Stimati Associati e gentili Sostenitori, studiamo l’ottavo dei comandamenti: «Non dirai contro il prossimo tuo falsa testimonianza», usando il semplice Catechismo del Santo Concilio di Trento.
• Necessità di una frequente spiegazione di questo comandamento. Quanto sia non solo utile, ma anche necessaria un’assidua spiegazione di questo comandamento e un’assidua esortazione a questo dovere, lo ricorda san Giacomo con queste parole: «Se uno non sbaglia nel discorrere, è uomo perfetto»; ed ancora: «La lingua è un piccolo membro, eppur capace di grandi effetti. Ecco qual grande selva incendia un così piccolo fuoco!» (Gc. III, 2, 5), con quel che segue, sempre a questo proposito.
• Siamo ammoniti così di due cose: primo, che molto ampiamente è diffuso questo vizio della lingua, il che è confermato anche dalla sentenza del Profeta: «Ogni uomo è mendace» (Ps. 115, 11); di modo che questo è quasi il solo peccato, che sembra estendersi a tutti gli uomini; secondo, che da esso derivano mali innumerevoli, poiché spesso per colpa d’un maldicente si perdono la ricchezza, la fama, la vita, la salvezza eterna, tanto di colui che è offeso, perché non può sopportare pazientemente le ingiurie e cerca di vendicarle con animo inconsiderato, come di colui che offende, perché, per un inconsulto pudore o spaventato dalla falsa opinione della stima pubblica, non può indursi a dare soddisfazione all’offeso. Perciò bisognerà ammonire i fedeli di ringraziare quanto più possono Iddio di questo salutare comandamento che ordina di non dire falsa testimonianza: comandamento che non solo ci vieta di offendere gli altri, ma con la sua osservanza impedisce anche che siamo offesi dagli altri.
• Le due parti del comandamento. Nella spiegazione di questo comandamento dobbiamo procedere con lo stesso metodo e per la stessa via che usammo per gli altri, distinguendo cioè in esso due leggi: una che proibisce di dire falsa testimonianza; l’altra che comanda di pesare le nostre parole e le nostre azioni con la verità, eliminando ogni simulazione e menzogna. L’Apostolo ammonì gli Efesini di questo dovere con le parole: «Operando la verità nella carità, cresciamo in lui (cioè in Cristo) in ogni cosa» (Efes. 4, 15).
• La prima parte di questo comandamento col nome di falsa testimonianza indica egualmente ciò che si dice in bene o in male di qualcuno, sia in giudizio, sia fuori: tuttavia proibisce specialmente la falsa testimonianza resa in giudizio da chi ha giurato. Infatti il testimone giura nel nome di Dio, perché il discorso di chi fa tale testimonianza, interponendovi il nome divino, ha moltissima credibilità ed importanza. Essendo questa falsa testimonianza pericolosa, è proibita in modo speciale. Infatti neppure il giudice può respingere testimoni che giurino, se non siano esclusi da legittimi motivi o sia manifesta la loro malvagità e perversità, sopratutto dal momento che la Legge divina comanda che per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa (Dt. 19, 15; Mt. 18, 16).
• Ma perché i fedeli intendano chiaramente il comandamento, sarà loro spiegato che cosa s’intende con la parola prossimo, contro il quale non è in nessun modo lecito di dire falsa testimonianza. Come è esposto dalla dottrina di Cristo Nostro Signore (Lc. 10, 29), è prossimo chiunque ha bisogno dell’opera nostra, sia egli parente od estraneo, concittadino o forestiero, amico o nemico; non è infatti permesso credere lecita la falsa testimonianza contro i nemici, che pure dobbiamo amare per comando di Dio Signor nostro. Anzi, poiché ognuno in certo modo è prossimo a se stesso, non è lecito dire falsa testimonianza contro se stessi; coloro che così fanno, imprimendosi da sé stessi una nota d’ignominia e di turpitudine, offendono sé e la Chiesa, di cui sono membri, a quel modo stesso che i suicidi nuocciono alla collettività dei propri concittadini. Infatti sta scritto in sant’Agostino: «A chi non consideri bene, potrebbe sembrare che non sia proibito essere falso testimonio contro se stesso, giacché nel comandamento fu aggiunto: contro il prossimo tuo. Ma nessuno, dicendo falsa testimonianza contro se stesso, creda di essere immune da questa colpa, poiché chi ama il prossimo deve prendere questa norma dall’amore di se stesso».
