che un viaggio, dunque, sarebbe una peregrinazione vaga su zone occasionali e senza una meta urgente. Inoltre, nel racconto di questo «viaggio» si ripete una seconda e una terza volta che Gesù è in cammino verso Gerusalemme (Luca, 13, 22; 17, 11), la quale però non è mai raggiunta; solo alla quarta volta, quando si conferma il proposito di raggiungere la meta (18, 31), questa è effettivamente raggiunta (19, 28 segg.). Ora, perché mai questi ripetuti annunzi, che non sono affatto richiesti dalla chiarezza del discorso e non vi aggiungono nulla di nuovo? Non acquisterebbero invece un preciso significato qualora si considerassero come allusioni a differenti viaggi a Gerusalemme, piuttosto che conferme di un solo «viaggio»? Così infatti si è pensato, facendosi rilevare che l’indipendente Giovanni colloca, appunto, in questo periodo il viaggio per la Festa dei Tabernacoli, quello per la Dedicazione, e quello per l’ultima Pasqua. Tuttavia questa presunta corrispondenza fra i viaggi minori di Luca e quegli espliciti e distinti di Giovanni, oltre ad incontrarsi in talune difficoltà topografiche e cronologiche, sembra avere contro di sé le parole stesse con cui Luca annunzia a principio il suo maggiore «viaggio»: «Avvenne poi, nel compiersi i giorni dell’assunzione di lui (di Gesù), che egli decise stabilmente (a parola: confermò il volto) di andare a Gerusalemme» (Luca, 9, 51). Queste parole indicano chiaramente che il viaggio annunziato si dovrà concludere con la morte di Gesù e la sua successiva assunzione nella gloria; ma anche qui nulla c’induce a ritenere che questa conclusione del viaggio sia cronologica piuttosto che logica, ossia che in questo scorcio della vita di Gesù Luca badi più al succedersi dei giorni che all’imminente prova suprema di Gesù e al successivo trionfo di lui. D’altra parte nel maggiore «viaggio» di Luca troviamo inquadrati fatti e discorsi di Gesù che presso Matteo e Marco sono collocati in altro contesto, cioè durante l’operosità di Gesù in Galilea: e in questa divergenza, se Luca il più delle volte sembra da preferirsi quanto alla serie degli avvenimenti, è ben possibile che qualche rara volta siffatta preferenza sia da concedersi a Matteo e Marco.

• § 415. Tutto considerato, non sembra che sia il caso di parlare di un maggiore «viaggio» di Luca sotto l’aspetto cronologico e grafico. Questo «viaggio» non è che una giustapposizione o composizione letteraria: essa è stata formata con elementi di più viaggi compiuti in questo tempo da Gesù, ed è inoltre accresciuta con vari altri elementi raccolti senza preoccupazioni cronologiche e geografiche ma solo concettuali e logiche (cf. § 378). I viaggi minori di Gesù, che hanno fornito il precipuo materiale a questa narrazione complessiva, possono benissimo essere i viaggi distintamente ricordati da Giovanni; tuttavia Luca, nell’utilizzarne il materiale, non ha preteso stenderne la minuta e distinta cronistoria, ma ha solo mirato a presentare la realtà dei fatti in maniera tale che risultasse un’appropriata conclusione e un degno coronamento alla precedente operosità di Gesù: il quale si avvicina con serena consapevolezza alla prova suprema in Gerusalemme, e superata la prova raggiunge la sua assunzione nella gloria. Questo scopo concettuale e logico, ben più che quello cronistorico e annalistico, era nella mira della catechesi primitiva, e specialmente di quella di San Paolo seguita fedelmente da San Luca (§ 135 segg.).

