Stimati Associati e gentili Sostenitori, rispondiamo ad alcune obiezioni utilizzando il volumetto SOS «La Religione. Obiezioni e risposte» del P. Giulio Monetti, imprimatur 1942.
Obiettano gli sfortunati: «Quanta gente onesta, fiore di galantuomini, che non va in Chiesa! Ora ciò non sarebbe, se fosse da prendersi alla lettera tutto quello che s’è detto. Diciamo dunque che bisogna prendere le cose “cum mica salis”, con un tantino di buon senso e di discrezione! Non tutto quello che è bello, utile, simpatico, fiore di ragionevolezza, è poi da esigersi come necessario! Se se ne può far senza....».
Rispondiamo: — Discrezione, dici? — Ma che cosa c’è di più discreto della Religione, intendo della vera e autentica? Moltissime cose le inculca, e cerca di persuaderle a tutti, perché davvero lo meritano, tanto sono sublimi e proficue: ma è essa la prima a non comandarle; con ciò stesso le lascia alla nostra discrezione! Altre le comanda: ma quanto poche esse sono, e meravigliosamente discrete, se già non appartengono alle precise prescrizioni della legge naturale! Si tratta della Santa Messa festiva? Con quella viene riservata a Dio non più che una mezz’oretta alla settimana, mentre tutto il resto del tempo viene lasciato per noi, alla nostra discrezione! Si tratta del riposo festivo? Esso è opera della massima discrezione, in favore tanto dell’anima quanto del corpo: — del corpo, imponendoci di dargli requie almeno un giorno la settimana, invece di farlo faticare indiscretamente; — dell’anima, per la quale non si richiede certo troppo indiscretamente se le si rivendicano le cure di un giorno su sette, mentre alla cura del corpo sono lasciati gli altri sei giorni! Si tratta della frequenza ai SS. Sacramenti? In rigore, essa è frequenza obbligatoria soltanto una volta all’anno! Proprio cosa indiscreta, da rompere davvero le ossa! Indiscreto l’esigere che, almeno una volta l’anno, si rediga il proprio bilancio spirituale, che pur converrebbe fare tutte le sere... e si torni a cibarsi del Pane Eucaristico, datoci dal suo Divino Istitutore per pane quotidiano dell’anima. Trattasi dei digiuni e delle astinenze ecclesiastiche? Sono così poca cosa, e d’altronde così igienica, ch’è una vergogna il lagnarsene! La guerra c’impone ben altro! E devesi poi aggiungere che, per quanto i suddetti obblighi religiosi siano gravi, tutti, quando esiste veramente proporzionata ragione, restano come neutralizzati, com’è noto dalla pratica approvata dalla Chiesa: dov’è dunque l’indiscrezione, se non dalla parte di chi, né per Iddio né per l’anima, né per l’eternità non vuol proprio far nulla..., mentre in vece lì dovrebbe concentrare i pensieri e le attività migliori?
Ed ora dal tema della discrezione passiamo al tema del «galantuomo.... che non va in chiesa». Se un tal galantuomo se ne stesse zitto, né ostentasse punto il suo galantomismo areligioso, pazienza. L’avrei per un galantuomo... deficiente, di scarto, che troverà — se continua così — chiusa la porta del Paradiso; dato che roba di scarto lassù non ce ne entra. Quindi tal galantuomo che da Dio, infinitamente giusto, si farà condannare all’Inferno. E quest’osservazione già da sé basterebbe: mi pare! Se invece è un galantuomo che ostenta il suo galantomismo che... non va in chiesa, per me colui o è un fatuo che non sa quel che si dice. Allora «non ragionar di lui, ma guarda e passa»: ovvero è un ipocrita del galantomismo. Il suo posto è tra la gente scellerata nemica di Dio e dell’onestà. È infatti evidente che non può dirsi onesta quella persona che manca abitualmente a qualcuno dei suoi stretti doveri, per quanto suppergiù osservi gli altri suoi obblighi. Per essere deferito ai tribunali come malfattore e farabutto, non c’è niente bisogno di violare tutti gli articoli del codice; basta l’averne violato quel tale — anche uno solo — che ti manda in galera: la quale non è precisamente il ritrovo abituale dei galantuomini autentici. E così nessuno chiamerà galantuomo chi sia in provata opinione di ladro, per quanto non uccida, non si ubriachi, non sia calunniatore del prossimo, non sia uno del gregge immondo di Epicuro. Parimenti nessuno vorrebbe avere che fare con galantuomini che, per quanto non uccidano e non rubino, pure o insidiano all’altrui virtù, o sono continuamente impegnati nello straziare l’altrui fama; — ed ognuno arrossirebbe di avere in famiglia un crapulone che si ubriacasse obbrobriosamente ogni giorno, sebbene egli fosse per ogni altro verso irreprensibile.
Quand’è così, è assurda la pretesa di essere e di parer galantuomo, quando non si abbia nel dovuto conto, e teoricamente e pratica- mente, l’obbligo tanto principale della religione; ancorché si possa sinceramente asserire che non si ammazzi, non si rubi, non si pregiudichi ingiustamente o malevolmente alla fama del prossimo, né in altro sinistro modo si faccia parlare di sé. Non è davvero un galantuomo chi non paga i suoi debiti, specialmente i suoi debiti verso Dio, dando a Dio quello che è di Dio: — né è cosa da poco o trascurabile il non volere rendere a Dio l’onore che gli è dovuto, i ringraziamenti che gli sono dovuti, le riparazioni che gli sono dovute, la servitù di intima disposizione di animo, e insieme di fatto, che gli è dovuta. E tale è appunto il non andare in chiesa, il non volerne sapere di pratiche religiose: delitto gravissimo di lesa Maestà Divina, e ingiuria sanguinosa fatta a Dio sempre presente, che viene trattato dall’irreligioso come.... quantità trascurabile, mentre Dio è tutto per lui!