• Ma, dal momento che è proibito di danneggiare il prossimo con la falsa testimonianza, nessuno però creda che sia lecito il contrario, cioè procurare, spergiurando, qualche utilità o vantaggio a chi ci sia congiunto per natura, o per religione. Nessuno infatti deve dire menzogne o cose vane, e tanto meno fare uno spergiuro. Perciò sant’Agostino, scrivendo sulla menzogna a Crescenzio, ammonisce, secondo la sentenza dell’Apostolo, che la bugia è da annoverarsi tra le false testimonianze, quand’anche si dica per falsa lode di qualcuno. Infatti, spiegando quel passo paolino che dice: «Noi saremmo falsi testimoni di Dio, giacché abbiamo testimoniato di Dio questo: che egli risuscitò Cristo, che invece non sarebbe risuscitato, se fosse vero che i morti non risorgono» (1 Cor. 15, 15), egli osserva: «L’Apostolo chiama falsa testimonianza il mentire intorno a Cristo ed a tutto ciò che si riferisce a sua lode».
• Spessissimo poi accade che chi favorisce l’uno, osteggi l’altro; e la causa dell’errore si attribuisce certamente al giudice, che talvolta, indotto da falsi testimoni, stabilisce ed è costretto a giudicare contro il diritto, con vera ingiustizia. Accade anche che chi ha vinto in giudizio una causa per la falsa testimonianza di qualcuno e se la passa impunemente, esultando dell’iniqua vittoria, si avvezzi (abitui, ndR) a corrompere e ad usare falsi testimoni, per opera dei quali spera di poter giungere a quel che brama. Ora questo fatto è, prima, una cosa gravissima per il testimone stesso che viene riconosciuto falso e spergiuro da colui stesso che, col suo giuramento, ha soccorso ed aiutato; poi, giacché l’inganno gli riesce come desidera, egli prende ogni giorno maggior pratica ed abitudine all’empietà e all’audacia. Come dunque sono proibite le menzogne, le bugie e gli spergiuri dei testimoni, così tutte queste colpe sono proibite negli accusatori, negli accusati, nei patrocinatori, sostenitori, procuratori ed avvocati; e infine in tutti quelli che costituiscono i tribunali.
• In ultimo, Dio proibisce, non solo in giudizio, ma anche fuori, ogni testimonianza che possa recare ad altri incomodo o danno. Sta scritto, infatti, nel Levitico, dove si ripetono questi comandamenti: «Non farete furto; non mentirete, né alcuno ingannerà il suo prossimo» (XIX, 11). Così nessuno può dubitare che ogni menzogna, proibita con questo comandamento, sia condannata da Dio; e questo molto apertamente lo testimonia David cosi: «Distruggerai tutti quelli che dicono menzogna» (Ps. 5, 7).
• Altri peccati proibiti con questo comandamento. È proibita da questo comandamento non solo la falsa testimonianza, ma anche la detestabile mania ed abitudine di denigrare gli altri. È incredibile quante sciagure gravi, pericolose e cattive, derivino da questa peste. Il vizio di parlare con maldicenza e con offesa degli altri occultamente, spesso è rimproverato dalle divine Scritture: «Con il maldicente, dice David, non mi sedevo a mensa» (Salm. C, 5); e san Giacomo: «Non vogliate denigrarvi a vicenda, o fratelli» (Gc. 4, 11). Né abbondano soltanto i richiami della sacra Scrittura, ma anche gli esempi dai quali è dimostrata la gravità della colpa. Aman accese tanto Assuero contro i Giudei con la falsa accusa di delitti, che questi comandò d’uccidere tutti gli uomini di quel popolo (Ester 13). È piena la Storia sacra di simili esempi, col ricordo dei quali i sacerdoti cercheranno di tener lontani i fedeli da una colpa tanto malvagia.
