Comunicato numero 125. Il Discorso della montagna (parte 2)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, anche il numero 125 del nostro Settimanale viene pubblicato in forma ridotta. Continuiamo a studiare -  con la preziosa guida dell’Abate Ricciotti  - «Il discorso della montagna».

• Prosegue dalla scorsa settimana... § 321. Affiancando pertanto le due recensioni (quella di  Matteo, 5 e quella di Luca, 6) si ottiene questa sinossi, che ci riporta più vicini allo schema della primitiva catechesi. [Abbiamo adattato la sinossi come segue (M sta per Matteo; L sta per Luca)]: «- Beati i poveri in ispirito, perché di essi è il regno dei cieli! (M); - Beati i poveri, perché vostro è il regno d’iddio! (L); - Guai a voi, ricchi, perché siete in possesso della consolazione vostra! (L); - Beati i dolenti, perché essi saranno consolati! (M); - Beati i piangenti adesso, perché riderete! (L); - Guai ai ridenti adesso, perché vi dorrete e piangerete! (L); - Beati i miti, perché essi possederanno la terra! (M); - Beati gli affamati ed assetati di giustizia, perché essi saranno saziati! (M); - Beati gli affamati adesso, perché sarete saziati! (L); - Guai a voi, i saziati adesso, perché sarete affamati! (L); - Beati i misericordiosi, perché essi otterranno misericordia! (M); - Beati i puri di cuore, perché essi Iddio vedranno! (M); - Beati gli operanti pace, perché (essi) figli d’Iddio saranno chiamati! (M) - Beati i perseguitati a causa di giustizia, perché di essi è il regno dei cieli! (M); - Beati siete quando vi insultino e perseguitino e dicano ogni male contro di voi mentendo a causa di me! (M); - Beati siete quando vi odino gli uomini e quando vi scomunichino ed insultino e proscrivano il nome vostro come cattivo a causa del figlio dell’uomo! (L); - Gioite in quel giorno e balzate; ecco infatti la mercede vostra è molta nel cielo: nello stesso modo infatti facevano ai profeti i padri loro! (L); - Godete ed esultate, perché la mercede vostra è molta nei cieli: così infatti perseguitarono i profeti anteriori a voi! (M); - Guai quando dicano bene di voi tutti gli uomini! Nello stesso modo infatti facevano ai falsi profeti i padri loro! (L)». [Riuniamo in nota alcune osservazioni sulle due recensioni. I poveri sono gli ebraici ’ănijjīm, i «miserabili», i «meschini» sia per mancanza di sostanze sia per generica condizione sociale. Luca tralascia la precisazione di Matteo «(poveri) in ispirito» (§ 145), per la quale la beatitudine è riserbata a quei «poveri» che accettino questa loro condizione e ne siano paghi nel loro spirito, mentre i forzati e i riluttanti non sono «poveri in ispirito». Invece del più generico «dolenti» (...) di Matteo, Luca ha il più specifico «piangenti» - cfr. Isaia, 61, 2. I «miti» (...) non sono i dolci di carattere, ma gl’infimi della società, i tenuiores dei Romani, i «guitti» abietti ed umiliati; tutta l’espressione è presa dal Salmo 37, 11 (ebr.), ove si dice che questi «miti» (ebr. ’ănāwīm, quasi sinonimo del precedente ’ănijjīm; Vulgata «mansueti») possederanno la terra. I «puri di cuore» sono, non soltanto i casti di pensiero e d’affetto, ma più generalmente i mondi da macchia spirituale, gli innocenti davanti a Dio; la frase dipende dal Salmo 24, 4 (ebr.), ov’è detto che il puro di cuore (bar-lebab) può presentarsi al santuario di Jahvè. Gli «operanti pace» (...) sono i pacifici nel senso non soltanto passivo, che godono della pace, ma anche attivo, che producono e apportano la pace. Le beatitudini ottava e nona di Matteo (verss. 10-11) si riferiscono allo stesso soggetto: ad ambedue in comune si riporta la sanzione del versetto 12]. Questo sbalorditivo prologo ha presentato fin qui lo spirito generico del programma di Gesù, cioè della Legge messianica; conclude poi annunziando che questo spirito dovrà essere come un sale che preserverà da corruzione il mondo intero e come una luce che illuminerà tutta la terra (Matteo, 5, 13-16; in altro contesto Luca, 4, 34-35, e 8, 16; 11, 33). Ma subito dopo questo sguardo al futuro il Discorso si rivolge al passato, ed affronta la questione delle relazioni tra futuro e passato nei riguardi della Legge ebraica, procedendo secondo il seguente schema.