Replicano i cocciuti «Esagerazioni! Chi pensa mai ad insultare Iddio? Può esserci questione di altro che di negligenza, d’irriflessione, d’incomprensione più che spiegabile per chi conosca un poco il mondo contemporaneo?».
Rispondiamo: Verissimo: nel più dei casi non ci sarà l’insulto formale, cioè intenzionale, contro Dio; sarebbe il colmo della perversione e protervia. E ringraziamo il Signore che non siamo ancora a questo punto, nelle nostre popolazioni, almeno là dove non sia peranco arrivata l’onda infernale bolscevizzante dei «senza Dio»: ne dovremmo pronosticare ben male per l’avvenire della nostra Patria e della società, quando vi dovessimo assistere a così dirette provocazioni dei fulmini dell’ira divina! Più ancora: ammettiamo, in casi isolati e sporadici, una mentalità tanto inferiore, che non si renda ragione dell’insulto che l’irreligione fa a Dio Creatore; colpa della materializzazione della vita, dell’abbruttimento dell’uomo in certi lavori da schiavi, in certi ambienti moralmente viziati, di propaganda esiziale sovversiva dei principii fondamentali della coscienza umana, di fatale indebolimento delle forze dello spirito di fronte ad una quotidiana lotta della vita assolutamente sfibrante. Tali casi esorbitano dal giro della normalità sociale, rientrando nell’ambito della patologia morale. Quando invece si tratta dell’irreligiosità di certa gente — irreligiosità sotto forma di opposizione astiosa a quanto sa di religione; — oppure irreligiosità sotto forma di indifferenza ai pensieri di Dio ed ai propri religiosi doveri; — oppure irreligiosità determinatamente ammessa, adottata fors’anche come sistema, seguita come una moda in voga, allora le cose cambiano!
Abbiamo infatti gente che resiste ai precisi voleri di Dio — e gli resiste in faccia dacché Iddio è presente dappertutto, in ogni istante, a qualsiasi creatura. Dio vorrebbe quel Tizio alla Messa festiva: ed egli non se ne dà per inteso, rimanendosene a letto, od al suo tavolo di studio, o cogli amici, o sfaccendato addirittura a fumarsi il suo sigaro, a leggersi la sua corrispondenza o il giornale, o a sorbirsi il suo caffè. Dio lo vorrebbe ai SS. Sacramenti alla Pasqua, ed egli non se ne cura, continuando a fare il suo comodaccio, come dicendo a Dio col fatto, se non colle parole: «Strepita quanto vuoi: che io non mi muovo! E minacciami pure le tue tremende sanzioni, il tuo Inferno: io me ne infischio!». Se questo non è già da sé un insultare Iddio anche senza la satanica formale intenzione di vilipenderlo e di fargli dispetto, non se ne capisce più nulla! C’è forse bisogno di un attentato in stile, o di una ribellione armata, o di un tradimento premeditato e qualificato, per raggiungere gli estremi giuridici dell’offesa all’autorità? Basta qualsiasi violazione della legge: quando questa sia provata, il giudice procede alla condanna. Così avviene tra gli uomini; così pure avviene nelle nostre relazioni con Dio, quanto al decadere dalla sua grazia, e quando al meritare l’ira terribile. Che se Egli, infinitamente misericordioso e misteriosamente longanime, non fulmina subito i temerari suoi offensori, ma dissimula e tollera, e continua loro i suoi benefici, non per questo i violatori della sua legge ne restano scusati. Se non approfittano dell’immeritata indulgenza per convertirsi, se anzi perfidiano in aggiungere offese ad offese, se continuano a sfruttare i divini benefizi (vita, forze, sostanze, occasioni ecc.) proprio a «ufo», cioè senza venire una volta al pagamento dei propri debiti verso Dio, verrà poi bene l’ora del pareggio dei conti!
Passata l’ora utile, concessa all’uomo per disporre di sé medesimo e per scegliersi la sua eternità, — la «hora vestra» cui accennò Gesù ai giudei al momento della sua cattura, — la «dies tua», accennata dallo stesso Gesù a Gerusalemme nel rimproverarle la sua cieca ingratitudine, — sopravverrà la «dies irae, calamitatis et miseriae, dies magna et amara valde» l’ora del Signore, nella quale Egli rivendicherà appieno tutti i suoi diritti «usque ad novissimun quadrantem». Vedranno allora gli spiriti forti, gli indifferenti, i galantuomini che non vanno in chiesa, tutti coloro che protestano di non aver tempo per pensare ai debiti che hanno con Dio e pagarli, lo sbaglio enorme da sé fatto nel trascurare la Religione e le sue pratiche assolutamente vitali per l’anima, valevoli tanto efficacemente per assicurarci l’eternità beata! Ed essi lo confesseranno: «Erravimus!». E apparirà ancora con quale ragione o sincerità una tal gente andasse ripetendo: «Ma io non ammazzo e non rubo... Che male faccio?». Chè tutti quegli infelici appariranno evidentemente come veri suicidi dell’anima propria, quanto alla vita soprannaturale; — veri ladri di ciò che spettava a Dio di suo pieno diritto; — veri assassini delle anime altrui, tratte con sé in perdizione per mezzo del pessimo esempio d’irreligiosità dato a tanti pusilli che vi si conformarono.
a cura di CdP