• Affinché si capisca la gravità di questo peccato con cui si denigrano gli altri, bisogna ricordare che non soltanto coll’usare la calunnia, ma anche con l’accrescere ed amplificare le colpe, si lede la stima di cui gode un uomo. E quando uno commette occultamente un’azione, che, se risaputa, sarebbe nociva alla sua fama, chi la divulga dove, quando, o a chi non sarebbe necessario, a buon diritto è detto denigratore e maldicente. Fra tutte le denigrazioni, nessuna è più grave di quella di denigrare la dottrina cattolica ed i suoi difensori. Cade in codesta colpa chi colma di lodi gli autori di malvagie dottrine e di errori.
• Né sono separati dal numero ed esenti dalla colpa di costoro quelli che, prestando orecchio ai detrattori e maldicenti, non riprendono i calunniatori, ma volentieri li approvano. Infatti, se sia più condannabile il calunniare o l’ascoltare un calunniatore, non si saprebbe dire facilmente, come scrivono san Girolamo e san Bernardo; non ci sarebbe infatti chi calunnia, se non ci fosse chi ascolta il calunniatore.
• Appartengono alla medesima razza quelli che, con le loro arti, separano gli uomini e li spingono l’uno contro l’altro, e si dilettano molto di suscitare discordie, in modo che, rompendo, con finti discorsi, strettissime unioni ed alleanze, inducono uomini amicissimi a perpetue inimicizie e li spingono alle armi. Questa peste, il Signore l’ha in abominio: «Non sarai infamatore né sobillatore in mezzo al popolo» (Lv. 19). Tali erano molti dei consiglieri di Saul, che cercavano di alienare il suo favore da David ed incitare il re contro di lui.
• Commettono infine questo peccato gli uomini lusingatori ed adulatori che, con blandizie e lodi simulate, si insinuano nelle orecchie e nell’animo di coloro di cui ricercano il favore, il denaro e gli onori, «chiamando male il bene e bene il male», come scrive il profeta (Is. 5, 20). David ammonisce di tenere lontani costoro e di cacciarli dalla nostra società con queste parole: «Il giusto mi rimprovererà nella sua misericordia e mi sgriderà; ma l’olio del peccatore non ungerà il mio capo» (Ps. 140, 5). Quantunque, infatti, costoro non sparlino affatto del prossimo, tuttavia gli nuocciono moltissimo, giacché essi, col lodare i suoi peccati, gli offrono una ragione per perseverare nei vizi, finché vive.
• Però in questo genere di vizi è peggiore l’adulazione usata per la calamità e la rovina del prossimo. Così fece Saul, il quale, desiderando gettare David in preda al furore ed al ferro dei Filistei perché fosse ucciso, lo blandiva con queste parole: «Ecco la mia figlia maggiore Merob, te la darò per moglie; sii soltanto guerriero valoroso e combatti le guerre del Signore». Così fecero i Giudei quando, con insidioso discorso, parlarono con Cristo Signore: «Maestro, sappiamo che sei veritiero ed insegni la via del Signore secondo la verità» (Mt. 22, 16; Mc. 12, 14).
• Molto più pericoloso, poi, è il discorso che gli amici, gli affini e i congiunti fanno talvolta per illudere quelli che, colpiti da malattia mortale, sono ormai in punto di morte. Affermano che egli non è in imminente pericolo. Lo consigliano a stare lieto ed allegro, e lo distolgono dalla confessione dei suoi peccati; infine tengono lontano il suo animo da ogni cura e pensiero dei supremi pericoli, nei quali soprattutto si trova.