Alla festa dei Tabernacoli. § 416. Finiva l’estate dell’anno 29, e con l’autunno si avvicinava la gaia e popolare Festa dei Tabernacoli (§ 76). Se Gesù era stato l’ultima volta a Gerusalemme per la festa della Pentecoste (§ 384), erano circa quattro mesi che mancava dalla città santa: in questo tempo la sua operosità in Galilea aveva trovato pessima corrispondenza, ed egli aveva deciso di allontanarsene. Ma dove andare? La meta gli fu zelantemente suggerita da quei suoi «fratelli» che non credevano in lui (§ 264); essi avevano ben notato i meschini risultati ottenuti dal loro parente dopo tanto affaticarsi nella Galilea, e d’altra parte lo avrebbero visto con loro grande soddisfazione a capo di una fiumana di popolo bene inquadrata e diretta baldanzosamente verso Gerusalemme: là bisognava recarsi per sbalordire quegli insigni dottori con le opere se si volevano risultati decisivi, altro che perdere tempo e sprecare miracoli fra quei montanari della Galilea! Gli dissero,  pertanto, i suoi fratelli: «Trasferisciti di qua e va’ nella Giudea, affinché anche i tuoi discepoli (di laggiù) vedano le opere tue che fai. Nessuno, invero, fa alcunché in segreto, e cerca d’essere egli stesso in evidenza. Se fai queste cose, mostra te stesso al mondo!». Neppure, infatti, i fratelli di lui credevano in lui! (Giovanni, 7, 3-5). A Gerusalemme aveva già pensato anche Gesù; ma appunto quel suggerimento dei suoi «fratelli», dettato da tutt’altre considerazioni, servì da momentaneo ostacolo all’attuazione dei suoi piani. Essi pensavano che assai opportuna per una altisonante manifestazione di Gesù era appunto la Festa dei Tabernacoli, alla quale affluivano grandi folle anche da fuori la Palestina; Gesù, invece, pensava che precisamente il pericolo di quella rumorosità era un motivo per respingere il loro consiglio. Cosicché i «fratelli», insieme con gli altri pellegrini Galilei, partirono per Gerusalemme, e Gesù invece rimase ancora in Galilea; tuttavia più tardi, quando le carovane parentali (§ 261) erano già partite, si mosse anch’egli alla volta della città santa non manifestamente ma come in segreto (Giov., 7, 10).

• § 417. L’itinerario scelto da Gesù fu il più breve, quello che scendeva lungo il mezzo della Palestina attraversando la Samaria. I Samaritani, nel loro inveterato rancore, coglievano volentieri l’occasione di questi grandi passaggi di pellegrini israeliti per dar loro fastidi di ogni sorta, non escluse ferite e morte; veramente Gesù nel passato aveva trovato buone accoglienze presso i Samaritani, ma soltanto presso quelli di Sychar (§ 294), e del resto il fatto era avvenuto circa un anno e mezzo prima, cosicché non si poteva fare molto assegnamento su quelle antiche disposizioni amichevoli. Quindi, per premunirsi, egli inviò in precedenza alcuni suoi discepoli che preparassero l’alloggio in un villaggio innominato della zona pericolosa; ma quanto egli aveva temuto avvenne, perché i Samaritani di quel villaggio, conoscendo che si trattava di Galilei diretti a Gerusalemme, non vollero concedere ospitalità. A quest’atto disumano i due fratelli Giacomo e Giovanni, infiammati da baldanzoso zelo, si ricordarono di aver ricevuto da Gesù la potestà di far miracoli per la diffusione del regno di Dio; domandarono perciò a Gesù se acconsentiva a che facessero cadere fuoco dal cielo per incenerire quei ribaldi. Egli invece «rivòltosi, li rimproverò. E andarono in un altro villaggio»  (Luca, 9, 55-56, greco). Chissà che questo altro villaggio non fosse appunto Sychar?

• § 418. Nel frattempo le prime comitive di Galilei erano giunte a Gerusalemme; i cittadini, memori del fatto del Bezetha avvenuto pochi mesi prima (§ 384), avevano cercato subito se fosse giunto anche Gesù: «Dov’è colui?». E molto bisbiglio era riguardo a lui nelle folle; alcuni dicevano: «È buono»; altri invece dicevano: «Macché! Anzi inganna la folla!». Nessuno, tuttavia, parlava con franchezza a suo riguardo, per paura dei Giudei (Giovanni, 7, 11-13). Questa scena vividamente storica, sebbene dovuta all’Evangelista che si vorrebbe far passare come un astratto allegorista, mostra che la precedente visita di Gesù a Gerusalemme aveva lasciato tracce abbastanza profonde, suscitando consensi e dissensi. Improvvisamente, quando gli otto giorni dei Tabernacoli erano per metà passati, si seppe che Gesù era giunto e si era messo ad insegnare nell’atrio del Tempio (§ 48). Accorsero ammiratori e detrattori; tutti indistintamente riconoscevano l’efficacia del suo parlare. Ma i detrattori cominciarono subito con una questione pregiudiziale. Non poteva esser veramente dotto e sapiente, se non chi aveva frequentato le scuole dei grandi Rabbi e Scribi ed era stato ammaestrato secondo i loro metodi; perciò quei tali si domandavano diffidenti: «Come sa costui di lettere, non essendo stato ammaestrato?».  C’era ben da diffidare di quell’autodidatta, che in materia religiosa osava staccarsi dalla «tradizione». Gesù rispose: «La mia dottrina non è mia ma di chi m’inviò. Se alcuno voglia fare la volontà di lui, conoscerà riguardo alla dottrina se è da Dio, oppure (se) io parlo da me stesso. Chi parla da se stesso, cerca la gloria propria; chi invece cerca la gloria di chi l’inviò, costui è verace e ingiustizia in lui non è. Non vi dette forse Mosè la Legge, e(ppure) nessuno di voi pratica la Legge? Perché cercate d’uccidermi?». Rispose la folla: «Hai un demonio! (§ 340). Chi cerca d’ucciderti?». Rispose Gesù e disse loro: «Un’unica opera feci e tutti ammirate. Per questo Mosè vi dette la circoncisione - non che (essa) sia (istituita) da Mosè; ma dai padri - e in sabbato circoncidete un uomo. Se un uomo riceve la circoncisione in sabbato affinché non sia abolita la Legge di Mosè, vi sdegnate con me perché feci sano un uomo intero in sabbato? Non giudicate secondo apparenza, bensì con giusto giudizio giudicate!» (Giov., 7, 15-24).

