Stimati Associati e gentili Sostenitori, rispondiamo ad alcune obiezioni utilizzando il volumetto SOS «La Religione. Obiezioni e risposte» del P. Giulio Monetti, imprimatur 1942. Nemici e falsi amici di Cristo asseriscono: «Si vorrebbe arrivare a tutto: ma francamente, come si fa? Si hanno tante brighe di negozi, di corrispondenza, di doveri di società, di sollecitudini famigliari, ecc., che ci vorrebbero ben quarantotto ore al giorno, e non so lo ventiquattro, per venir a capo di ogni cosa: e Dio lo sa!... per fortuna, c’è ben un proverbio che dice: Chi lavora prega».
Rispondiamo: Ripiego magnifico! Come se il protestare che non si ha tempo per pensare al pagamento dei nostri debiti, bastasse a cancellare questi stessi debiti dal libro di Dio, che ne è il creditore! Sta invece il fatto che tali nostre partite restano sempre accese, finché o in un modo od in un altro non le pareggiamo: giacché, per quanto le nostre occupazioni siano moltiplicate ed assorbenti, dobbiamo sempre trovare il tempo necessario per porgere a Dio i nostri doveri, per indirizzarGli le nostre preghiere, per mostrarGli la nostra riconoscenza, per professarGli - anche in opera - la nostra servitù incondizionata, per darGli soddisfazione per le offese fatteGli, ecc., ecc. E poco giova appellarsi al citato proverbio: il lavoro è preghiera. Sì, il lavoro è preghiera, ma come? Quando? Nel senso, forse, che possa sostituire senz’altro la pratica religiosa? Nel senso che il badare agl’interessi del corpo scusi dal badare agl’interessi dell’anima, e tanto valga il badare egoisticamente a sé quanto il sacrificarsi per Dio, e il mandare innanzi a tutto i negozi e le preoccupazioni del tempo sia un bel prepararsi la propria casa nell’eternità? Proporre tali questioni è risolverle! «Lavorare e pregare» in quanto l’uomo veramente religioso, dopo avere fedelmente sciolto a Dio il proprio debito, sa che può tranquillamente passare al lavoro a sé necessario o conveniente, senza scapito dell’anima; che può, anzi, santificarlo, se è in grazia di Dio, col farne al Signore l’offerta, tramutandoselo in merito soprannaturale, proprio come farebbe con la preghiera: ma ciò vale anche del riposo, dei pasti, delle oneste conversazioni e ricreazioni, ecc., senza che alcuno possa presumere che tutte queste cose possano semplicemente sostituirsi alla Religione.
Tolto di mezzo quest’equivoco, veniamo al pretesto della mancanza di tempo. In questa materia, «volere è potere!». Basta volerlo seriamente: il tempo da dedicare ai doveri religiosi si troverà! L’esperienza di tanta gente, sovraccarica quanto si vuole di faccende e faccende, ma di buona coscienza cristiana, ce lo dice continuamente; e la vediamo fedelmente in chiesa alla Messa festiva, ai SS. Sacramenti, alle prediche, alle Sacre Funzioni, senza pregiudizio dei lavori, degli affari, dei suoi impegni sociali. Quelli il tempo voluto lo trovano: perché non dovremmo trovarlo anche noi? E poi, ragioniamo: dovessero pure, per trovare tal tempo da praticarvi la religione, Sacrificarsi altri interessi, bisognerebbe ben rassegnarsi! Prima il dovere: poi le ricchezze! Prima il dovere: poi le amicizie! Prima il dovere: poi le sollecitudini per la propria fama e per i propri avanzamenti! Prima il dovere: poi gli spassi, i diporti! Prima il pensiero di Dio, dell’anima e dell’eternità: poi gli altri pensieri, della sanità, della famiglia, della posizione sociale, ecc. Questa è ragionevolezza ed onore! Non dobbiamo mica essere gli eterni miopi che non vedono oltre la punta del loro naso, ma dobbiamo essere lungimiranti; non gli uomini del solo presente che passa; ma gli uomini anche dell’avvenire oltremondano che resta! Là sono i veri nostri interessi supremi, le nostre ricchezze, le nostre glorie legittime ed immortali, le nostre posizioni magnifiche, le nostre non passeggere fortune! Il che non toglie che la pratica della Religione possa essere - e sia senz’altro - immensamente giovevole anche al presente: dov’è pratica religiosa sincera, viva, completa, c’è la benedizione di Dio!