• Perciò bisogna fuggire ogni sorta di menzogne, ma specialmente quelle dalle quali uno può ricevere grave danno. Colma d’empietà è la menzogna quando si mentisce contro la religione od in cose di religione. Ma Dio si offende gravemente anche con le ingiurie e le calunnie contenute nei libelli chiamati infamanti, e per altri simili oltraggi. Inoltre, cadere nella menzogna scherzosa od ufficiosa, quand’anche nessuno ne abbia danno o vantaggio, è in generale cosa da non farsi, come ammonisce l’Apostolo: «Deponendo la menzogna, dite la verità» (Efes. 4, 25). Infatti, da ciò nasce una grande inclinazione a menzogne più frequenti e più gravi. Dalle menzogne dette per scherzo gli uomini prendono l’abitudine di mentire, in modo che vengono tenuti nella considerazione pubblica come non veritieri; per cui han bisogno di giurare continuamente affinché il loro discorso sia creduto.
• Per finire, nella prima parte di questo comandamento è condannata la simulazione; e non solo le parole dette con simulazione, ma anche le azioni cosiffatte partecipano di questa colpa. Infatti, tanto le parole che le azioni sono indizi e segni di quel che è nell’animo d’ognuno. Perciò il Signore, redarguendo spesso i Farisei, li chiama ipocriti. E ciò basti per la prima parte del comandamento, che riguarda quanto esso proibisce.
• Che cosa comanda il Signore riguardo ai giudizi forensi. Ora esporremo che cosa comandi il Signore nell’altra parte del comandamento. Il contenuto e l’espressione del precetto mirano a questo: che i giudizi forensi si facciano con giustizia e secondo le leggi, che gli uomini quindi non si arroghino, né usurpino tali giudizi; non è lecito infatti giudicare un servo altrui, come scrive l’Apostolo (Rm. 14, 4); affinché non diano la sentenza in una causa loro sconosciuta, come fece il consesso di sacerdoti e scribi, che giudicò santo Stefano (Act. 6, 12; Act. 7); peccato che fu pure commesso dai magistrati di Filippi, ai quali l’Apostolo fece dire: «Dopo averci battuto pubblicamente, senza processo, romani come siamo, ci hanno messo in prigione; e ora ci mandano via di nascosto» (Act. 16, 37). Non condannino gli innocenti, né assolvano i colpevoli; non si lascino smuovere dal denaro, dai favori, dall’odio o dall’amore. Così infatti Mosè ammonisce gli anziani, che egli aveva eletto giudici del popolo: «Giudicate secondo giustizia sia l’imputato cittadino sia forestiero. Non ci sia differenza di persone; ascolterete il piccolo e il grande: non guarderete in faccia a persona, perché giudicare spetta a Dio» (Dt. 1, 16).
• Quanto agli accusati ed ai colpevoli, Dio vuole che confessino la verità, quando sono interrogati secondo la formula giudiziaria. Infatti tale confessione è come una testimonianza ed un riconoscimento della lode e gloria di Dio, secondo le parole di Giosuè, che esortando Achan a confessare il vero, disse: «Figlio mio, dai gloria al Signore Dio d’Israele» (Gios. 7, 19).
• Ma siccome questo comandamento riguarda sopratutto i testimoni, anche di essi il Parroco tratterà con diligenza: poiché il comandamento non solo vieta la falsa testimonianza, ma impone anche di dire la verità. Nelle cose umane, infatti, si fa grandissimo uso di una testimonianza veridica; sono, infatti, innumerevoli le cose che ignoreremmo se non le conoscessimo per attestazione di testimoni. Per cui nulla è così necessario come la verità delle testimonianze in quello che non possiamo sapere da noi, e che tuttavia non dobbiamo ignorare. Intorno a ciò abbiamo la celebre sentenza di sant’Agostino: «Chi nasconde la verità, e chi dice menzogna, sono ambedue colpevoli; il primo perché non vuol giovare ad altri; il secondo perché desidera di nuocere». È lecito tacere talvolta la verità, ma fuori del tribunale; in giudizio, quando il testimonio è interrogato nelle forme rituali dal giudice, deve svelare completamente la verità. Qui tuttavia badino i testimoni a non affermare per vero, quel che non sanno sicuramente, troppo fidandosi della propria memoria.
