Stimati Associati e gentili Sostenitori, non è nostra abitudine occuparci di attualità, tuttavia consentiteci una breve riflessione su quanto sta accadendo in questi giorni in Italia. Un numeroso gruppo di intellettuali ed attivisti “pro life” - come si fanno chiamare - è riunito in un consesso laicista (qui le condanne della Chiesa) ed ecumenico (qui le condanne della Chiesa) a Verona per discutere di famiglia, matrimonio, prole ed altre tematiche cardine della società. Ebbene, in conseguenza di ciò, gli abituali paladini (ad intermittenza) della “libertà di espressione” e (sempre ad intermittenza) acerrimi nemici della censura - fra i quali volti noti della tv e della moderna politica - hanno iniziato quella consueta campagna d’odio, di censura e di boicottaggio ai danni dei partecipanti al suddetto evento e di chi con loro coopera (es. albergatori, ristoratori, ecc...). Da che parte stare? Con nessuna delle due.
Il “Congresso di Verona”, difatti, ostenta la laicità, il compromesso ed il pensiero ecumenico; mentre i paladini della “democrazia” e della “libertà di espressione” - i cosiddetti “progressisti” - presentano le solite istanze intrinsecamente incompatibili con l’ordine di Dio, con la fede cristiana e, dunque, con la natura stessa. Per approfondimenti dogmatico-morali e per eventuali chiarimenti rimandiamo alla nostra corposa sezione dedicata alla Teologia politica. È evidente, perciò, che ambo gli schieramenti si palesano «mandatari, più o meno consapevoli, di quell’insidiosissimo nemico, che sempre si adopera a seminare zizzania in mezzo al frumento» (La Casti Connubii di Papa Pio XI condanna esplicitamente gli uni e gli altri con la seguente sentenza: «(Taluni lo fanno integralmente ed apertamente), poi vi sono taluni che, sforzandosi di arrestarsi come a mezzo della china, vorrebbero far qualche concessione ai tempi nostri, solamente su alcuni precetti della legge divina e naturale. Ma questi non sono altro che mandatari, consapevoli più o meno, di quell’insidiosissimo nemico che sempre si adopera a soprasseminare zizzania in mezzo al frumento. Noi pertanto, che il Padre di famiglia ha posto a custodia del proprio campo, e perciò siamo tenuti dall’obbligo sacrosanto a vigilare che il buon seme non sia soffocato dalle male erbe, stimiamo a Noi rivolte dallo Spirito Santo quelle gravissime parole, con le quali l’Apostolo Paolo esortava il suo diletto Timoteo: Ma tu, veglia, adempi il tuo ministero … predica la parola, insisti a tempo, fuori di tempo: riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina»).
Per chi simpatizzare? Umanamente è probabile per i primi, mai per i secondi. Ciò premesso, assodato; 1) che in questa sede nessuno pretende di dettare il programma a casa di altri, né ha velleità politiche o mediatiche; 2) che «(le Leggi di Dio) non possono andar soggette ad alcun giudizio umano e ad alcuna contraria convenzione» (ivi.); 3) ben sapendo che non può esistere alcun compromesso con «i fautori di queste nuove (funeste) massime (che) giungono a tutte le ultime conseguenze della sfrenata libidine» (ivi.); adesso spendiamo due parole sull’aborto. Alcuni partecipanti al “forum di Verona” si sono dichiarati - «personalmente, ma non è tema del forum», sic! - favorevoli all’abolizione della “legge 194”, odiosa misura che pretende legalizzare l’aborto in Italia. Le ire dei liberali e dei progressisti (due facce della stessa medaglia) non sono tardate: «Si tratta di un ritorno al Medioevo ... i diritti delle donne non si toccano ... sarebbe un imperdonabile ritorno all’oscuro passato ... è una misura illiberale ... le donne sono in pericolo ... eccetera». Ma che cos’è l’aborto? È possibile essere cattolici e, nel contempo, non essere disposti ad usare qualsiasi mezzo lecito pur di abrogare la “legge 194”? Si tratta di una misura iniqua, contro la vita, che mina l’ordine sociale, che va abrogata ad ogni costo. Come vanno abrogate altre misure parimenti inique - «(contrarie) alla Sacra Scrittura, (al)la costante ed universale tradizione della Chiesa; (al)la solenne definizione del Concilio Tridentino ... eccetera ...» (ivi.) - quali le cosiddette “unioni civili”, il “divorzio”, e tutte quelle pretese leggi contro la Legge naturale, eterna ed il Diritto divino positivo. Allora, quale pragmatico compromesso, «(quali) concessioni quanto (ai) precetti della Legge divina e naturale»? Nessun compromesso e nessuna concessione: questo ci comanda Dio, questa è la fede dei Martiri.