Un padre di famiglia, sinceramente religioso, avvantaggerà col risparmio il suo patrimonio: avvezzando, altresì, la crescente figliolanza alla equilibrata parsimonia ed alla sana frugalità. Un operaio esemplarmente religioso, sarà perciò stesso altrettanto diligente nell’opera sua, pieno di rispetto ai soprastanti, moderato nelle sue richieste: sarà perciò preferito dai padroni, più facilmente gratificato e promosso, più largamente soccorso nel caso d’improvvisa strettezza. La pratica della Religione impedirà altresì ai professionisti, agli studiosi, ad altre persone più agiate, di contrarre abitudini nocive non meno alla borsa che alla salute ed all’anima: così può dirsi in generale che quel poco tempo sottratto agli interessi materiali per darlo alla vita devota rientra, per altra via, a guadagno dei medesimi. Oltreché Iddio si occuperà con speciale provvidenza del benessere di colui che cura di pagarGli esattamente i suoi debiti di adorazione, di servitù, di riconoscenza. L’ha promesso solennemente e lo farà!
Ciò detto da «La Religione. Obiezioni e risposte» del P. Monetti, vediamo dal Dragone chi merita il Paradiso. Merita il Paradiso chi è convinto che il lavoro sia preghiera? Chi lavora senza pregare? Il «Catechismo» di Papa San Pio X insegna che «merita il Paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia». Commenta il P. Dragone: Nostro Signore, nella parabola evangelica dei talenti, ci dice che i servi fedeli (coloro che avranno fatto gl’interessi del padrone) nel giorno del rendiconto sa ranno premiati e fatti partecipi della felicità del padrone (v. Mt. XXV, 14-24). In questa parabola Gesù volle raffigurare la sorte che attende gli uomini buoni. Il merito è il diritto alla ricompensa, annesso all’opera buona fatta in favore di chi assegna il premio. Il lavoratore che compie bene l’opera pattuita ha diritto alla ricompensa. Il merito è detto «de condigno» quando vi è parità tra l’opera meritoria e il premio, e dà un diritto di giustizia alla ricompensa. Il merito è «de congruo», o di convenienza, quando non vi è parità fra il servizio reso e la ricompensa. Noi meritiamo il Paradiso «de condigno» solo perché Dio ha promesso di compensare così le nostre buone opere: giacché Gesù Cristo, con la sua Passione e Morte, meritò «ex justitia», cioè «de condigno» la nostra salvezza.
Dio ha diritto alla nostra obbedienza, conforme alla Sua legge. A chi Lo ama e Lo serve facendo la Sua divina volontà, Dio ha promesso il premio eterno del Paradiso. Al giovane che gli chiedeva che cosa dovesse fare per avere la vita eterna Gesù rispose semplicemente: «Osserva i comandamenti». Dio non può ammettere in Paradiso, dandogli come premio la vita eterna e il Suo gaudio, colui che muore in peccato mortale, cioè privo della Sua amicizia. Se qualcuno non resterà in me, dice Gesù, sarà gettato via, come un tralcio che si dissecca, si raccoglie e si butta sul fuoco, dove brucia (Gv. XV, 6). Per meritare il Paradiso occorre vivere secondo Dio, cioè credere a ciò che Egli ha rivelato, praticare la Sua legge, con l’aiuto della Sua grazia, che si ottiene mediante i Sacramenti e l’orazione (cf. n° 27). Gesù Cristo, Uomo-Dio, come uomo sofferse la povertà, la fatica, la fame, la sete, gli strazi della passione e della morte; lavorò, faticò, pregò. Gesù Cristo con la sua parola e con il suo esempio c’insegnò a credere e a osservare la divina legge, e con la sua passione e morte ci meritò la grazia per cui possiamo credere e osservare la legge divina e vivere secondo Dio. Che cosa ci gioverebbe conquistare il mondo Intero con la nostra intelligenza o la nostra potenza, se poi non salvassimo la nostra anima? Se ci mettessimo in condizioni di non ricevere nessuna utilità dalla venuta di Nostro Signore sulla terra per essere nostro Maestro, Redentore e Mediatore?
Nostro Signore prima di cominciare la vita pubblica trascorse quaranta giorni e quaranta notti nel digiuno e nella preghiera. Prima di cominciare la passione pregò a lungo nel Getsemani. I Santi compresero bene questa lezione e, prima d’intraprendere qualche cosa d’importante, davanti alle tentazioni e ai pericoli, sempre pregarono, per avere l’aiuto indispensabile della grazia divina. È necessario onorare Dio con atti di culto esterno. Ma l’uomo, assorbito nelle occupazioni e necessità materiali, dimentica molto facilmente questo dovere. Per richiamarlo a questo dovere fondamentale Dio addirittura fissò alcuni giorni, riservandoli unicamente al culto divino...
a cura di CdP