• Restano i patrocinatori delle cause e gli avvocati, tanto di difesa quanto di accusa. Quelli non facciano mancare l’opera ed il patrocinio loro nelle circostanze necessarie, venendo benignamente in aiuto ai bisognosi; ma non prendano a difendere cause ingiuste, né allunghino le liti con i cavilli, né le alimentino con l’avarizia. La mercede dovuta al loro lavoro ed alla loro opera, la fisseranno con giustizia ed equità.
• Detti avvocati, poi, sia nel foro civile che nel penale, siano ammoniti a non creare un pericolo con ingiuste accuse, per amore o per odio verso qualcuno, o per passione. Infine questo comando fu dato da Dio a tutti gli uomini buoni: nelle adunanze e nei colloqui parlino sempre veracemente e secondo l’animo loro; non dicano nulla che possa nuocere alla stima di altri, neppure a proposito di coloro dai quali essi credono di essere danneggiati ed offesi; tenendo sempre presente che deve esistere con essi tale solidarietà e familiarità da risultare membra del medesimo corpo.
• Abiezione e turpitudine della menzogna. Perché i fedeli si possano guardare meglio dal vizio della menzogna, il Parroco spieghi la grande abiezione e turpitudine di questa colpa. Nelle sacre Scritture il demonio è chiamato «padre della menzogna» (Giov. 8, 44); che, non essendo stato saldo nella verità, è «menzognero e padre della menzogna». Aggiungerà, per estirpare un così grande vizio, i mali che tengono dietro alla menzogna; e poiché sono innumerevoli, mostrerà in essa la fonte e l’origine dei disordini e delle sciagure. Primo, spieghi in quale grave offesa a Dio ed in quanto Suo odio venga a cadere l’uomo falso e menzognero; e lo illustri con l’autorità di Salomone: «Sei sono le cose che il Signore odia, e la settima aborre l’anima sua: occhi superbi, lingua menzognera, mani che versano sangue innocente, cuore che macchina pessime intenzioni, piedi veloci nel correre al male, testimonio menzognero che proferisca cose false» (Pr. 6, 16-19); con quel che segue. Chi, dunque, potrebbe assicurare a chi è in odio speciale a Dio, di non esser tormentato dai più gravi tormenti? Inoltre, che cosa c’è di più impuro e di più turpe, come dice san Giacomo, che usare quella medesima lingua, con cui lodiamo Dio Padre, per dir male degli uomini, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, così come se una fonte da un medesimo foro facesse scaturire acqua dolce ed amara? (Gc. III, 9, 11). Quella lingua, infatti, che prima dava lode e gloria a Dio, poi lo colpisce, per quanto le è possibile, di vituperio e di disdoro (vergogna, infamia, ndR), mentendo. Per questo avviene che i bugiardi sono esclusi dal possesso della beatitudine celeste. Infatti chiedendo David a Dio: «Signore, chi abiterà nel tabernacolo tuo?» - risponde lo Spirito santo: «Chi dice la verità in cuor suo, chi non fece inganno con la sua lingua» (Ps. XIV, 1, 4, 5).
• Ma il danno principale della menzogna è che essa è quasi insanabile malattia dell’animo. Infatti, il peccato che si commette accusando qualcuno falsamente d’una colpa, o denigrando la fama e la stima del prossimo, non viene rimesso se il calunniatore non dia soddisfazione dell’ingiuria a chi ha incriminato. Ma gli uomini ben difficilmente lo fanno, perché, come abbiamo avvertito, ne vengono distolti sopratutto da un falso pudore e da una certa vana opinione della propria dignità. Chi, dunque, è in questo peccato, non possiamo dubitare che sia condannato alle pene eterne dell’inferno. Né alcuno speri di poter ottenere perdono delle calunnie o della denigrazione fatta se prima non dia soddisfazione a colui, la cui dignità e fama egli ha denigrato in qualche modo, o pubblicamente in giudizio, o anche in adunanze private e familiari. Inoltre, questo danno è molto grave ed esteso, e colpisce tutti; perché dalla falsità e dalla menzogna sono rotti i vincoli più stretti della società umana: la lealtà e la verità. Tolti questi, ne segue una gran confusione nella vita, e gli uomini in nulla sembrano differire dai demoni.
