Comunicato numero 168. La resurrezione di Lazzaro

Stimati Associati e gentili Sostenitori, i modernisti (verosimilmente i fautori e divulgatori del “Vaticano Secondo” e della nuova anticristica “religione ecumenica”) non hanno mai realmente creduto alla divinità di Cristo, dunque hanno sempre tentato, apertamente o dietro sofismi, in cumuli di velenosi documenti, di osteggiare questa verità. Benché mascherati da sapienti, nei loro vuoti commenti critici ai Vangeli, nelle loro false esegesi, nei loro eversivi studi biblici, in tutti i loro incomprensibili “dubbi”, in realtà i modernisti hanno tentato maldestramente di epurare o adulterare tutti quegli elementi e quegli episodi storici che attestano ineluttabilmente ed inconfutabilmente la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Grazie a Dio, non ci siamo fatti sedurre e non siamo interessati alle loro lusinghe. La resurrezione di Lazzaro è un episodio fra i più clamorosi, odiato mortalmente da giudei e modernisti, dunque impariamo ad apprezzarlo dalle parole del sapiente Abate Giuseppe Ricciotti (Riposi in pace!).

• § 489. Dalla Festa della Dedicazione erano passati circa un paio di mesi, e si doveva essere sulla fine di febbraio o sui primi di marzo dell’anno 30 (§§ 460, 462). Gesù nella sua peregrinazione scendendo dai confini della Galilea (§ 414) si doveva essere avvicinato al Giordano e aveva seguito per un certo tratto la strada che, fiancheggiando il fiume, portava verso Gerusalemme; pare che ad un certo punto egli, traversato il fiume, entrasse e rimanesse qualche tempo in Transgiordania, forse nello stesso posto prediletto ove si era ritirato subito dopo la Dedicazione (§ 462). Mentre era ivi, lo raggiunse una triste notizia da Bethania, il villaggio di Marta e Maria: il loro fratello Lazaro, che forse era già malato al tempo dell’ultima visita di Gesù a quella famiglia amica (§ 441), si era aggravato assai e stava in imminente pericolo di vita. Le due sorelle, pur rimanendo in casa ad assistere l’infermo, erano informate in maniera approssimativa dei viaggi e delle soste di Gesù, e, saputolo in Transgiordania a circa una giornata di cammino da Bethania, gl’inviarono un messaggio per comunicargli le condizioni del loro fratello: confidate nell’affetto particolare che egli portava a tutte e tre della famiglia, esse sperarono che Gesù sarebbe accorso e con la sua presenza avrebbe impedito la morte. Ecco come San Giovanni (11, 3 segg.) narra il messaggio delle sorelle e il successivo contegno di Gesù: «Inviarono dunque le sorelle a lui dicendo: “Signore, guarda che quello che tu ami è malato”. Ma, avendo udito, Gesù disse: “Questa malattia non è per morte ma per gloria d’Iddio, affinché sia glorificato il figlio d’Iddio per mezzo di essa”. Amava invero Gesù Marta e la sorella di lei e Lazaro». Ci aspetteremmo che questo amore, espressamente rilevato dall’Evangelista, avesse spinto Gesù a partire immediatamente alla volta della famiglia amica che per varie ragioni l’attendeva; e invece la narrazione continua dicendo che quando Gesù «udì ch’era malato rimase per allora, nel posto dove era, due giorni; in seguito, dopo ciò, dice ai suoi discepoli: “Rechiamoci nella Giudea di nuovo”». Recarsi nella Giudea dal posto dove Gesù stava, significava recarsi a Gerusalemme o nei suoi dintorni, cioè proprio nel covo dei nemici di lui. I discepoli pensarono subito al pericolo e glielo fecero osservare: «Rabbi, testé cercavano i Giudei di lapidarti (§ 461), e di nuovo vai là?». Nella seguente risposta di Gesù ritroviamo i temi ricercati e raccolti con particolare cura da San Giovanni. «Rispose Gesù: “Non sono dodici le ore del giorno? Se alcuno cammini nel giorno non inciampa, perché scorge la luce di questo mondo; se però alcuno cammini nella notte inciampa, perché