• L’aborto è l’uccisione del nascituro. È l’espulsione del prodotto del concepimento nel periodo in cui esso non può vivere fuori dell’utero materno. L’aborto si distingue dalle altre odiose pratiche chiamate “anticoncezionali”, poiché queste ultime tendono ad impedire la fecondazione e non ad uccidere il concepito. L’aborto diretto, ossia voluto e realizzato mediante l’uso di mezzi per se stessi tendenti a procurarlo, è sempre omicidio, poiché sopprime una vera persona umana innocente, la quale, essendo valore-fine (= assoluto), non può essere subordinata a nessun altro scopo, anche per se stesso ottimo. La Chiesa ha sempre condannato l’aborto come vero omicidio (v. Denzinger, aborto - cfr. Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, 1992, pag. 3-4). Facciamo presente che, dove diciamo «la Chiesa ...», non intendiamo assolutamente i modernisti che massicciamente occupano la Chiesa da più di mezzo secolo (qui approfondimenti). Più avanti, nel prossimo articolo, Papa Pio XII ci fornirà un corposo approfondimento dogmatico, morale e pratico (useremo il suo Discorso alle ostetriche del 1951).
• Conclude Papa Pio XI nella preziosa Casti Connubii - Enciclica dogmatico-morale sulla vita e sul matrimonio cristiano: «A coloro (...) che tengono il supremo governo delle Nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell’autorità pubblica di difendere con opportune leggi e con la sanzione di pene la vita degli innocenti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno valgono a difendersi coloro la cui vita è in pericolo, e alla quale si attenta; e fra essi, certo, sono da annoverare anzitutto i bambini nascosti ancora nel seno materno. Se i pubblici governanti non solo non prendono la difesa di quelle creature, ma anzi con leggi e con pubblici decreti le lasciano, o piuttosto le mettono in mano dei medici o d’altri, perché le uccidano, si rammentino che Dio è giudice e vindice del sangue innocente, il quale dalla terra grida verso il cielo». Piaccia o non piaccia, questa è la nostra fede, questo è l’ordine di Dio, questa è la regola della nostra vita: indifferenti a qualsiasi rispetto umano, limpidamente la esponiamo, la rivendichiamo e la difendiamo, contro ogni assalto diretto o indiretto, aggressivo o mitigato!
• Veniamo, adesso, all’abituale docenza dell’Abate Ricciotti sulla «Vita di Gesù Cristo» e sulla Sacra Scrittura: «Guarigione di un indemoniato e calunnie dei Farisei. Più beati della Madre di Gesù. Il segno di Giona». § 444. Alle istruzioni sulla preghiera San Luca fa seguire la guarigione di un indemoniato muto (Luca, 11, 14 segg.). La stessa narrazione si ritrova in San Matteo (12, 22 segg.), ove però l’indemoniato è anche cieco oltreché muto (cfr. S. Agostino, De cons. evangelist., II 37 - lo citiamo «Matteo prosegue: Allora gli fu presentato un ossesso, cieco e muto; ed egli lo guarì sì che poteva parlare e vedere. Questo episodio lo riferisce anche Luca, non però nello stesso ordine ma dopo molti altri avvenimenti e affermando che egli era muto, non però cieco. Non mi sembra - dice Sant’Agostino - tuttavia logico ritenere che egli, sebbene passi sotto silenzio alcuni particolari, parli di un altro individuo. Nel riferire infatti gli avvenimenti successivi si ricollega a quanto narrato anche da Matteo»); inoltre la discussione con i Farisei, che seguì alla guarigione, si ritrova in Marco (3, 22 segg.), ov’è collocata in mezzo alla visita dei parenti di Gesù (§ 345). La collocazione di Luca, che mette guarigione e discussione durante questa permanenza nella Giudea è da preferirsi a quella degli altri due Sinottici che l’anticipano. Gesù dunque, a cui era stato presentato un indemoniato muto (oltreché cieco), lo guarì pubblicamente. Al fatto si trovarono presenti alcuni Scribi giunti da Gerusalemme e alcuni Farisei, i quali non negarono la guarigione ma la spiegarono affermando che Gesù comandava ai demonii perché egli stesso se la intendeva col principe dei demonii Beelzebul, e con l’autorità di costui agiva. Il nome di questo principe era stato anticamente Ba῾al zebūb, “Baal (dio) delle mosche”, e aveva designato una divinità filistea di Accaron (cfr. II[IV] Re, 1, 2 segg.); più tardi, invece, designò l’oggetto dell’idolatria in genere, e allora il nome con leggiera mutazione fu cambiato in Ba῾al zebūl, “Baal del letame”, per allusione dispregiativa agli idoli ed alloro culto. Gesù, pertanto, sarebbe stato in amichevoli relazioni con questo principe. All’ingiuria degli Scribi e dei Farisei Gesù rispose nella maniera meno gradita ad essi, cioè invitandoli ad un sereno ragionamento. Riferendosi pertanto all’angelologia del giudaismo contemporaneo (§ 78), Gesù fece osservare che il regno di Satana era un regno gerarchicamente costituito e ben compatto, mentre se fosse stato diviso in se stesso sarebbe caduto in rovina. «Come dunque voi, Scribi e Farisei, potete affermare che io scaccio Satana nel nome di Satana? In tal caso il suo regno sarebbe diviso e cadrebbe in rovina. Del resto anche voi, Scribi e Farisei, avete i vostri esorcisti; ebbene, domandate ad essi se è possibile scacciare Satana in nome di Satana, ed essi vi giudicheranno nella vostra calunnia contro di me. Se poi scaccio i demonii nel nome di Dio, e li scaccio io personalmente con tanta facilità e li fo anche scacciare dai miei discepoli, tutto ciò dimostra che qualcosa di straordinario si compie in mezzo a voi, cioè che è giunto su voi il regno d’Iddio. Ma voi non vedete tutto ciò perché non volete vedere, e davanti al fulgore della luce chiudete ostinatamente gli occhi; il che significa peccare direttamente contro lo Spirito santo fonte di luce per voi, significa sbarrare le strade di salvezza appianatevi da Dio e frustrare i suoi disegni. Badate però che ogni peccato e bestemmia sarà rimessa agli uomini, ma la bestemmia dello Spirito non sarà rimessa; e chi dica parola contro il figlio dell’uomo gli sarà rimessa, ma chi (la) dica contro lo Spirito santo non gli sarà rimessa né in questo secolo né in quello venturo». Rimane in oscurità eterna chi non vuole disserrare gli occhi dell’anima alla luce dello Spirito; e non basta disserrarli momentaneamente ma è necessario tenerli sempre aperti, perché Satana espulso una volta torna all’assalto del suo antico dominio.