• § 322. Gesù non è un demolitore della Legge [oggi diremmo che Gesù non era un modernista, non era un ribelle, ndR], ma un rinnovatore [ed in quanto Dio poteva esserlo, ndR] che in parte abolisce e in parte conserva perfezionando (Matteo, 5, 17-20). La legge messianica perfeziona quella mosaica nei precetti della concordia, della castità, del matrimonio, del giuramento, della vendetta e della carità (ivi, 21-48). Essa supera di gran lunga le usanze dei Farisei riguardo all’elemosina, alla preghiera e al digiuno (6, 1-18). Essa, per chi l’accoglie, è l’unico e vero tesoro e libera da ogni altra preoccupazione (ivi, 19-34). Essa richiede una carità più perfetta ed una preghiera più insistente (7, 1-2). Essa è una porta angusta, ma salva dai falsi profeti e fa compiere buone opere (ivi, 13-23). In conclusione, la nuova Legge è una casa costruita sulla viva roccia che resisterà alle tempeste (ivi, 24-27). Già da questo rapido sommario appare evidente che il Discorso della montagna ha, fra altri scopi, quello di presentarsi come un contrapposto non distruttivo ma perfettivo della Legge di Mosè. E questo scopo è confermato anche dalla sceneggiatura materiale: come infatti la Legge antica era stata promulgata sul monte Sinai, da Mosè, assistito dagli anziani della nazione ed alla presenza del popolo; così la legge nuova è promulgata sulla montagna della Galilea, da Gesù Messia, assistito dai dodici Apostoli ed alla presenza delle turbe. Che da questa corrispondenza di sceneggiatura si è tratta recentemente la conclusione che tutto sarebbe fittizio, e che la sceneggiatura sarebbe ideale, e che il Discorso non fu mai tenuto: ma se tale conclusione è (totalmente falsa ed) arbitraria, non per questo le premesse sono false. La sceneggiatura corrisponde, appunto perché si volle a bella posta mostrare una riconnessione anche materiale fra l’antica e la nuova Legge, come poco prima si era ricercata una riconnessione numerica fra i dodici Apostoli e le dodici tribù d’Israele (§ 311), e come pure con l’alternativa di benedizioni e di maledizioni si volle probabilmente seguire il metodo di altre antiche promulgazioni della Legge di Mosè (§ 320). Il Discorso della montagna ha uno stile popolare ed un frasario orientale. Sottigliezze ed astrazioni mancano, spesseggiano invece i casi pratici e immediati che il popolo ha sempre prediletto e da cui sa ben ricavare norme generali: numerose vi sono anche le iperboli orientali, che gli ascoltatori sapevano interpretare nel loro giusto valore ma senza le quali avrebbero trovato letterariamente insipido il discorso. Per un orientale davano sapore al discorso frasi come quelle che dicevano: «Se la tua mano destra ti scandalizza, mozzala via e getta(la) da te», oppure «chiunque ti schiafleggia sulla guancia destra rivoltagli pure l’altra»; tuttavia i primi seguaci di Gesù non si mozzarono mai la mano destra nè offrirono la guancia sinistra, per la semplice ragione che capivano lo stile in cui si parlava nei loro paesi e soprattutto perché avevano del buon senso. Quando invece subentrò l’idolatria del letteralismo o al buon senso si sostituì il fanatismo, allora si ebbero i casi di Origene nell’antichità e di Leone Tolstoi ai tempi nostri; ma a differenza dell’allegorizzante alessandrino, che diviene improvvisamente letteralista, e del sognatore russo, che rimane un sensuale nelle sue utopie mistiche e predica aggressivamente la mansuetudine, San Francesco di Assisi apparirà sempre il più perfetto interprete del Discorso della montagna, interprete tanto perspicace nel riconoscerne lo spirito, quanto entusiasta nel praticarlo.