la luce non è in lui”». Le dodici ore della giornata mortale di Gesù non erano ancora trascorse tutte, sebbene già incombesse la sera; egli, luce di questo mondo (cfr. Giov., 1, 9; 3, 19; 8, 12), doveva compiere tutto il suo cammino fino all’ultima ora, né i suoi nemici potevano recargli alcun male, perché ancora non era giunta la loro ora: l’ora del loro predominio sarebbe stata l’ora di tenebra. Detto ciò, soggiunse: «Lazaro, l’amico nostro, si è addormentato; ma andrò a risvegliarlo». Queste parole confermarono nei discepoli l’erronea convinzione che essi già si erano fatta sia della risposta di Gesù al messaggio delle sorelle (questa malattia non è per morte), sia dall’indugiarsi di Gesù per altri due giorni nel luogo ove stava; risposero perciò fiduciosi: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Un sonno profondo era, infatti, considerato dalla medicina contemporanea come un sintomo che l’organismo stava reagendo contro la malattia e cominciava a liberarsene; e quindi, anche per questa ragione, non era opportuno andare in Giudea da Lazaro per disturbarlo. Allora però Gesù disse loro apertamente: «Lazaro morì. E godo per causa vostra - affinché crediate - che io non ero colà. Ma rechiamoci da lui». I discepoli rimasero colpiti da quell’annuncio di morte, né sospettarono affatto l’intenzione vera di Gesù. Giacché dunque la disgrazia era avvenuta e non c’era più nulla da fare, perché recarsi in Giudea presso il covo dei Farisei e dei sommi sacerdoti? Ai discepoli non sorrideva affatto l’idea di questo viaggio e, presi in mezzo fra la paura dei Farisei e la deferenza per Gesù, essi tentennavano. D’altra parte il maestro appariva irremovibile nell’idea del viaggio: bisognava perciò seguirlo anche a costo di non tornare più addietro e di lasciare la vita laggiù fra quegli astiosi nemici, che essi andavano a provocare. L’Apostolo Tommaso fece opera di persuasione tra i suoi colleghi, mettendo però in mostra la sua sfiducia sull’esito finale del viaggio: «Rechiamoci anche noi a morire insieme con lui!». Tutti quindi si misero in cammino verso Bethania, arrivandovi in una giornata; e qui la narrazione di San Giovanni non può essere sostituita. Cito: «Venuto pertanto Gesù, trovò lui (Lazaro) già da quattro giorni nella tomba. Era poi Bethania presso Gerusalemme circa quindici stadi. Ora, molti dei Giudei erano venuti a Marta e Maria per consolarle del fratello. Marta dunque, come udì che Gesù viene, gli andò incontro: Maria invece sedeva in casa. Disse pertanto Marta a Gesù: “Signore, se eri qui, non sarebbe morto il fratello mio. E(ppure) adesso so che quante cose (tu) chiedessi a iddio, te (le) darà Iddio!”. Le dice Gesù: ”Risorgerà il fratello tuo”. Gli dice Marta: “So che risorgerà nella resurrezione nell’estremo giorno”. Le dice Gesù: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, quand’anche fosse morto, vivrà, e chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi ciò?”. Gli dice: “Si, Signore; io ho creduto che tu sei il Cristo, il figlio d’Iddio, il Veniente (§§ 339, 505) nel mondo”. E detto ciò se ne andò a chiamare Maria, la sorella sua, segretamente dicendo: “C’è il maestro, e ti chiama”. Or quella, come udì, si leva prestamente e veniva verso lui, poiché non era ancora giunto Gesù nel villaggio, bensì era ancora al posto dove gli andò incontro Marta. I Giudei pertanto che erano con lei nella casa e la consolavano, vedendo che Maria era sorta ed uscita in fretta la seguivano, credendo che andasse alla tomba per piangere colà. Maria pertanto, come venne dove era Gesù, vedutolo cadde ai piedi di lui dicendogli: “Signore, se eri qui, non sarebbe morto il fratello mio!”. Gesù dunque, come vide lei piangere e i Giudei venuti insieme con lei piangere, fremette nel (suo) spirito e turbò se stesso».

