Stimati Associati e gentili Sostenitori, grazie a Dio oggi possiamo finalmente studiare il capitolo «Il Nuovo Testamento fuor dei Vangeli» e quello introduttivo su «I Vangeli». Abate Giuseppe Ricciotti («Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941),
• Il Nuovo Testamento fuor dei Vangeli. § 102. Passando agli scritti del Nuovo Testamento che non siano i Vangeli, l’orizzonte si allarga: ma anche qui non troviamo modo di accrescere le nostre notizie, salvo che con taluni solitari precetti dottrinali conservatici in casi rarissimi. In realtà, notizie strettamente biografiche su Gesù non mancano, ma esse confermano solo alcuni pochi, sebbene importanti, dati offerti dai Vangeli, senza aggiungerne di nuovi. Ad ogni modo questa conferma è preziosissima, specialmente se provenga da fonte che sia cronologicamente anteriore ai nostri Vangeli canonici e indipendente da questi. Tale è il caso di S. Paolo. Poco più d’un ventennio dopo la morte di Gesù cominciano le Lettere di S. Paolo, e si susseguono per un quindicennio, occupando il periodo approssimativo dall’anno 51 al 66, che è il periodo o di pubblicazione o di preparazione dei nostri Vangeli sinottici. Abbiamo perciò, in queste Lettere, documenti che sono senza dubbio letterariamente indipendenti dai Vangeli sinottici e in massima parte anteriori ad essi. Ora, queste Lettere sono scritti del tutto occasionali: con esse S. Paolo si rivolge ai vari destinatari mirando a scopi contingenti al suo ministero apostolico, ma non si propone mai in nessun modo di narrare una biografia di Gesù, né compiuta né parziale, perché parla a cristiani ch’egli conosce già edotti circa la vita di Gesù. Solo incidentalmente egli ricorda fatti e parole di Gesù, se questo ricordo serve all’argomento di cui sta trattando, come quando narra l’istituzione dell’Eucaristia (I Corinti, 11), perché colà egli mira a stabilire il buon ordine nelle adunanze religiose. Eppure, spigolando queste sparse notizie occasionali, si ottiene un manipolo non scarso: il Renan stesso riconosceva che si potrebbe ottenere una piccola «Vita di Gesù» ricavandone i dati dalle sole Lettere ai Romani, Corinti, Galati ed Ebrei. Qualche altra spiga si può raccogliere dagli altri scritti del Nuovo Testamento, specialmente dagli Atti degli Apostoli, i quali però hanno per autore un Evangelista sinottico, cioè S. Luca.
• § 103. Riassumendo schematicamente il tutto, otteniamo questa piccola «Vita di Gesù» extra-evangelica. Gesù fu, non già un eone celestiale, bensì «un uomo» (Romani, 5, 15) «fatto da donna» (Galati, 4, 4), discendente da Abramo (Gal., 3, 16) per la tribù di Giuda (Ebrei, 7, 14) e per il casato di David (Rom., 1, 3). Sua madre aveva nome Maria (Atti, 1, 14); egli era chiamato Nazareno (Atti, 2, 22) «quello da Nazareth» (Atti, 10, 38) (§ 259, nota seconda), ed aveva dei «fratelli» (I Corinzi, 9, 5; Atti, 1, 14) di cui uno chiamato Giacomo (Gal., 1, 19) (§ 264). Fu povero (I Cor., 8, 9,) mansueto e dimesso (II Cor., 10, 1). Ricevette il battesimo da Giovanni Battista (Atti, 1, 22). Raccolse discepoli con cui visse in relazione assidua (Atti, 1, 21-22); dodici di essi furono chiamati «apostoli», ed a questo gruppo appartennero fra altri Cefa, ossia Pietro, e Giovanni (I Cor., 9, 5; 15, 5-7; Atti, 1, 13. 26). In vita sua operò molti miracoli (Atti, 2, 22) e passò beneficando (Atti, 10, 38). Una volta apparve ai suoi discepoli gloriosamente trasfigurato (II Pietro, 1, 16-18). Fu tradito da Giuda (Atti, 1, 16-19). Nella notte del tradimento istituì l’Eucaristia (I Cor., 11, 23-25), agonizzò pregando (Ebrei, 5, 7), fu oltraggiato (Rom., 15, 3) e posposto ad un assassino (Atti, 3, 14); patì sotto Erode e Ponzio Pilato (I Timoteo, 6, 13; Atti, 3, 13; 4, 27; 13, 28). Fu crocifisso (Gal., 3, 1; I Cor., 1, 13. 23; 2, 2; Atti, 2, 36; 4,10) fuori della porta della città (Ebrei, 13, 12); fu sepolto (I Cor., 15, 4; Atti, 2, 29; 13, 29). Risorse dai morti il terzo giorno (I Cor., 15, 4; Atti, 10, 40); quindi apparve a molti (I Cor., 15, 5-8; Atti, 1, 3; 10, 41; 13, 31) ed ascese al cielo (Rom., 8, 34; Atti, 1, 2. 9-l0; 2, 33-34).