• § 323. Ecco il resto del Discorso: (Matteo, cap. 5): «Voi siete il sale della terra: ma se il sale sia diventato insipido con che si salerà? Non serve più a niente salvo che, gettato fuori, ad essere calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo: non può star nascosta una città collocata sopra un monte, nè accendono una lucerna e la pongono sotto il moggio bensì sul lampadario e risplende a tutti quei (che sono) nella casa: così risplenda la luce vostra davanti agli uomini, affinché vedano le vostre belle opere e glorifichino il Padre vostro, quello ch’è nei cieli. Non crediate che venni ad abolire la Legge o i Profeti: non venni ad abolire, bensì a compiere. In verità infatti vi dico, finché passi il cielo e la terra un solo iota o un solo trattino non passerà dalla Legge, fino a che tutto avvenga. Chi pertanto abbia disciolto uno solo di questi minimi comandamenti ed abbia insegnato così agli uomini, minimo sarà chiamato nel regno dei cieli: chi invece abbia praticato ed insegnato, costui grande sarà chiamato nel regno dei cieli. Vi dico, infatti, che se non abbondi la vostra giustizia più che (quella) degli Scribi e dei Farisei, non (avverrà) che entriate nel regno dei cieli».

[Dalle note (pagg. 382 e 383): 1) Il «sale della terra» non significa sale estratto dalla terra, ma sale che dovrà preservare dalla corruzione la terra, cioè il genere umano, come preserva materialmente le carni macellate e specialmente è cosparso sui sacrifizi offerti al Tempio (Levitico, 2, 13); quando svanisce la forza di questo sale, perché bagnato o inquinato, non resta che gettarlo fuori di casa, cioè sulla strada pubblica, ove vanno a finire tutti i rifiuti di una casa palestinese. 2) La «luce del mondo» ha senso analogo al precedente sale della terra. La città collocata sopra un monte è ritenuta da parecchi essere Safed, borgata ben visibile dalle rive del lago essendo all’altezza di 838 metri: ma è una pura congettura, e qualunque città o borgata posta in alto può render ragione di queste parole. Il «moggio» era il modius dei Romani, misura per aridi di quasi 9 litri; capovolto che fosse, avrebbe potuto benissimo conservare accesa una lucerna usuale, di terracotta e di piccole dimensioni. 3) «Abolire» (..., «sciogliere gettando», demolire totalmente) in opposizione a «compiere» (...) che parte abolisce, parte conserva, e parte aggiunge perfezionando il tutto. «Legge e Profeti», le due prime e più importanti delle tre sezioni in cui erano divise le sacre Scritture ebraiche ; designano praticamente l’intera Bibbia. La lettera jota è greca e fu introdotta certamente dal traduttore greco di Matteo (§ 120), ma l’originale aramaico non poteva avere che jod, che è la lettera più piccola dell’alfabeto ebraico quadrato (allora già in uso); «trattino» (... «cornetto») è uno di quei piccoli prolungamenti di linea per cui una lettera ebraica si distingue da un’altra molto simile. Qui i vari segni materiali rappresentano il relativo precetto, e non tanto la sua lettera quanto il suo spirito : in ciò appunto consisteva il «compiere» annunziato da Gesù e la sua divergenza dagli Scribi e dai Farisei. 4) Il punto 4 commenta il § successivo: Il «giudizio» (ossia «tribunale») del vers. 22 è lo stesso di quello del vers. 21; è il tribunale giudaico locale (§ 61), e per esser deferito a questo tribunale basterà d’ora innanzi un semplice moto d’ira, la quale è già una predisposizione all’omicidio. Rakà è l’aramaico rēqā, «vuoto», nel nostro caso «(testa) vuota»; questo insulto sarà deferito al tribunale supremo del Sinedrio (§ 59). «Stolto» è in senso morale e religioso, perciò «empio», «ateo»; questo insulto sarà passibile della Geenna, la quale era la Valle di Hinnon (Gē-hinnom) posta immediatamente a sud di Gerusalemme, e poiché serviva da scarico delle immondizie della città vi si tenevano sempre accesi a scopo igienico dei grandi fuochi: perciò simboleggiava il luogo di tormenti d’oltretomba (§ 79 segg.)].

