Stimati Associati e gentili Sostenitori, oggi l’Abate Giuseppe Ricciotti - dalla sua «Vita di Gesù Cristo» - ci parlerà delle «Rettificazioni messianiche». Di che si tratta?
• § 400. Il decisivo annunzio ormai era stato comunicato (cfr. Sursum Corda n° 143), ma subito appresso vennero quei correttivi (§ 301) che dovevano contenerne il significato nei suoi giusti termini. E in primo luogo l’annunzio era ancora confidenziale, riserbato ai soli discepoli; terminato, infatti, il conferimento dell’ufficio a Simone Pietro, Gesù immediatamente intimò ai discepoli di non dire a nessuno che egli è il Cristo (Matteo, 16, 20). Gesù giudicava non essere ancora venuto il tempo di divulgare l’annunzio, sia perché le turbe non erano preparate, sia anche perché gli stessi discepoli valutavano certamente in maniera imperfetta la qualità messianica di Gesù. Egli quindi si dette a rettificarla e perfezionarla. «Da allora cominciò Gesù Cristo a mostrare ai discepoli suoi che egli deve andare a Gerusalemme, e molto patire dagli Anziani e sommi sacerdoti e Scribi, ed essere ucciso e al terzo giorno risuscitare» (ivi, 21). Quale differenza fra il rumoroso e folgoreggiante Messia atteso dalle plebi, e questo Messia che schiva d’esser riconosciuto per tale e predice i patimenti e la morte violenta che l’aspettano! Per i discepoli, ai quali appunto era rivolto l’energico ammonimento, fu un colpo rude. Il generoso Pietro, sia per il suo carattere sia per l’ufficio testé ricevuto, si credette in dovere d’intervenire; «e Pietro presolo seco (da parte), cominciò a rimproverarlo, dicendo: “(Dio sia) a te propizio, Signore! Non ti avverrà punto ciò!”. Ma egli, voltatosi, disse a Pietro: “Vattene dietro a me, Satana! Mi sei di scandalo, perché non hai i pensieri d’Iddio, bensì quelli degli uomini”». Il tentatore per eccellenza era Satana (§§ 78, 273), e qui la Roccia della Chiesa e il maggiordomo del regno dei cieli riceve l’appellativo di tentatore. La ragione di questa umiliazione, cioè l’aver egli vagheggiato il Messia dominatore deprecando il Messia sofferente, era imputabile più ai suoi tempi che a lui personalmente: ad ogni modo dimostra bene quanto bisogno c’era di rettificazioni messianiche anche nelle coscienze dei più intimi discepoli di Gesù. E le rettificazioni seguitarono, prendendo sempre più il tono di crude disillusioni. Che s’aspettavano quei discepoli andando appresso a Gesù Messia? Forse di trionfare, forse di goder vita suntuosa a fianco a un dominatore? Provvede Gesù a dissipare cotesti loro sogni con altrettante smentite anticipate, che risuonano come schiaffi sulla faccia d’un morfinizzato delirante. Gesù dichiara che chi vuole andargli appresso dovrà rinnegare se stesso, prendere la sua croce e seguirlo (Matteo, 16, 24). L’allusione alla croce acquistò certamente un senso più chiaro dopo la morte di Gesù; ma fin da allora i discepoli potevano comprenderla benissimo, giacché da quando i Romani si erano insediati in Palestina il supplizio della croce vi era applicato largamente (§ 597), e in modo particolare ai suscitatori di sommosse popolari che molto spesso s’ispiravano a ideali messianici. Chi dunque vuole seguire Gesù si consideri già morto, e allora vivrà; perdendo la propria vita per causa di Gesù e della «buona novella», il suo seguace la salverà, mentre se rimane spasmodicamente attaccato alla propria vita la perderà (Marco, 8, 35); che profitto ha infatti l’uomo se acquista il mondo intero, ma perde poi l’anima non acquistando l’eterna vita vera? Quale riscatto può egli dare per l’anima sua (ivi, 36-37)? Qualcuno si vergognerà di Gesù e della «buona novella»? Ebbene, costui crederà di aver salvato la propria vita in questa generazione adultera e peccatrice; ma quando il figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, circondato dagli angeli, si vergognerà di chi si è vergognato di lui, e renderà a ciascuno secondo le proprie azioni (Marco, 8, 38; Matteo, 16, 27). Per Gesù, insomma, la vita presente è essenzialmente transitoria, e in tanto ha valore in quanto è indirizzata alla vita stabile, che è quella futura. Egli, Messia, guida alla vita stabile attraverso le aspre vicende di quella transitoria; chi non vuole seguirlo, e rimane nella vita transitoria, rimane nella morte.
• § 401. A questi detti di Gesù tutti e tre i Sinottici ne soggiungono un altro che ha tutta l’apparenza di essere stato pronunziato in altra occasione. «E diceva loro: “In verità vi dico, vi sono alcuni dei qui presenti i quali non gusteranno morte finché vedano il regno d’Iddio venuto in possanza”» (Marco, 9, 1). Con fine accorgimento i Sinottici hanno collocato questo detto dopo le altre rettifiche messianiche: tale, in sostanza, è anch’esso. [Dalla nota 1 alla pagina 475: Parecchi antichi commentatori giudicarono questo passo un preannunzio della seguente Trasfigurazione, supponendo tra i due argomenti un collegamento cronologico (cfr. § 402). In realtà il passo si riferisce all’attuazione del «regno d’Iddio» (vedere § 525 e segg.)]. La fragorosa apparizione del Messia politico non si sarebbe avverata; alla sua volta, il regno del sofferente ed assassinato Messia avrebbe dispiegato nella sua venuta tale possanza esterna ed interna da dissipare per sempre il sogno del Messia politico: e taluni dei presenti non sarebbero morti prima di aver assistito al dispiegamento di quella possanza. Infatti un quarantennio dopo, cioè nel giro di una “generazione” secondo computi giudaici, la Gerusalemme dei sogni messianici è distrutta, il giudaismo politico è stroncato per sempre, mentre invece la «buona novella» di Gesù è annunziata nell’intero mondo (Romani, 1, 8; cfr. Coloss., 1, 23).
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.