• § 104. Se confrontiamo questa ristretta biografia di Gesù extraevangelica con quella ampia offerta dai Vangeli, troviamo bensì una differenza quantitativa ma non una divergenza qualitativa. Nella biografia ristretta c’è già l’impalcatura di quella ampia: impalcatura tenue e lineare nel primo caso, variamente arricchita e colorita nel secondo, ma in entrambi i casi costruita secondo un solo disegno e ripartita in piani architettonici eguali. In altre parole il cristianesimo delle prime generazioni non ha avuto tipi differenti di biografie di Gesù, ma un solo tipo; e ciò è tanto più importante, in quanto i documenti di quelle generazioni, confluiti nel Nuovo Testamento, provengono da persone che furono distanti fra loro per tempo e per luogo, e che rispetto alle informazioni in questione furono in massima parte indipendenti fra loro.
• I VANGELI. § 105. La parola «evangelo» significò originariamente la ricompensa data a un messaggero che rechi una buona novella, o anche la buona novella in se stessa; il cristianesimo, fin dai suoi primi tempi, impiegò questa parola per designare la più importante e preziosa «buona novella», quella annunziata da Gesù all’inizio del suo ministero, allorché venne Gesù nella Galilea annunziando la «buona novella» d’iddio e dicendo: Si è compiuto il tempo e si è avvicinato il regno d’Iddio; pentitevi e credete nella «buona novella» (Marco, 1, 14-15). Quindi, la «buona novella» annunziata in principio da Gesù fu essenzialmente questa: Si è avvicinato il regno di Dio. Ma a questo primo annunzio seguì uno sviluppo, il quale tradusse in atto il contenuto della «buona novella» mediante gli insegnamenti, la vita e la morte redentrice di Gesù. Quindi, a tutto questo complesso di fatti che costituivano la salvezza apprestata da Gesù al genere umano fu in seguito applicata la designazione di «buona novella», in quanto era annunzio della salvezza già attuata e compiuta. In questo senso S. Paolo si presenta come ministro... della «buona novella» (Colossesi, 1, 23; ecc.), in corrispondenza all’espressione usata dal suo discepolo Luca, che parla di inservienti della parola (Luca, 1, 2); egualmente in questo senso fu scritto in principio ad uno dei Vangeli canonici: inizio della «buona novella» di Gesù Cristo (Marco, 1, 1).