Tomba di Lazzaro

• § 490. Queste parole invitano a sospendere un momento la lettura, per farvi sopra alcune considerazioni. Se la narrazione finisse qui, nessuno al mondo vi troverebbe difficoltà di sorta. Il racconto è piano, trasparente, senza ombra di sottintesi; è inoltre di tale aderenza agli altri dati storici in nostro possesso, da trovar conferme ad ogni linea. Ne rileviamo solo alcune. L’antica Bethania stava veramente, seguendo l’antica strada, presso Gerusalemme circa quindici stadi, che sarebbero 2.775 metri (oggi invece il villaggio tende ad allontanarsene, propagandosi verso oriente): data questa vicinanza da Gerusalemme, molti Giudei erano venuti dalla città a condolersi con la distinta famiglia del morto, come volevano le regole d’urbanità. Presso i Giudei il morto era sepolto di solito il giorno stesso del decesso, come appunto avvenne per Lazaro (§ 491). Si stimava comunemente che l’anima del defunto si aggirasse per tre giorni attorno alla salma, sperando di penetrarvi di nuovo, ma al quarto giorno, cominciando la decomposizione, essa se ne allontanava per sempre. Le visite di condoglianza si prolungavano per sette giorni, ma erano più numerose nei primi tre. I visitatori esprimevano il loro cordoglio dapprima con la solita rumorosità orientale, alzando grida e lamenti, piangendo, strappandosi le vesti, e infine rimanevano per un certo tempo seduti a terra in cupo silenzio. Quando Gesù arrivò, Marta e Maria stavano contornate da questi visitatori di condoglianza. I quali sono chiamati da San Giovanni «Giudei», termine con cui egli designa abitualmente gli avversari di Gesù; tali infatti si mostrarono apertamente taluni di essi, come apparirà dal seguito della narrazione. A Gesù andò incontro per prima Marta, che già vedemmo agire come governante in casa (§ 441); in seguito si mosse anche Maria, seguita dai visitatori. Scambiate le poche parole con le sorelle e viste tutte quelle persone piangenti, «Gesù fremette nel (suo) spirito e turbò se stesso», come uomo vivo e vero che ha un’anima umana nel petto e che sente profondamente l’amore e il dolore umani. Si può immaginare una narrazione più ingenua, più esatta, più “verista”? Tale sarebbe giudicata indubbiamente anche dagli studiosi radicalissimi se non avesse per conclusione un miracolo; ma poiché il tutto termina con la resurrezione di un morto, e avvenuta davanti a testimoni così numerosi e così avversi, perciò si è decretato di scoprire nella stessa narrazione o le tracce di una frode preparata in precedenza, o almeno le prove di un mito o un’allegoria. Alla frode o a qualcosa di simile pensarono critici antichi (§ 198), le cui idee però riposano oggi nella tomba senza speranza di resurrezione. Alla allegoria pensano parecchi moderni, per i quali tutta la narrazione non avrebbe nulla di reale, ma sarebbe, in una maniera o in un’altra, l’illustrazione solo apparentemente storica di un’idea astratta. Senonché il lettore imparziale può aver visto da se stesso se la narrazione offra il minimo appiglio a un’interpretazione allegorica; certo è che, se è allegorica questa narrazione, potrà essere considerato allegorico qualunque attestato di morte rilasciato da medici e da giudici davanti ad una salma e alla presenza di testimoni numerosi ed avversi; mentre, se attestati siffatti hanno valore storico, tanto più ne avrà questo attestato della morte di Lazaro. E ciò apparirà anche meglio dal seguito della narrazione, che qui riprendiamo.