• Il Parroco insegni, inoltre, che bisogna evitare la loquacità, così possiamo sfuggire anche gli altri peccati e ci si può correggere dal vizio della menzogna; vizio dal quale difficilmente si possono astenere le persone loquaci.
• In ultimo, il Parroco confuterà l’errore di quelli che, con i loro vani discorsi, si scusano, e difendono la menzogna sull’esempio dei furbi; i quali ritengono virtù, essi dicono, mentire a tempo debito. Il Parroco dirà, il che è verissimo, che «le aspirazioni della carne sono morte per l’anima» (Rm. 8, 6). Esorterà i suoi uditori a confidare in Dio nelle difficoltà, nelle angustie, senza ricorrere all’artificio della menzogna; poiché quelli che usano questo sotterfugio dichiarano, senz’altro, che si fanno forti della propria prudenza più che non abbiano speranza nella Provvidenza divina. A chi attribuisce la causa della sua menzogna al fatto che fu egli pure ingannato con la menzogna, bisogna far presente che «non è lecito agli uomini vendicarsi da se stessi», e che «non bisogna compensare il male col male, ma piuttosto vincere il male col bene»(Rm. XII, 17, 19, 21). E quand’anche fosse permesso dare questo contraccambio, a nessuno tuttavia è utile vendicarsi con proprio danno, essendo gravissimo danno quel che facciamo, dicendo menzogne. A quelli che adducono a scusa la debolezza e la fragilità della natura umana, si raccomandi il doveroso precetto di implorare l’aiuto divino e di non sottostare alla debolezza della natura.
• Quelli che oppongono la forza della consuetudine siano ammoniti, se hanno preso l’abitudine di mentire, a cercare di prendere l’abitudine contraria, cioè di dire il vero, soprattutto perché chi pecca per uso e consuetudine, commette più grave colpa degli altri. E poiché non manca chi si difende con la scusa che tutti gli uomini, si dice, mentiscono e spergiurano, bisogna combattere quest’opinione, dicendo che non si devono imitare i cattivi, ma piuttosto riprenderli e correggerli. Se invece noi stessi mentiamo, la nostra ammonizione ha meno autorità nella riprensione e correzione degli altri.
• A quelli che si difendono affermando che, col dire il vero, spesso ne ricevono danno, i sacerdoti rispondano che questa non è una difesa per essi, ma un’accusa, giacché è dovere d’un cristiano patire piuttosto qualsiasi danno che mentire.
• Restano le ultime due categorie di quelli che si scusano della menzogna: quelli che dicono di mentire per scherzo, e quelli che dicono di farlo perché non potrebbero né comprare né vendere bene, senza la menzogna; i Parroci dovranno allontanare gli uni e gli altri da tale errore. I primi potranno essere strappati al vizio, sia insegnando loro quanto in questo genere di peccato l’uso accresca la consuetudine di mentire, sia inculcando che bisogna render ragione persino d’ogni parola oziosa (Mt. 12, 26). Gli altri, poi, siano rimproverati ancora più acerbamente, perché nell’addotta giustificazione sta appunto la loro più grave accusa, poiché essi stessi dichiarano di non attribuire alcuna fede ed autorità all’insegnamento divino: «Cercate, pertanto, in primo luogo il regno di Dio e la Sua giustizia, ed avrete in soprappiù tutte queste cose» (Mt. 6, 33).
[Nota 1 alla pagina 367 presente sull’edizione del Catechismo Tridentino di Cantagalli, 2011: «I moralisti, spiegando con maggiore ampiezza questa materia, ammettono le così dette bugie ufficiose e le restrizioni mentali. Purché si eviti di farne un uso troppo frequente e ingiustificato», ndR].