• § 106. Quest’ultimo esempio già prelude ad un’applicazione ulteriore che ricevette più tardi la parola. Per alcuni anni dopo la morte di Gesù la diffusione della «buona novella» avvenne in maniera esclusivamente orale; il quale metodo era quello stesso seguito da Gesù, che aveva soltanto parlato senza lasciare alcun scritto, ed era anche conforme a quello dei dottori giudaici contemporanei, le cui sentenze furono tramandate oralmente ancora per molto tempo fino a quando furono messe in iscritto nel Talmud (§ 87). Era il metodo chiamato dai cristiani «catechesi», ossia «risonanza» perché consisteva nel «far risonare» (greco katechèo) la voce alla presenza dei discepoli; di guisa che il discepolo, che avesse compiuta la sua istruzione, era il «risonato», ossia il «catechizzato» (Galati, 6, 6; Luca, 1 4; Atti, 18, 25). Sennonché la rapida e vasta diffusione della «buona novella» non poteva permettere, praticamente, che questa restasse affidata per lungo tempo soltanto alla viva voce. Lo sprigionarsi della «buona novella» dalla Palestina e dal mondo giudaico; il suo penetrare in regioni d’altri linguaggi, come nella Siria, nell’Asia Minore e fino in Italia e a Roma; il suo irrompere nelle accademie e negli altri cenacoli del mondo greco-romano; e infine l’effettuarsi di questa avanzata trionfale nel giro di pochi anni, richiesero entro breve tempo che la viva voce fosse corroborata dallo scritto per raggiungere più facilmente e più efficacemente nuove mete. Sappiamo infatti che, già lungo il sesto decennio del secolo I, circolavano scritti contenenti la «buona novella», e che tali scritti erano molti (Luca, 1, 1-4). Questo nuovo sussidio, fornito al diffondersi del messaggio cristiano, fu come una seconda strada aperta parallelamente alla prima: da allora la «buona novella» s’avanzò su ambedue le strade, la catechesi risonante e la catechesi scritta. Ciò appunto spiega l’ulteriore applicazione che ricevette la parola. Da questo tempo «buona novella» fu, non soltanto l’annunzio della salvezza umana, ma anche lo scritto che conteneva quell’annunzio: il contenente fu designato col nome del contenuto, cioè fu chiamato «vangelo». Ad ogni modo, anche se la «buona novella» orale aveva perduto la sua sonorità materiale diventando vangelo scritto, l’una e l’altro rimanevano in sostanza una catechesi: non altramente le orationes di Cicerone, essenzialmente orali, rimasero orationes anche quando circolarono in iscritto.
• § 107. È però di somma importanza rilevare che la «buona novella» scritta non pretese mai né di soppiantare né di sostituire adeguatamente la «buona novella» orale; e ciò, oltreché per altre ragioni morali, anche perché la «buona novella» orale era molto ricca e conteneva assai più elementi di quella fissata in iscritto. Abbiamo su questo proposito una preziosa testimonianza di Papia di Jerapoli, il quale, scrivendo verso l’anno 120, afferma di aver ricercato ansiosamente ciò che avevano insegnato di viva voce gli Apostoli e gli altri discepoli immediati di Gesù, ch’egli nomina individualmente, apportando infine questa ragione: Giudicavo infatti che le cose contenute nei libri non mi avrebbero giovato tanto, quanto le cose (comunicate) da una voce viva e permanente (in Eusebio, Hist. eccl., III, 39, 4). E parlando di libri e di voce allude indubbiamente alle fonti della vita e della dottrina di Gesù, perché poco dopo tratta espressamente dei Vangeli di Marco e di Matteo. Presso gli scrittori cristiani del secolo II l’uso del termine «vangelo» è ancora promiscuo. Talvolta conserva il senso più antico, e perciò designa la «buona novella» in sé, ossia la salvezza umana operata da Gesù, come si ritrova ancora presso Ireneo (Adv. hær., IV, 37, 4); ma già lo stesso Ireneo (ivi, III,11, 8; ecc.); e anche prima di lui Giustino (Apol., I, 66), impiegano il termine per designare determinati scritti, cioè i nostri Vangeli. Anche l’eretico Marcione, verso il 140, prefisse il titolo di «vangelo» al suo scritto derivato dal terzo dei Vangeli canonici ed accomodato conforme alle dottrine di lui (Tertulliano, Adv. Marcion., IV, 2).
• § 108. Qual era il primo e principale argomento della catechesi, orale o scritta che fosse? Su ciò non può esservi dubbio. Se la fede cristiana aveva per suo fondamento la persona di Gesù, il primo passo sulla strada di questa fede doveva necessariamente essere la conoscenza dei fatti di Gesù; ci viene infatti attestato esplicitamente che si cominciava con l’istruirsi o con l’istruire sulle cose riguardo a Gesù (Atti, 18, 25; cfr. 28, 31), come pure ci vengono occasionalmente comunicati brevi abbozzi di catechesi che comprendono appunto i fatti di Gesù (Atti, 1, 22; 2, 22 segg.; 10, 37 segg.). E in realtà un cristiano non sarebbe stato cristiano se non avesse saputo che cosa aveva fatto il Cristo, ossia Gesù, quali dottrine aveva insegnato, quali stabili Riti aveva istituito, quali prove avevano dimostrato l’autorità della sua missione, insomma se non possedeva una notizia almeno sommaria della biografia di lui: senza questa notizia la «buona novella » non poteva diffondersi, giacché gli uomini come invocherebbero colui nel quale non credettero? E come crederebbero in colui che non udirono? E come udirebbero senza un banditore? (Romani, 10, 14).