• § 419. La discussione si riferiva alla guarigione del Bezetha e alle obiezioni fattele dai Farisei. Gesù, senza tornar sopra alle diatribe rabbiniche né replicare all’ingiuria di avere un demonio, cerca di far penetrare i suoi contraddittori più addentro nel significato vero della Legge mosaica. E la disputa continuò; tanto che alcuni di Gerusalemme, ben sapendo qual vento spirasse in città, si chiedevano: «Non è costui quello che vogliono uccidere?.  Eppure, ecco che parla in pubblico e non gli dicono nulla! Avrebbero forse i nostri maggiorenti riconosciuto che egli è proprio il Messia? Ma noi sappiamo donde è costui, mentre quando verrà il Messia nessuno conosce donde sia!». - Era infatti opinione diffusa che il Messia doveva sì essere un discendente di David e nascere a Bethlehem (§ 254), ma anche che sarebbe comparso inaspettatamente dopo essersi trattenuto per lungo tempo in un luogo a tutti sconosciuto: in assoluto ritiro; di Gesù, invece, si sapeva benissimo il luogo abituale di dimora, e perciò egli non poteva essere il Messia. Gesù quindi rispose appellandosi ancora una volta alla sua propria origine preterrena e all’autorità di chi l’aveva inviato. «E me sapete, e donde sono sapete. E(ppure) da me non sono venuto, bensì è vero colui che m’inviò che voi non sapete. Io (invece) so lui, perché da lui sono ed egli inviò me» (Giov., 7, 28-29). Queste parole furono pronunziate da Gesù ad alta voce, come dichiarazione solenne. Come tale fu intesa dai suoi avversari, i quali la interpretarono - e interpretarono giustamente - come una dichiarazione di esistenza preterrena e divina; senonché tale dichiarazione era per essi blasfema, e perciò quegli scandalizzati scattarono e cercarono d’attuare subito l’antico progetto d’impadronirsi di Gesù. «Ma ancora non era venuta l’ora di lui» - osserva l’Evangelista spirituale - cosicché nessuno gli mise le mani addosso. Gli avversari, infatti, erano controbilanciati dagli ammiratori, anzi questi ultimi presero animo, nonostante il vento infido, ed entrando in discussione fecero osservare: «Quando il Messia verrà, opererà forse più miracoli di costui?». Questa risposta era un richiamo alla precisa realtà. L’argomento dei miracoli, ch’era perentorio e perciò bersagliatissimo venti secoli fa non meno di oggi, ottenne buon effetto e molti credettero in lui. Tuttavia gli avversari, che volevano impadronirsi di Gesù, non si rassegnarono, e ricorsero ai magistrati del Tempio affinché procedessero a un regolare arresto; ma l’atteggiamento risoluto degli ammiratori di Gesù dovette sconsigliare di procedere a un’azione così pericolosa, potendo seguirne uno di quei tumulti che troppo spesso sorgevano negli atrii del Tempio. E mentre le guardie ronzavano attorno a Gesù, egli ripeteva ai suoi avversari: «Ancora breve tempo sono con voi, e (poi) vado a colui che m’inviò. Mi cercherete (allora) e non (mi) troverete; e dove sono io, voi non potete venire». Gesù si riferiva ancora alla precedente affermazione della sua origine e provenienza divina; gli avversari, respingendo questa idea, si trovarono davanti ad una allusione imprecisabile e si domandavano fra loro: «Vorrà egli forse recarsi nella Diaspora giudaica all’estero, per ammaestrare là i pagani?».