• § 491. Gesù, dunque, alla vista dei piangenti uscitigli incontro, «fremette nel (suo) spirito e turbò se stesso, e disse: “Dove l’avete posto?”. Gli dicono: “Signore, vieni e vedi”. Gesù pianse. Dicevano pertanto i Giudei: “Guarda! Come l’amava!”. Ma alcuni di essi dicevano: “Non poteva costui, che aprì gli occhi al cieco (§ 428), fare che anche questo non morisse?”. Gesù pertanto, di nuovo fremendo in se stesso, viene alla tomba. Era (questa) una spelonca, e una pietra era stata posta su di essa. Dice Gesù: “Togliete la pietra”. Gli dice la sorella del morto, Marta: “Signore, già puzza: è infatti quatriduano”. Le dice Gesù: “Non ti dissi che, se (tu) creda, vedrai la gloria d’iddio?”. Tolsero pertanto la pietra. Gesù allora alzò gli occhi in alto e disse: “Padre, ti ringrazio perché mi ascoltasti! Io invero sapevo che sempre mi ascolti; ma per la folla che sta attorno dissi (ciò), affinché credano che tu m’inviasti”. E, detto ciò, a gran voce gridò: “Lazaro, vieni fuori!“. Uscì il morto legato ai piedi e alle mani da bende, e la faccia di lui era avvolta da un sudano. Dice a quelli Gesù: “Scioglietelo e lasciatelo andare!”». Le tombe palestinesi del tempo di Gesù erano situate poco discosto dai luoghi abitati o proprio alla periferia di essi. Le tombe di persone distinte erano di solito scavate nel tufo, o perpendicolarmente a guisa di fossa nei luoghi pianeggianti, ovvero orizzontalmente a guisa di spelonca nei luoghi collinosi; consistevano essenzialmente in una camera funeraria con uno o più loculi per le salme, e spesso con un piccolo atrio davanti la camera: atrio e camera comunicavano tra loro mediante uno stretto uscio che rimaneva sempre aperto, mentre l’atrio comunicava con l’esterno mediante una porta che veniva sbarrata con una grossa pietra (§ 618). La salma, dopo essere stata lavata, cosparsa di aromi, fasciata di bende e avvolta di lenzuolo, era semplicemente deposta nel suo loculo nella camera funeraria, rimanendo perciò a contatto quasi immediato dell’aria interna: è facile quindi immaginare che, al terzo o quarto giorno dalla deposizione, nonostante gli aromi tutto l’interno della tomba era ammorbato dalle esalazioni del cadavere. Di ciò si preoccupa nel caso nostra Marta, quando Gesù ordina di togliere la pietra che chiude la porta esterna. La salma di Lazaro è là da quattro giorni: retrocedendo infatti in ordine di tempo, troviamo che un giorno, l’ultimo, è stato impiegato da Gesù per venire dalla Transgiordania a Bethania risalendo per la strada da Gerico a Gerusalemme (§ 438); due giorni, il penultimo e il terz’ultimo, sono stati consumati dal suo deliberato indugio dopo aver ricevuto l’annunzio che Lazaro era gravissimo; il quart’ultimo giorno, dunque, è insieme quello in cui le sorelle del malato hanno inviato l’annunzio a Gesù e in cui Lazaro è morto ed è stato sepolto. Egli dunque morì poche ore dopo che le sue sorelle avevano spedito il messo a Gesù.

• § 492. Oggi, sul posto dell’antica Bethania, si mostra una tomba che una tradizione attestata fin dal IV secolo identifica con quella di Lazaro. Trattasi certamente di un sepolcro del solito tipo palestinese, ma oggi è difficile farsi un’idea esatta del rapporto tra il sepolcro e il primitivo territorio circostante, a causa delle ripetute modificazioni che tutto il luogo ha ricevuto lungo i secoli. L’antica porta esterna fu murata dai musulmani nel secolo XVI, quando vi fu edificata la moschea sovrastante: poco dopo vi fu adattato per altra parte l’accesso odierno, che discende per 24 gradini. Questo accesso immette nell’antico atrio della tomba, il quale è un quadrilatero di circa tre metri per lato; scendendo ancora tre gradini si penetra attraverso una stretta apertura nella camera funeraria, che è di dimensioni alquanto minori e contiene oggi i loculi per tre salme. Checché sia dell’identità di questa tomba con quella di Lazaro, l’aderenza della narrazione ai costumi funebri e ai dati archeologici palestinesi è esattissima, e anche per questa ragione si scorge nel narratore un testimonio oculare. Né è minore la corrispondenza della narrazione allo stato psicologico dei Giudei durante il fatto e subito dopo. Durante il fatto, alcuni Giudei contestano a Gesù, non senza una punta di beffa, di non aver impedito la morte di Lazaro dopo aver donato la vista al cieco di Gerusalemme. Dopo il fatto, fra i Giudei stessi avviene una scissione così narrata dal testimonio oculare: «Molti pertanto dei Giudei, che erano venuti a Maria ed avevano contemplato ciò che (egli) fece, credettero in lui; altri di essi, invece, se ne andarono ai Farisei e dissero loro le cose che fece Gesù». L’effetto di questo zelante messaggio fu, come si vedrà, la decisione presa dai Farisei che l’operatore di miracoli così grandiosi e così pubblici doveva essere tolto di mezzo; ma qui è importante rilevare come la scissione prodottasi tra i Giudei testimoni del miracolo abbia un fondamento psicologico storicamente perfetto. Fra quegli avversari di Gesù, coloro che non hanno dimenticato di essere uomini, si arrendono al miracolo e credono in chi l’ha operato; coloro invece che hanno subordinato il loro cervello e cuore di uomini alla propria qualità di membri d’un partito, non si preoccupano che del trionfo del partito e corrono a denunziare Gesù. La storia umana è piena di esempi di paradossale tenacia partigianesca, ma nessuna tenacia è stata più massiccia di quella dei Farisei. Crolli il mondo, ma rimanga a qualunque costo il fariseismo (§ 431). Difatti il mondo crollò e il fariseismo rimase, ma quale testimonio inconfutabile della propria disfatta.