• § 109. Ora, fra i banditori orali della «buona novella» vi fu una classe speciale, a cui sembra che fosse affidata in modo particolare la missione di trasmettere la narrazione e testimonianza dei fatti di Gesù: per conseguenza questi particolari banditori furono designati, con termine spontaneo, come i «buoni-novellisti» ossia gli « evangelisti » (Efesini, 4, 11; II Timoteo, 4, 5; Atti, 21, 8). Senza dubbio la catechesi in genere, che mirava all’edificazione e formazione spirituale dei credenti, era favorita indistintamente da tutti quei carismi di cui parla più volte S. Paolo esaltando la loro efficacia parenetica (I Cor., 12, 8-10. 28-30; 14, 26; Rom., 12, 6-8; ecc.); tuttavia il carisma dell’«evangelista», insieme con quello dell’«apostolo», era all’avanguardia ed apriva la strada agli altri carismi, appunto perché gettava il primo seme della fede in Gesù e narrando la biografia di lui. Ecco pertanto come la missione degli «evangelisti» è descritta da Eusebio: Essi avevano il primo ordine nella successione degli apostoli. Essendo discepoli meravigliosi di tali maestri, essi costruivano sopra i fondamenti delle chiese che erano stati dapprima gettati in ogni luogo dagli apostoli, dilatando sempre più il messaggio e disseminando la salutare semenza del regno dei cieli in largo su tutta la terra... Usciti di patria, compivano l’opera di evangelisti ansiosi di bandire il messaggio a coloro che non avevano udito affatto nulla della parola della fede e di trasmettere la scrittura dei divini vangeli. Essi, dopo aver gettato solo i fondamenti della fede in taluni luoghi stranieri, vi stabilivano altri pastori ai quali affidavano la cura di coloro ch’erano stati testé introdotti: di nuovo, poi, si trasferivano in altre contrade e nazioni con la grazia e cooperazione di Dio (Hist. eccl., III, 37). Questa descrizione è opportunamente provocata dalla menzione di Filippo, che è il solo «evangelista» nominato nel Nuovo Testamento (Atti, 21, 8) e che difatti aveva evangelizzato Samaria (Atti, 8, 5 segg.) e altre regioni (Atti, 8, 40).
• § 110. Con ciò siamo penetrati in quella miniera da cui estrassero i loro materiali quei molti scrittori che, come vedemmo sopra (§ 106), avevano composto narrazioni dei fatti di Gesù già nel sesto decennio del secolo I, e la cui opera fu o contemporanea o anche parzialmente anteriore alla composizione dei Vangeli canonici. Quella grande miniera comune si chiama «catechesi»; e la catechesi senza dubbio era sostanzialmente unica, sebbene potesse venir presentata sotto forme o tipi alquanto differenti che mettessero capo ai vari e più autorevoli banditori della «buona novella». D’altra parte la Chiesa primitiva non si è curata di tutti indistintamente i molti scritti apparsi lungo il secolo I, ma solo di quattro fra essi: degli altri si è disinteressata, e perciò sono andati perduti, mentre i quattro prescelti divennero le quattro colonne basilari dell’edificio della fede. Ad essi soli la Chiesa attribuì un valore di storiografia ufficiale; in essi ella riconobbe l’ispirazione di Dio, e perciò li incluse nell’elenco di Scritture sacre chiamato Canone: sono appunto i quattro Vangeli canonici, ossia le quattro «Buone novelle» del Nuovo Testamento. Ma la Chiesa non perse mai di vista l’origine unitaria dei suoi quattro Vangeli. Se gli scritti erano quattro, la fonte era una sola, cioè la catechesi. Onde, con perfetta aggiustatezza storica, nel secolo II Ireneo parla di un solo vangelo quadriforme, come nel secolo seguente Origene afferma che il Vangelo, certamente attraverso quattro, è uno solo (in Joan., V, 7), ai quali, ancora nel secolo IV, fa eco S. Agostino parlando dei quattro libri d’un solo Vangelo (in Joan., 36, 1).