• § 324. Prosegue col Discorso: «Udiste che fu detto agli antichi “Non ucciderai”, chi poi abbia ucciso sarà passibile di giudizio. Ma io vi dico che chiunque s’adira contro il suo fratello sarà passibile di giudizio; chi poi abbia detto al suo fratello «Rakà! » sarà passibile di Sinedrio; chi poi abbia detto «Stolto!» sarà passibile della Geenna del fuoco. Se dunque presenti il tuo dono sull’altare e colà ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia colà il tuo dono davanti all’altare, e va’ prima, riconciliati col tuo fratello, e allora vieni a presentare il tuo dono. Sii condiscendente col tuo avversario subito, fintanto che stai con lui per la strada: affinché mai non (sia che) l’avversario (l’accusatore) ti consegni al giudice e il giudice all’inserviente, e (così) sarai gettato in carcere. In verità ti dico, non (sarà) che (tu) esca di là fino a che (tu) abbia pagato l’ultimo quadrante (Quadrante = piccola moneta romana che rappresenta la quarta parte dell’asse».

• § 325. Ed ancora: «Udiste che fu detto “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderar(la), già commise adulterio con essa nel cuor suo. Se poi il tuo occhio destro ti scandalizza, càvalo e getta(lo) da te: è un vantaggio infatti per te che perisca uno dei tuoi membri, e non sia gettato l’intero corpo tuo nella Geenna. E se la tua mano destra ti scandalizza, mòzzala via e getta(la) da te: è un vantaggio infatti per te che perisca uno dei tuoi membri, e non vada l’intero corpo nella Geenna. Fu poi detto “Chi rimandi la sua moglie, le dia il (documento di) ripudio”. Ma io vi dico che chiunque rimandi la sua moglie, eccettuato (il) caso di fornicazione, fa che ella sia resa adultera, e chi sposi una (donna) rimandata commette adulterio». • § 326. «Di nuovo, udiste che fu detto agli antichi “Non spergiurerai, ma manterrai col Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico di non giurare affatto, né per il cielo perché è trono d’Iddio, né per la terra perché è sgabello dei piedi Suoi, né per Gerusalemme perché è città del gran re; neppure per la tua testa non giurare, perché non puoi fare bianco o nero un sol capello. Sia invece il vostro discorso “Si” (se è) si, “No” (se è) no: quel che sovrabbonda da queste (parole) è dal maligno».

• § 327. «Udiste che fu detto “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non contrastare al maligno; bensì chiunque ti schiaffeggia sulla tua guancia destra rivoltagli pure l’altra, e a chi vuole citarti in giudizio per prenderti la tunica lasciagli pure il mantello, e chi ti requisirà per un miglio va’ insieme con lui per due (miglia). A chi chiede a te da’, e da chi vuole prendere in prestito da te non voltarti via. Udiste che fu detto “Amerai il prossimo tuo” e odierai il nemico tuo. Ma io vi dico, amate i vostri nemici e pregate per i persecutori vostri, affinché siate figli del Padre vostro quello ch’è nei cieli, perché fa sorgere il Suo sole sopra maligni e sopra buoni e piove sopra giusti e sopra ingiusti. Qualora infatti amiate quei che vi amano, quale mercede avete? Non fanno forse lo stesso anche i pubblicani? E qualora salutiate i fratelli vostri soltanto, che cosa di sovrabbondante fate? Non fanno forse lo stesso anche i Pagani? Sarete dunque voi perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto»