• § 420. Frattanto, durante l’ottava dei Tabernacoli, si svolgeva ogni giorno la processione che andava ad attingere l’acqua alla fonte di Siloe (§ 76). L’ultimo giorno, ch’era il più solenne, Gesù prese occasione dalla cerimonia e ne fece un’applicazione a sé e alla sua dottrina: «Se alcuno ha sete, (venga) a me e beva!». Di una certa acqua aveva Gesù parlato già alla Samaritana; ma anche nei secoli prima aveva parlato della stessa acqua un profeta, facendo pronunziare a Dio questo lamento:  «Due mali ha commesso il popolo mio: abbandonarono me, sorgente d’acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate, cisterne che non serbano acqua!» (Geremia, 2, 13) Anche questa volta Gesù aveva parlato ad alta voce in tono di dichiarazione solenne, e la dichiarazione riaccese tra la folla le dispute di pochi giorni prima. Degli ammiratori alcuni affermavano: «Costui è davvero il profeta!». Altri: «È il Messia». - Gli avversari rispondevano: «Macché Messia! Forseché dalla Galilea viene il Messia? Non viene forse da Bethlehem, come discendente di David?». - Le guardie del Tempio tentarono nuovamente d’impadronirsi di Gesù, ma rimasero interdette dalla sua potenza spirituale. Rimproverate dai magistrati e dai Farisei di non averlo arrestato, risposero con semplicità: «Giammai un uomo parlò in tal maniera come parla quest’uomo!» (Giov., 7, 46). I Farisei replicarono sarcastici: «Anche voialtri sareste forse rimasti ingannati da lui? Guardate invece se alcuno dei maggiorenti, o di noi Farisei, ha creduto in lui! Ma questa folla, che non conosce la Legge, è tutta di maledetti!». - I maledetti della folla, che ammiravano Gesù, costituivano l’abominevole «popolo della terra» (§ 40). Alla discussione prese parte anche il cauto Nicodemo, rimasto «fra coloro  che sono sospesi» (§ 290). Ebbe egli il coraggio di appellarsi alla legalità osservando: «Forseché la nostra Legge giudica l’uomo, se non l’ha in precedenza ascoltato e non ha conosciuto ciò che fa?». - Ma anche a Nicodemo fu risposto col sarcasmo: «Sei forse pure tu della Galilea? Fa’ ricerche e ti convincerai che dalla Galilea non sorge profeta!». - Lo spirito regionalista dei Giudei faceva da avanguardia allo spirito nazionalista dei Gentili; l’uno e l’altro concorderanno più tardi nel sentenziare che «dalla Galilea non sorge profeta», e pronunzieranno la loro sentenza senza prima ascoltare l’imputato e senza indagare ciò che ha fatto.

• § 421. Un’altra circostanza della festa offrì occasione a Gesù per presentare se stesso e la sua dottrina. Fin dai vespri del primo giorno dei Tabernacoli il popolo accorreva all’atrio esterno del Tempio recando rami di palma, mirto e salice; appena calavano le tenebre, i sacerdoti accendevano grandi lampade appese ad altissimi candelieri, e subito la folla accendeva innumerevoli altri lumi d’ogni genere. Fra questa luminaria si svolgevano festeggiamenti giocondi, in cui tenevano il primo posto danze eseguite nel mezzo dell’atrio, mentre i Leviti, schierati sui gradini dell’atrio interno, cantavano inni sacri: le danze erano eseguite specialmente dai maggiorenti della nazione e dai dottori più famosi, che facevano a gara nel danzare il più a lungo possibile tenendo fiaccole ardenti in mano (Sukkah, V, 1-4; Sukkah babli, 50 a-b, 53 a-b). I bagliori di quella gaia notte rimanevano negli occhi delle folle festanti anche durante l’ottava seguente, e in uno di quei giorni Gesù applicò la cerimonia a se stesso. Qual giorno fosse, non ci viene detto; ma se Giovanni (8, 12-59) colloca questo episodio dopo gli altri della stessa festa, fa ciò probabilmente perché vede in esso un’opportuna preparazione all’episodio successivo del cieco nato, che riceve la luce da Gesù. Un giorno, dunque, trovandosi nell’aula del Tesoro attigua all’«atrio delle donne» (§ 47), Gesù disse ai Giudei: «Io sono la luce del mondo. Chi segue me non cammina nella tenebra, bensì avrà la luce della vita». Come prima aveva parlato dell’acqua riferendosi alla cerimonia dei Tabernacoli, così adesso parlava della luce con analogo riferimento. I Farisei gli risposero che nessuno era tenuto a prestargli fede, perché egli rendeva testimonianza a se stesso, e la sua testimonianza non era verace. Ne seguì una disputa in più riprese (cfr. Giov., 8, 20-21 con 8, 30-31), che dovrà essere letta per intero nel testo originale. Le affermazioni fondamentali di Gesù sono le seguenti.