• § 111. E dell’antico sentimento della Chiesa circa questa comune origine dei quattro Vangeli si ha una riprova nei titoli sotto cui essi sono giunti fino a noi. I titoli suonano in greco χατά Matteo, χατά Marco, χατά Luca, χατά Giovanni, le quali espressioni si trovano trasportate di peso in latino da scrittori del secolo II, come Cipriano, e da antichi codici latini, ove si legge cata Matteo, cata Marco, ecc., pur conservandosi il significato originario di secondo Matteo, secondo Marco, ecc. Questi titoli non provengono certo dai rispettivi autori, benché designino coloro che secondo la tradizione erano gli autori; ad ogni modo negli antichi codici il titolo di Vangelo si trovava originariamente una sola volta, cioè in cima alla collezione di tutti e quattro insieme, mentre in cima ai singoli si trovava il rispettivo titolo di secondo Matteo, secondo Marco, ecc. Questa norma pratica fu dettata dall’idea che il Vangelo era in realtà uno solo, quello estratto dalla catechesi, sebbene tale unità apparisse sotto quattro forme, quella secondo Matteo, quella secondo Marco, ecc. I precedenti rilievi sono della massima importanza per comprendere quale fosse per i cristiani la vera base su cui poggiava l’autorità storica dei Vangeli. Quella base era l’autorità della Chiesa, della cui catechesi era genuino e diretto prodotto l’unico quadriforme Vangelo. I singoli autori delle quattro forme del Vangelo in tanto valevano, in quanto erano rappresentanti della Chiesa, dalla cui autorità essi erano adombrati: ma credendo ai quattro autori, il cristiano credeva in realtà all’unica Chiesa, mentre se attraverso ad essi il cristiano non fosse potuto giungere fino alla Chiesa, non avrebbe creduto al loro Vangelo. Tutto ciò è espresso nitidamente da S. Agostino col suo celebre aforisma: Ego vero evangelio non crederem, nisi me catholicæ Ecclesiæ commoveret auctoritas (Contra epist. Manich., V, 6). In conclusione, il processo storico dell’origine dei Vangeli fu il seguente. La «buona novella» orale fu più antica e più ampia della «buona novella» scritta: l’uno e l’altra furono produzioni della Chiesa, e dall’autorità di questa furono adombrate. Il che equivale a dire che il Vangelo scritto presuppone la Chiesa e si basa su essa.
• § 112. Questa conclusione è in assoluto contrasto con l’antico concetto che la Riforma luterana si fece dei Vangeli canonici, e taluno potrebbe forse sospettare che sia una conclusione ispirata da mire polemiche più che fondata sulla pura documentazione storica. Senonché alla stessa conclusione sono giunti recentemente anche studiosi che, non solo non hanno alcuna preoccupazione di apologia cattolica, ma sono invece seguaci dei metodi più radicali e più demolitori riguardo alla critica dei Vangeli. Basterà riportare il giudizio di uno solo fra essi: In seguito alla fissazione del canone del Nuovo Testamento alla fine del secolo II si finì per dimenticare che i nostri Vangeli hanno una preistoria importantissima e che bisogna collocarli, non già all’inizio, ma al termine di un lungo processo anteriore. Perciò nella sua nozione della tradizione il cattolicismo si è sempre guardato da una considerazione esagerata ed esclusiva della lettera scritta... Con la Riforma il nostro concetto sull’origine dei Vangeli venne falsato. La Riforma tirò le ultime conseguenze dalla canonizzazione del Nuovo Testamento, facendo dell’ispirazione verbale il suo dogma essenziale. Mentre il cattolicismo non dimenticò mai completamente che la tradizione precede la Scrittura, i teologi sorti dalla Riforma non tennero più alcun conto del fatto che, fra l’epoca in cui è vissuto Gesù e quella della composizione dei Vangeli, corre un periodo di almeno trent’anni nel quale non esisteva una «Vita di Gesù» scritta. È strano rilevare che proprio i teologi più liberali della seconda metà del secolo XIX hanno subito inconsciamente l’influenza della teoria dell’ispirazione verbale, non badando che alla lettera scritta, senza preoccuparsi dell’importante periodo in cui il Vangelo non esisteva che sotto forma di parola viva (O. Cullmann, Les récentes études sul la formation de la tradition évangélique, in Revue d’histoire et de philosophie relig., 1925, pagg. 459-460).
