Stimati Associati e gentili Sostenitori, le recenti dichiarazioni del preteso “papa emerito” (Link), Giuseppe Ratzinger, non ci lasciano affatto stupiti. Il collasso morale nel cosiddetto clero moderno - egli sostiene - sarebbe conseguenza del ’68 e del pensiero sessantottino. Non ci stupiamo affatto: il modernismo, difatti, produce anche queste tipologie di aberrazioni e gravi scandali. Lo stesso “papa pensionato”, tuttavia, omette di denunciare che il ’68 non è altro che la promanazione, in ambito profano e sociale, del pensiero modernista (e rivoluzionario in generale) che ha animato, ed anima ininterrottamente, il “Vaticano Secondo”, almeno nelle sue conclusioni più drammatiche. Ratzinger, non dobbiamo dimenticarlo, fu proprio, ed è, un sofista promotore, divulgatore e difensore di questa ribellione contro il sacro inviolabile ordine di Dio. Se consideriamo che il “Vaticano Secondo” conclude la sua funesta ultima sessione nel ’65, mentre il ’68 arriva tre anni dopo, per retto ragionamento deduciamo chi è vera causa e chi è vera conseguenza del male contemporaneo. Bastarono soli tre anni alla “primavera conciliare” per sradicare massivamente la fede dai Popoli e per avviarli, anche a causa delle contingenze storico-sociali, alla dissoluzione morale più completa. Il resto lo lasciamo raccontare all’evidenza storica. Ciò detto per amore della verità, veniamo al Ricciotti ed alla sua consueta lezione sulla «Vita di Gesù Cristo».
• § 450. Un giorno, durante questo vago peregrinare di Gesù, un tale si presentò a lui pregandolo che interponesse la sua autorità in una questione finanziaria: «Maestro, dì a mio fratello di spartire con me l’eredità» (Luca, 12, 13). Assai imprudentemente siffatto invito era rivolto a colui che nel Discorso della montagna aveva contrapposto nettamente Dio e Mammona (§ 331); la risposta adeguata non poteva essere che una esortazione di lasciare l’intero Mammona a chi lo deteneva e di passar totalmente alla parte di Dio. Gesù invece dette una risposta inadeguata, non entrando neppure nell’argomento dell’invito: «O uomo, chi mi costituì giudice o spartitore a vostro riguardo?». Si direbbe quasi che il denaro per se stesso faccia ribrezzo a Gesù [N.B. Gesù non era affatto un pauperista, ndR], e che egli tema imbrattarsi le mani anche maneggiandolo in servizio. Non vuol saperne nulla. All’invito respinto seguirono considerazioni sulla fallacia dei beni materiali, illustrate da una parabola. C’era un uomo ricco, a cui un’annata i campi fruttarono in misura abbondantissima. Su tutto quel raccolto egli si concentrò col pensiero, cercando modo di allogarlo e conservarlo per bene. E cominciò a dire: «Butterò giù i miei granai e ne costruirò di maggiori, e là disporrò convenientemente questa gran raccolta!». - Tutto contento per questa sistemazione, passò a rallegrarsi con se stesso: «Allegro, che hai l’abbondanza assicurata per molti anni! Sta’ tranquillo, mangia, bevi e divertiti!». - Ma ecco che improvvisamente interviene come nuovo attore di scena Dio stesso, il quale dice a quel ricco beato: «Stolto, questa notte tu dovrai morire, e tutti quei tuoi beni di chi saranno?». - Tale è la sorte, concluse Gesù, di chi tesoreggia per se stesso, e non è ricco in Dio. Soggiunse poi, riannodandosi ai concetti del Discorso della montagna: «Non temere, o piccolo gregge! Poiché si compiacque il vostro Padre di dare a voi il regno. Vendete le vostre sostanze e date elemosina; fatevi borse che non s’invecchiano, tesoro non manchevole nei cieli! (...)» (§ 330) (Luca, 12, 32-33). È comunismo tutto ciò? È assai più che comunismo, perché è altruismo della carità; è precisamente quell’altruismo totale ed assoluto, che per un principio sovrumano provvede materialmente agli altri fino a trascurare se stesso: «Vendete le vostre sostanze e date elemosina». D’altra parte il comunismo odierno, nella sua intima essenza, non ha neppur l’ombra della dottrina di Gesù, perché non conosce affatto le «borse che non s’invecchiano» e il «tesoro non manchevole nei cieli»: gli manca cioè la suprema aspettativa.