• § 445. A questa discussione erano presenti anche persone favorevoli a Gesù; ed ecco d’in mezzo ad esse levarsi una voce di donna che grida a Gesù: «Beato il ventre che ti portò, e le mammelle che succhiasti!». La felicitazione, squisitamente femminile, è riportata dal solo Luca (§ 144). Gesù accolse la felicitazione, ma nello stesso tempo la sublimò rispondendo: «Ancor più beati quelli che ascoltano la parola d’Iddio e (la) custodiscono». Una risposta sostanzialmente eguale Gesù aveva già data a coloro che gli annunziavano esser giunti i suoi parenti e sua madre per parlargli (§ 345).
• § 446 E la discussione, dopo il grido della donna, riprese. Alcuni Scribi e Farisei, mostrando quasi una certa condiscendenza, si dichiararono disposti a riconoscere la missione di Gesù: ma naturalmente ci volevano le prove, i «segni», e questi non potevano essere i miracoli operati fino allora da Gesù; ci voleva invece un «segno» di tipo rabbinico, di quelli fatti a tempo e luogo prestabiliti, quasi a tocco di bacchetta magica, e meglio ancora se fosse stato un «segno» meteorologico calato dal cielo. Era in sostanza la richiesta fatta poco prima a Gesù da altri Farisei (§ 392). Anche questa volta la richiesta è respinta da Gesù, il quale però aggiunge talune dichiarazioni: «Una generazione perversa e adultera ricerca un segno, e un segno non le sarà dato se non il segno di Giova il profeta. Poiché, come Giona era nel ventre del cetaceo tre giorni e tre notti, cosi sarà il figlio dell’uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti». L’espressione «giorno e notte» designava nell’uso rabbinico il complesso di 24 ore, fosse questo complesso intero o soltanto frazionario; perciò qui Gesù annunzia che il figlio dell’uomo sarà nel cuor della terra durante tre complessi di 24 ore, interi o frazionari; e poi ne risalirà fuori come Giona dal suo cetaceo. Dal momento che i Farisei respingono gli altri segni e ne richiedono uno con particolari condizioni, accolgano questo segno di Giona che risponde in gran parte alle loro condizioni: esso infatti avverrà a tempo prestabilito, cioè alla morte del figlio dell’uomo; se non calerà dal cielo aperto ove dimorano gli angeli potenti, sorgerà in compenso dall’abisso chiuso ove dimorano i morti impotenti (§ 79); infine, non rappresenterà un puntiglio di potenza personale perché il figlio dell’uomo avrà cessato allora le sue presenti contese e si troverà nel cuor della terra, ma in compenso il segno rappresenterà il trionfo di un’idea come il fatto di Giona rappresentò il trionfo della «penitenza» presso gli abitanti di Ninive. «Uomini Niniviti sorgeranno nel (giorno del) giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché fecero penitenza alla predicazione di Giona: ed ecco, più che Giona è qui». Lo stesso farà in quel giorno la regina di Saba, venuta dalle estremità della terra ad ammirare la sapienza di Salomone (I [III] Re, 10, 1 segg.): «ed ecco, più che Salomone è qui». L’allusione al triplice «giorno e notte» da passare nel cuore della terra fu capita bene dai Farisei. Appena morto Gesù, essi correranno da Pilato raccomandandosi che provveda in tempo, giacché essi in quell’occasione si ricordano che quell’imbroglione (cioè Gesù) disse, essendo ancora vivo: «Dopo tre giorni risorgo» (§ 619). Cosicché anche il segno di Giona, rispondente in gran parte alle condizioni da loro poste, verrà da loro respinto: essi si raccomanderanno a Pilato per paura che il nuovo Giona risalga dal cuor della terra, per paura che la loro cecità sia illuminata, e per paura che essi non possano ancora bestemmiare lo Spirito santo.
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.