• § 422. La testimonianza di Gesù è garantita dal suo Padre celeste; ma i Giudei non conoscono il Padre, perché non conoscono Gesù. Intanto il tempo stringe: Gesù si allontanerà per sempre dai Giudei, ed essi moriranno ostinati nel peccato di non aver riconosciuto la sua missione. Essi sono dalle cose di giù e del mondo; Gesù è dalle cose di su e non del mondo. A questo punto i Giudei, ironicamente, gli rivolgono la stessa domanda già rivolta a Giovanni il Battista dalla loro ambasceria (§ 277): «Tu chi sei?». Gesù risponde: «In primo luogo, (io sono) ciò che appunto vi sto dicendo»; la frase evita una dichiarazione precisa e netta, la quale invece è aspettata dai Giudei per poter scendere subito a violenze contro Gesù, come di fatto avverrà alla fine della discussione. Eppure - prosegue Gesù - quando i Giudei avranno «innalzato il figlio dell’uomo» allora conosceranno che egli è «il figlio dell’uomo», fedele esecutore della missione ricevuta dal Padre. Questa totale dedizione alla volontà del Padre colpisce molti uditori, i quali credono in lui. Ai nuovi credenti si rivolge poi Gesù, ma subito interloquiscono altri presenti che gli sono rimasti avversi. Accettando gl’insegnamenti di Gesù - dice egli - si ottiene la vera libertà, e questa consiste non già nell’essere discendenti di Abramo bensì nell’affrancamento dal peccato. Chi è vero discendente di Abramo compia le giuste opere di Abramo, e non cerchi di uccidere Gesù inviato dal Padre celeste. Non basta proclamarsi - come fanno gli avversari - figli d’Iddio, bisogna anche amare Gesù ed accettare i suoi insegnamenti, perché egli è «uscito da Iddio» e «inviato da lui»; chi non ascolta le parole di Gesù dimostra d’avere «per padre il diavolo che fu omicida da principio» ed il «padre della menzogna». Se Gesù dice la verità, perché non gli si crede? Chi può convincere lui di peccato? Chi è da Dio, ascolta i detti di Dio; ma per questo gli avversari non ascoltano Gesù, perché non sono da Dio.

• § 423. A questo punto la lotta diviene più serrata. I Giudei risentono dei colpi ricevuti, e reagiscono non con accorgimenti dimostrativi ma con ingiurie. Essi replicarono: «Non diciamo bene noi che tu sei un Samaritano (§§ 4, 417) e hai un demonio?». Gesù rispose: «Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi (invece) mi disonorate. Io al contrario non cerco la mia gloria; v’è chi (la) cerca e (su ciò) giudica. In verità, in verità vi dico, se alcuno abbia custodito la mia parola non vedrà morte in eterno». Gli risposero i Giudei: «Adesso abbiamo conosciuto che hai un demonio! Abramo morì, (così) pure i profeti, e tu dici - Se alcuno abbia custodito la mia parola non gusterà morte in eterno. - Forseché sei tu maggiore del nostro padre Abramo che morì? (Così) pure i profeti morirono. Chi ti fai (da) te stesso?». Gesù rispose: «Se io abbia glorificato me stesso, la mia gloria è niente; v’è il Padre mio che mi glorifica, (quello di) cui voi dite - Dio nostro. - E(ppure) non lo conoscete, mentre io so lui; e qualora (io) dica che non so lui, sarò simile a voi mentitore. Ma (io) so lui, e la parola di lui custodisco. Abramo, il vostro padre, esultò per (desiderio di) vedere il mio giorno, e (lo) vide e (ne) godé». Dissero pertanto i Giudei a lui: «Cinquanta anni ancora non hai, e hai visto Abramo?» (§§ 176,182). Disse loro Gesù: «In verità, in verità vi dico, prima che Abramo fosse, io sono». La discussione è finita. Gesù si è proclamato anteriore ad Abramo, e quindi all’intero ebraismo di cui Abramo è il capostipite. O si accetta la sua affermazione, credendo in lui: oppure in contrapposto si proclama che Gesù è posteriore e inferiore all’ebraismo, e quindi sottoposto alle sue leggi. Ora, secondo la Legge ebraica (Levitico, 24, 16), il bestemmiatore deve esser lapidato; perciò i Giudei, secondo i quali Gesù ha bestemmiato proclamandosi preesistente ad Abramo, passano ad applicare la Legge: «Tolsero pertanto delle pietre per lanciar(le) addosso a lui. Ma Gesù si nascose, e uscì dal Tempio».

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.