• § 113. Di quale ampiezza, e anche di quale particolare indole, fossero gli scritti andati perduti fra i molti che circolavano lungo il sesto decennio del secolo I, non possiamo dire con sicurezza. È ben verosimile che in massima parte fossero d’ampiezza assai limitata, minore anche di quella di Marco che è il più breve dei nostri Vangeli. Quanto all’indole, dovevano essere di tipo vario: pur trattando tutti della vita di Gesù, taluni potevano occuparsi specialmente dei fatti, altri specialmente degli insegnamenti e delle parole; tra gli scritti sui fatti, chi prendeva di mira specialmente il ministero in Galilea, chi il ministero in Giudea, chi gli avvenimenti della passione e morte, qualcuno anche i fatti dell’infanzia precedenti al ministero pubblico; tra gli scritti sugli insegnamenti, uno preferiva le parabole, un altro i comandamenti fondamentali della nuova Legge (quali si ritrovano nel Discorso della montagna), un terzo le profezie sulla fine di Gerusalemme e del mondo intero, e così di seguito. Riscontriamo, pertanto, che questi elementi sparsi si ritrovano tutti complessivamente nei nostri tre primi Vangeli chiamati Sinottici (Giovanni, sotto questo aspetto, fa parte a sé), come pure troviamo che i Sinottici alla loro volta mostrano una trama generica comune. Le linee costanti di questa trama sono: il ministero di Giovanni il Battista e il battesimo di Gesù; il ministero di Gesù in Galilea; il ministero di Giudea; la passione, morte e resurrezione. A queste linee costanti può esser premessa la narrazione, più o meno ampia, dei fatti dell’infanzia, come in Matteo e Luca: ad ogni modo tale narrazione serve quasi da preambolo alla trama costante, mentre il vero corpus del racconto comincia col ministero di Giovanni il Battista, abbracciando cioè il periodo quo intravit et exivit inter nos Dominus Jesus, incipiens a baptismate Joannis usque in diem qua assumtus est a nobis. Pronunciando queste parole (Atti, 1, 21-22), sembra che Pietro abbia delineato un programma generico; egli stesso mostra di attenersi a tale programma, giacché in un suo discorso segue sommariamente le quattro linee della suddetta trama, incipiens a Galilea post baptismum quod predicavit Joannes e finendo con le apparizioni di Gesù dopo la resurrezione (Atti, 10, 37-41). Siffatta corrispondenza fra il programma e l’azione di Pietro (cfr. anche Atti, 2, 22-24), e inoltre il posto sovreminente da lui tenuto fra i primissimi banditori della «buona novella», rendono legittima la supposizione che appunto a Pietro risalga la trama di quella catechesi le cui linee generali si ritrovano complessivamente seguite dai nostri tre primi Vangeli, come dovevano esser seguite isolatamente dal più dei molti scritti andati perduti. Chi fossero poi gli autori degli scritti perduti, noi non sappiamo affatto. Poterono benissimo appartenere al numero di coloro ch’erano insigniti dal carisma dell’«evangelista»; taluno poté anche essere testimone personale dei fatti narrati, in quanto era stato discepolo immediato di Gesù morto un ventennio prima: tuttavia dal confronto di Luca, 1, 1 con 1, 2, sembra risultare una contrapposizione tra scrittori e testimoni, per cui i primi dipenderebbero dai secondi e non sarebbero - almeno nella maggioranza - testimoni essi stessi. Quanto agli autori dei Vangeli canonici, e al tipo di catechesi da cui ciascuno di essi dipende, non resta che ricercare le testimonianze della tradizione, passando così dal periodo di preparazione a quello di composizione dei quattro Vangeli.
Dalla prossima settimana inizieremo a studiare i Vangeli...
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.