• § 451. Su questa aspettativa, infatti, tornò di lì a poco Gesù, come sulla più profonda base di tutti i suoi insegnamenti. Perché rinunziare alle ricchezze? Perché confidare solo nel tesoro dei cieli? Perché considerare tutto il mondo presente come un’ombra fugace? A queste domande rispose Gesù ammonendo: «Siano i vostri fianchi recinti e le lucerne accese (tale era la tenuta notturna dei famigli pronti a servire), e voi (siate) simili ad uomini aspettanti il loro signore quando torni dalle nozze, affinché venuto che sia e bussato che abbia subito gli aprano». Il padrone era partito avvertendo la servitù che sarebbe andato ad una festa di nozze, e perciò il suo ritorno non poteva essere che a notte assai inoltrata (§ 281); ma i premurosi servi vogliono ch’egli non attenda alla porta neppure un istante, ed essi passano le ore notturne vegliando con i fianchi recinti e le lucerne accese e con l’orecchio teso all’arrivo di lui. «Beati quei servi che il signore venuto troverà veglianti!». Commosso da tanta cura, quel buon padrone si cingerà egli stesso i fianchi, li farà adagiare a mensa e li servirà: egli infatti ha già cenato alle nozze, ma quei bravi servi non hanno avuto tempo di prepararsi un po’ di cibo per l’ansia di tenersi pronti mentre passavano in sollecita attesa la seconda e la terza vigilia della notte (§ 376). Nella stessa guisa un solerte padrone di casa fa sorvegliare tutta la notte, perché non sa in quale ora il ladro possa venire a scassinare la casa: volendo il padrone esser sicuro, diffida di qualunque ora e durante l’intera notte mantiene la sorveglianza. Onde Gesù concluse: «Anche voi siate preparati, perché in quell’ora che non credete il figlio dell’uomo viene». Qual è questa “venuta” del figlio dell’uomo? È quella che mostrerà palesemente il risultato perenne e immutabile degli insegnamenti di Gesù. Aveva egli parlato della rinunzia alle ricchezze, contrapponendo ad esse il tesoro nei cieli. Ma perché rinunziare alle ricchezze? Perché considerare il mondo presente come un’ombra fugace? Appunto perché si effettuerà questa “venuta” del figlio dell’uomo; la quale dissiperà l’ombra fugace e disvelerà la realtà perenne, farà sfumare le ricchezze terrene accumulate e distribuirà l’invisibile tesoro celeste, adempirà le speranze di coloro che hanno sperato in quella “venuta” e fisserà in eterno la loro sorte beata. «Beati quei servi che il signore venuto troverà veglianti!»
• § 452. Pietro domandò spiegazioni a Gesù: «Signore, a noi dici questa parabola, o anche a tutti?». Egli era rimasto colpito dell’annunzio che il padrone dei premurosi servi si metterà egli stesso a servire i servi per premiarli della loro premura, e voleva sapere se questa era la sorte di alcuni privilegiati soltanto, ovvero di tutti. Gesù rispose introducendo un elemento nuovo, cioè i servi eventualmente trascurati e infingardi, e stabilendo una graduazione fra i doveri e le responsabilità dei servi in genere. C’è un servo zelante ch’è stato destinato, durante l’assenza del padrone, a dispensare i viveri agli altri servi; se egli eseguirà fedelmente questa incombenza, il padrone al suo ritorno lo premierà eleggendolo amministratore di tutti i suoi averi. Se invece quel dispensiere, approfittando della prolungata assenza del padrone, si darà a spadroneggiare egli stesso, a battere garzoni e ancelle, e a far orge ed ubriacarsi, il padrone al suo improvviso ritorno lo punirà di castigo severissimo, mentre con castighi minori punirà anche gli altri servi che abbiano mancato in misure minori; rimane infatti il principio generico che a chiunque fu dato molto, molto sarà ricercato a lui; e a chi fu affidato molto, maggiormente si domanderà a lui (Luca, 12, 35-48). Dunque, la “venuta” del figlio dell’uomo apporterà come elemento comune a tutti la stabilità immutabile della propria sorte, ma in questo elemento comune vi saranno differenze e graduazioni; soprattutto, poi, il tempo preciso della “venuta” è ignoto.
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.