Stimati Associati e gentili Lettori, domandiamoci - col Ballerini - se la religiosità sia doverosa e necessaria a tutti, tanto da parte dell’individuo, quanto da parte della società. Oggi tanti “cattolici” nominali credono o dicono che «una cosa è la fede privata (sic!), che sarebbe lecita, altra è la fede pubblica e degli Stati, che sarebbe un bigotto oscurantismo da eliminare». Vediamo come stanno davvero le cose. Dire che la religione è doverosa a tutti, equivale a dire che tutti devono riconoscere e professare la propria dipendenza da Dio. Ora «nulla di più giusto e doveroso, sia da parte dell’individuo, come da parte della società».
Da parte dell’ individuo. 1) Perché ogni uomo è creatura: dunque dipende da Dio. Ma è creatura ragionevole e libera: dunque deve riconoscere con la sua mente e professare colla sua volontà la dipendenza che egli ha da Dio. 2) È dettame di natura che al superiore si debba ossequio, al benefattore gratitudine, al padre amore, al re onore. Ma Dio è, nel più alto senso della parola, nostro superiore, nostro benefattore, nostro padre e nostro re. Dunque a Lui si deve ossequio, gratitudine, amore ed onore. 3) È dovere d’ogni uomo conseguire il fine per cui fu creato. Ma il fine ultimo dell’uomo è Dio, e l’unico modo di conseguirlo è la pratica della religione. Dunque la religione è doverosa ad ogni uomo. 4) Perciò la religione non è solamente un dovere, anzi il massimo di tutti i doveri, ma è altresì un interesse, anzi il massimo di tutti gli interessi. Perché essa sola provvede efficacemente agli eterni destini dell’anima nostra. Essa sola ci fa conoscere e gustare, anche nella vita presente, la verità ed i beni soprannaturali che hanno formato i Santi e ispirato i più grandi ingegni e le anime più generose dell’umanità. Essa sola ci sostiene nella lotta e nei sacrifici della vita presente colla speranza dei beni eterni. Essa sola ci dà il senso della vita e ci addita le vere basi del giusto e dell’onesto nel compimento di tutti i nostri doveri. Essa finalmente è quella cosa che sopratutto nobilita il sentimento, corrobora la volontà, rafforza il carattere, reprimendo in tutto e dappertutto le sregolate passioni, e consacra tutto quello che vi è di vero, tutto quello che vi è di bello, tutto quello che vi è di buono nell’individuo, nella famiglia e nella società. Chi smarrisce la religione erra senza meta, atomisticamente, e si avvia alla rovina (cf. Sursum Corda numeri 3 e 4).
Da parte della società. 1) Perché la società non è che l’insieme degli individui; se dunque tutti e singoli gli individui devono riconoscere e professare la loro dipendenza da Dio, anche la società che ne risulta ha il medesimo dovere. 2) Perché la stessa società, come società, è da Dio. È Dio che ha fatto l’uomo naturalmente socievole e vuole il mantenimento dell’ordine sociale, mediante l’autorità che da Lui emana. Dunque anche la società, come società, deve riconoscere e professare la sua dipendenza da Dio. 3) Perché la società civile deve tendere al comune bene temporale, subordinatamente al comune bene spirituale ed eterno degli stessi associati. Dunque anche la funzione sociale dello Stato deve sottostare a quell’indirizzo, almeno tanto da non contrariarlo con le sue leggi (cf. Sursum Corda numero 42, Leone XIII, Libertas). 4) Perché senza religione manca alla società civile la stessa base di ogni autorità ed obbligazione morale. Onde Platone diceva: «L’ignoranza del vero Dio è per uno Stato la maggiore delle calamità, e chi rovescia la religione, rovescia le basi di ogni società umana» (Delle Leggi, 1, X). Lo stesso ripeterono poi Cicerone, Plutarco, e quasi tutti gli antichi sapienti. Né diversamente si esprimono i moderni politici.