• § 493. I critici radicali odierni [fra cui i modernisti] (seguaci dei metodi dell’antico fariseismo più che non sembri), per dimostrare che la narrazione della resurrezione di Lazaro è tutta allegorica e non ha alcun fondamento storico, portano una ragione che dovrebbe essere perentoria: la ragione è che il fatto è narrato dal solo Giovanni e non dai Sinottici, mentre se si trattasse di un avvenimento reale, i Sinottici nel loro stesso interesse apologetico non avrebbero potuto tralasciare un avvenimento così adatto a conciliare la fede nel Messia Gesù. La ragione è certamente perentoria, ma solo per mostrare la povertà d’argomenti dei critici radicali. In primo luogo si può ricordare loro ad personam che la resurrezione di Gesù è narrata concordemente dai Sinottici e da Giovanni, ma ciò non è per essi un motivo sufficiente per accettarla come fatto storico. Inoltre, la ragione addotta è un argomento a silentio; il quale, se è debolissimo sempre, è assolutamente nullo nel caso nostro. Noi sappiamo infatti che San Giovanni ha voluto appunto supplire e integrare, in piccola parte, quanto era già stato narrato dai precedenti Sinottici (§163 segg.), e questo di Lazaro è precisamente uno di tali casi. D’altra parte i Sinottici, non soltanto sono lontanissimi dalla pretesa di raccontare tutti i fatti o miracoli di Gesù, ma essi stessi ci offrono la prova di averne tralasciati moltissimi: già vedemmo, infatti, come i Sinottici riportino le parole di Gesù secondo cui egli aveva operato molti portenti anche a Chorozain, ma neppure uno di questi fatti di Chorozain è narrato dai Sinottici o da Giovanni (§ 412). Quanto alla ragione per cui i Sinottici omisero questa narrazione, è aperto il campo alle congetture: una molto verosimile è che non volessero esporre Lazaro e le sorelle alle rappresaglie degli ostili Giudei tuttora spadroneggianti a Gerusalemme, dal momento che il Sinedrio aveva già pensato di uccidere Lazaro come testimonio incomodo (§ 503); più tardi invece, quando scrisse San Giovanni, questo silenzio prudenziale non aveva più ragione di essere, perché Gerusalemme era ridotta a un cumulo di rovine. D’una serenità olimpica è la spiegazione che il Renan fornì della resurrezione di Lazzaro. Veramente questa è la seconda spiegazione, giacché la prima che supponeva una sincope passeggera di Lazaro e un trucco accordato tra lui e le sorelle (§ 207) non lo aveva lasciato pienamente soddisfatto; e allora, senza abbandonarla del tutto, di rincalzo egli vi aggiunge questa spiegazione definitiva. Un bel giorno i discepoli chiedono a Gesù che compia un miracolo per convincere i cittadini di Gerusalemme; Gesù risponde sfiduciato che quelli non crederebbero neppure se Lazaro risuscitasse, intendendo il Lazaro già nominato nella parabola del ricco epulone (§ 472). Bastò questa risposta, perché più tardi i discepoli parlassero senz’altro di una vera e reale resurrezione di Lazaro. E così il miracolo è bell’e fatto. Ora, certamente tutti quanti, dotti e indotti, ammetteranno che siffatta spiegazione è opportunissima per procurare un minuto di ilarità cordiale; ma tutti anche, dopo le risate, si domanderanno se una biografia di Gesù era il luogo più adatto per tirare fuori simile pulcinellate.

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Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.