[Dalla nota a pagina 385: Il precetto «Amerai il prossimo» tuo sta formulato in Levitico, 19, 18, mentre il seguente «odierai il nemico tuo» non si trova in nessun passo dell’Antico Testamento, anzi in Esodo, 23, 5, si prescrivono all’israelita taluni atti di assistenza verso il proprio nemico. Tuttavia queste prescrizioni si riferivano soltanto ad atti verso il «prossimo» (ebreo) cioè verso l’israelita, e tutt’al più potevano essere estese al «forestiero» (ger) che dimorava su terra israelita e si era come associato ad Israele (Levitico, 19, 33-34; Deuteron., 10, 19); ma in queste categorie non entravano i gojīm, i non Israeliti, che perciò non erano «prossimo». Per costoro l’Antico Testamento se non aveva formulato un espresso precetto di odio, aveva tuttavia comandato quelle guerre di sterminio religioso (herem) da cui troppo facilmente si estraeva il precetto generale dell’odio (Esodo, 17, 14-16; Numeri, 25, 17-18; Deuteron., 7, 16; 23, 3-6; 25, 17-19). Questa estrazione era stata fatta dal giudaismo dei tempi di Gesù, che regolarmente trattava da gojīm i circostanti Greci e i Romani ; inoltre pure prima la stessa norma pratica era stata applicata, non solo ai non Israeliti, ma anche a quegli Israeliti da cui si fossero ricevute ingiustizie: a costoro, invece del precetto «Amerai il prossimo tuo», si applicava la gran legge del taglione. Si trovano infatti nell’Antico Testamento sentimenti di questo genere espressi da un Israelita riguardo a un suo «prossimo», sul quale invoca il giusto castigo di Dio (Salmo, 109, ebr.; cfr. Atti, 1, 20)].

• § 328. «Badate poi a non fare la vostra giustizia in presenza degli uomini per esser guardati da loro, se no mercede non avete presso il Padre vostro quello ch’è nei cieli. Qualora dunque (tu) faccia elemosina non sonar la tromba davanti a te, come gl’ipocriti fanno nelle sinagoghe e nelle strade affinché siano glorificati dagli uomini: in verità vi dico, sono in possesso della loro mercede. Tu invece facendo elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, affinché la tua elemosina sia nel segreto, e il Padre tuo che guarda nel segreto renderà a te. E quando preghiate, non sarete come gl’ipocriti; giacché amano star ritti a pregare nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze affinché appaiono agli uomini: in verità vi dico, sono in possesso della loro mercede. Tu invece, quando preghi, entra nella tua stanza e chiusa a chiave la porta prega il Padre tuo quello (ch’è) nel segreto, e il Padre tuo che guarda nel segreto renderà a te».

• § 329. Finalmente: «Pregando, poi, non blaterare come i pagani: credono infatti che con il loro molto parlare saranno ascoltati; non vi rassomigliate dunque a loro, sa infatti il Padre vostro di quali cose avete bisogno prima che voi glie(le) chiediate. Così pertanto pregate voi: Padre nostro che (sei) nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la volontà tua come in cielo anche su(lla) terra. Il pane nostro necessario dà a noi oggi, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi rimettemmo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal maligno. [Stiamo riportando solo la recensione di Matteo, sebbene il Ricciotti affianchi anche quella di Luca]. Qualora infatti rimettiate agli uomini i falli loro, rimetterà anche a voi il Padre vostro celeste; qualora invece non rimettiate agli uomini, neppure il Padre vostro rimetterà i falli vostri. Prosegue sul prossimo numero ... 

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.