Le nuove tendenze di modernismo sociale e politico. Sappiamo bene che oggi si fa appello alle mutate condizioni dei tempi ed ai nuovi orientamenti pastorali. Ma noi vorremmo chiedere se le mutate condizioni dei tempi, in seguito ai progressi scientifico- economico-sociali degli ultimi secoli, hanno potuto mutare anche la dipendenza che l’uomo ha da Dio, tanto nella sua vita privata come nella sua vita pubblica. Questi nuovi orientamenti sono voluti dall’opera di scristianizzazione delle sette e dei nuovi governi, che vogliono ad ogni costo strappare la fede dal cuore dei popoli onde allontanarli dalla Chiesa, dall’ordine e dalla ragione. E non comprendono che, tolta la fede religiosa nell’autorità divina, non ha più forza neppure l’autorità umana (La sovranità, difatti, NON è del popolo - cf. Sursum Corda numero 43, Leone XIII, Immortale Dei);
non comprendono che non è più possibile sentirci obbligati in coscienza all’adempimento dei doveri sociali, quando è tolta l’idea di Dio; non comprendono, in una parola, che la cosiddetta morale indipendente è nata per legittimare tutte le ribellioni e condurre allo sfacelo sociale. E lo spettacolo che ci danno le crescenti generazioni, allevate alle nuove dottrine, le crisi profonde che travagliano la società moderna in preda alle continue agitazioni dei sovversivi, ben ci dicono quali frutti vanno maturandosi. Che se i popoli non sono ancora giunti fin dove li spinge la logica dei principi a loro inculcati, ciò si deve a quel resto di religione che ancora conservano, malgrado tutti gli sforzi in contrario. Ma guai a quel giorno in cui si fosse spenta ogni fede in Dio! «Se si domandasse, scrive l’illustre prof. Roberto Puccini, che cosa accadrebbe del genere umano, quando fosse scomparsa la credenza in Dio, noi risponderemmo: quel che accadrebbe del sistema planetario, quando fosse scomparsa la gravitazione universale. E che cosa sarebbe un popolo senza religione? Un grande albero divelto dal suolo e piantato sopra una piazza in segno di baldoria» (da La delinquenza e la correzione, pagina 452).
Se lo Stato debba essere laico od ateo. Abbiamo già attestato, con decine di Pontefici, che lo Stato NON deve essere laico, dunque NON deve essere ateo. Potremmo procedere a ritroso, Papa dopo Papa, individuando la medesima, immutabile, infallibile e rigorosa sentenza cattolica «contro la laicità, o laicismo, degli Stati», ogni qual volta la Chiesa ha ritenuto, nei secoli, di far sentire la sua divina voce contro il medesimo e diabolico errore che «in ogni tempo voleva divampare attraverso miseri traviati, intossicati, nemici di Cristo, cristiani più di nome che di fatto, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, deliranti», etc... (cf. Breve ricerca di Sursum Corda). Non ignoriamo i sofismi con cui i moderni politicanti cercano coonestare (giustificare un’azione disonesta, ndR) la tesi dello stato laico o meglio ateo. Ci sia acconsentita una parola di risposta all’argomento di incompetenza dietro cui si ripara lo Stato moderno per giustificare la sua indifferenza in fatto di religione. Rispondiamo anzitutto col Taparelli: «Poiché certe verità religiose sono naturalmente necessarie all’ordine ed evidenti, la società stessa naturale potrebbe e dovrebbe esigere che nulla si dicesse contro queste verità, e specialmente contro quelle sopra cui poggia tutto l’ordine sociale, come l’esistenza di una provvidenza rimuneratrice, l’immortalità dell’anima, ecc.... Che se uomo apparisse il quale si dicesse inviato dal cielo, egli è evidente che sarebbe dovere della persona costituita in autorità l’esaminare il fatto, e, chiaritolo vero, piegargli dal canto suo la fronte ; ma come pubblica autorità non avrebbe per sé il diritto di imporre a tutti i suoi la sua fede, ma solo di secondare colla persuasiva l’inviato celeste [...]» (Saggio di diritto naturale, N° 884).
In secondo luogo, «non fa bisogno di dire che lo Stato non ha qualità per intervenire in materia di culto e dogma, o per risolvere questioni di teologia. Ma esso non ha maggiormente qualità per risolvere le questioni letterarie, scientifiche, filosofiche, artistiche; ed intanto esso si crede obbligato di proteggere, d’incoraggiare, di sovvenzionare, di far insegnare a sue spese le lettere, le scienze, la filosofia e le belle arti. Esso si crederebbe anzi disonesto se non lo facesse. Ha esso dunque minoro interesse a non lasciar perire nel suo seno le idee religiose? Le idee e le maschie virtù che esse destano nel cuore umano — la carità, la rassegnazione, la pietà filiale, la fede in una giustizia eterna — sono dunque per lui una forza minore, un soggetto meno degno di rispetto, che non lo studio della chimica, della fisica, della grammatica comparata, della logica, della pittura, della scultura?» (M. Frànch, Des rapports de la religion e de l’état, Introduzione). Basti pensare che Papa San Pio X nella «Iamdudum in Lusitania» emette la sentenza: «Ecco che all’infame comportamento impongono quasi un compimento con la promulgazione di una pessima e dannosissima legge relativa alla separazione degli affari dello Stato e della Chiesa. A questo punto la coscienza dell’ufficio apostolico non Ci permette più in alcun modo di sopportare con rassegnazione e di lasciar correre nel silenzio una ferita così grave inferta al diritto e alla dignità della religione cattolica. (...) Noi, la legge sulla separazione della Repubblica portoghese e della Chiesa, legge che disprezza Dio e ripudia la professione di fede cattolica (...) la disapproviamo, condanniamo, rifiutiamo. Poiché deploriamo fortemente che una simile legge sia promulgata, ratificata, pubblicata, ed eleviamo solenne protesta a tutti coloro che ne furono autori o partecipi, per questo proclamiamo e annunciamo che qualsiasi cosa sia stato stabilito contro i diritti inviolabili della Chiesa, è e deve essere ritenuto nullo e senza valore».
Se si possa essere onesti senza religione. 1) È dunque radicalmente assurda ed empia la massima: «Poco importa la religione: basta essere onesti». Appunto, per essere onesti, bisogna cominciare dal fare il proprio dovere verso Dio; né si potrebbe farlo senza conoscerlo, come a nulla gioverebbe conoscere il proprio dovere senza poi praticarlo. Un moderno scrittore si domanda «se sia da preferirsi un incredulo che viva onestamente ad un credente il quale viva disonestamente» — Ma la domanda stessa è malamente posta; perché il credente (intendiamo il credente cristiano cattolico) non può esser disonesto come credente, ma in quanto va contro le sue credenze; e l’incredulo non può essere onesto come incredulo, ma in quanto va contro la sua incredulità, e segue praticamente i dettami del giusto e dell’onesto, che non sono certamente voluti e comandati dalla sua incredulità. In altri termini, né la disonestà del primo deriva dalla sua credenza, né l’onestà del secondo deriva dalla sua incredulità. Quel raffronto adunque si riduce solo a una questione di fatto: «se sia meglio l’onesto o il disonesto». D’altronde insegna san Giacomo: «Quicumque autem totam legem servaverit, offendat autem in uno, factus est omnium reus. Qui enim dixit: “Non moechaberis”, dixit et: “Non occides”; quod si non moecharis, occidis autem, factus es transgressor legis» (II,10-11). Quanto alla questione di diritto, ossia alla causa del fatto, è evidente che la pratica ella vera religione non può dar luogo che al vivere giusto ed onesto; la pratica dell’incredulità, alla mancanza di ogni giustizia ed onestà. Ricordiamoci, come notava il Manzoni nella sua Morale Cattolica (cap. VII) che «bisogna chiedere conto a una dottrina delle conseguenze legittime che si cavano da essa».
Se la religione sia un affare privato. Non è vero che la religione sia un affare privato. — È affare privato e pubblico ad un tempo; è anzi il grande affare a cui devono sottostare tutti gli altri affari della vita presente. Non è forse l’uomo obbligato a riconoscere e professare la sua dipendenza da Dio e dalle leggi divine in tutto il suo operare, sia esso privato o pubblico, interno od esterno? E se ciò è vero della religione in genere, non lo sarà ancor più della religione cristiana, la quale ha leggi e precetti per tutta la vita sociale? Poiché è evidente che se Iddio ci ha fatto conoscere la Sua volontà, la sua legge, i suoi comandi, noi non possiamo prescindere nella nostra vita da queste leggi, precetti o comandi. Può forse un cittadino prescindere dalle leggi civili o dal codice? Del pari non possiamo noi prescindere nella nostra vita, privata o pubblica che sia, dalle leggi morali e religiose. Se sia solo necessaria al popolo. Non è vero che la religione sia tutt’al più necessaria al popolo, non alle classi istruite o dirigenti. — La religione è necessaria a tutti, perché tutti devono riconoscere e professare la propria dipendenza da Dio e vivere secondo i dettami morali e religiosi della legge divina. Considerare la religione soltanto come strumento di educazione per il popolo, e credere che nelle classi superiori si possa sostituirla con l’istruzione più o meno scientifica, è supporre che Iddio e la vita futura non siano cose vere per tutti. Che se Iddio e la vita avvenire esistono per tutti, per tutti è altresì necessaria la religione.
Se sia un mezzo per tenere asservite le plebi. Non è vero, per conseguenza, che la religione sia un mezzo per tener asservite le plebi agli interessi delle classi superiori. — La religione esige solo che tutti abbiano a riconoscere e professare la propria dipendenza da Dio, subordinando gli interessi della vita presente a quelli della futura. Ma essa non impedisce a nessuno la rivendicazione dei proprii diritti, secondo il proprio stato, purché si rispettino quelli degli altri. Se la religione fesse pienamente riconosciuta e praticata nella società, sarebbero anzi pienamente riconosciuti e tutelati anche i diritti di tutti, come sarebbero altresì garantiti i doveri di tutti (Cf. Analisi contro il socialismo contemporaneo, 5a edizione, cap. XVI, «Socialismo e religione»). Il Comunicato numero 46 è tratto quasi interamente dalla «Breve apologia per giovani studenti, contro gli increduli dei nostri giorni» del prof. Giuseppe Ballerini, Parte II, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, Imprimatur 1914, dalla pagina 129 alla pagina 139.
(A cura di CdP)
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