Comunicato numero 112. San Giovanni Battista e Gesù

Stimati Associati e gentili Sostenitori, le seguenti preghiere che oggi abbiamo pubblicato e condiviso sono del compianto dom Prosper Guéranger: - Preghiera a San Gregorio di Nazianzo; - Preghiera a San Stanislao, Vescovo e Martire; - Preghiera a San Giovanni alla Porta Latina. Preghiamo per l’anima di questo grande, indimenticabile e prezioso liturgista. Il Ricciotti finalmente inizia a parlarci della vita pubblica di Gesù. Oggi studieremo: «Giovanni il Battista e il Battesimo di Gesù».  Il libro che andiamo ad usare è  «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti: riposi in pace!

• § 265. La narrazione di Luca è stata fin qui ripartita parallelamente fra Giovanni il Battista e Gesù; l’Evangelista ha terminato lasciandoli ambedue ragazzi, l’uno nel deserto e l’altro a Nazareth, e si è congedato da loro col dire sia dell’uno che dell’altro che crescevano e s’afforzavano (§ § 237, 260). Trascorso questo trentennio di penombra, Giovanni compare in pubblico e poco dopo gli tiene dietro Gesù, quasi per riprodurre la breve distanza di tempo che ha separato le loro nascite; precursore o battistrada è stato preannunziato Giovanni, e tale deve egli essere molto più per l’operosità pubblica che per la silenziosa nascita. Con la comparsa di Giovanni cominciava l’argomento ordinario della primitiva catechesi cristiana (§ 113); perciò in questo nuovo periodo della narrazione s’affiancano a Luca tutti gli altri Evangelisti, compresi il brevissimo Marco e il non sinottico Giovanni. Nella sua lunga permanenza in luoghi deserti Giovanni aveva menato vita solitaria ed austera; se egli comparve in pubblico vestito di peli di cammello con una cintura di pelle intorno ai suoi fianchi, e mangiando locuste e miele selvatico (Marco, 1, 6), questo tenore di vita era certamente quello da lui già seguito nei suoi lunghi anni di solitudine. Del resto, cibo e vestito di quel genere erano abituali a chi menava allora vita eremitica per un principio ascetico, come ancora oggi i beduini palestinesi intessono ordinariamente i loro mantelli di peli di cammello e in mancanza di meglio mangiano locuste, mettendole talvolta anche in serbo dopo averle seccate. Circa 25 anni dopo la comparsa di Giovanni, Flavio Giuseppe per un ideale ascetico rimase tre anni presso un solitario di nome Bano o Banno, il quale viveva nel deserto, servendosi di vestimento (fornito) da alberi e nutrendosi di cibarie nate spontaneamente (Vita, 11). Eremiti di questo genere non dovevano essere molto rari, specialmente nella solitudine ad oriente di Gerusalemme e lungo il Giordano; nulla tuttavia c’induce a ritenere che fossero affiliati agli Esseni, ché anzi la vita cenobitica ch’era di prescrizione per gli Esseni (§ 44) escluderebbe di per se stessa la vita eremitica di questi solitari. Quando giunse l’anno decimoquinto di Tiberio (§175), la parola di Dio fu su Giovanni figlio di Zacharia nel deserto (Luca, 3, 2). Comincia la sua missione di preparare la strada all’imminente Messia, ed egli inizia questa missione proclamando: Pentitevi, poiché si e’ avvicinato il regno dei cieli! (Marco, 3, 2). Dopo questo annunzio generico, egli scende al particolare: in primo luogo esige da coloro che accorrono a lui due riti, cioè una lavanda materiale e inoltre l’aperta confessione dei peccati commessi; in secondo luogo, scorgendo fra coloro che accorrono molti Farisei e Sadducei, li accoglie con queste parole: Razza di vipere! Chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente? Fate, dunque, frutto degno della penitenza! E non crediate di dire dentro di voi:”Per padre abbiamo Abramo”; giacché vi dico che iddio può da queste pietre suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi: dunque, ogni albero che non fa frutto è tagliato via e gettato nel fuoco (Matteo, 3, 7-10).

• § 266. Predicatori di tipo messianico ce ne furono molti, prima e dopo Giovanni, ma tutti d’altra indole. Subito dopo la morte di Erode il Grande si erano fatti avanti dapprima in Perea un Simone, che aveva dato fuoco alla reggia di Gerico e si era proclamato re; poi in Giudea un pastore di nome Athronges, che aveva impiantato un regolare governo; quindi in Galilea un Giuda figlio d’Ezechia, che si era impadronito per prima cosa del deposito d’armi a Sefforis; in seguito venne Giuda il Galileo, che iniziò la corrente degli Zeloti (§ 43); più tardi ancora vennero Teuda, e il predicatore egiziano, e gli altri accennati da Flavio Giuseppe, e certamente anche altri più numerosi sebbene non menzionati distintamente. Ma costoro seguivano altri metodi: tutti indistintamente affermavano che i figli d’Abramo erano il primo popolo della terra, e per assicurare loro l’effettiva supremazia politica mettevano mano alle armi; molti si presentavano come re effettivi; altri asserivano di far miracoli, o almeno li promettevano; qualcuno faceva man bassa sulle proprietà altrui ed esponeva la vita altrui, ben di rado la propria: assolutamente nessuno pensava a rendere i suoi seguaci moralmente migliori. Giovanni batteva la strada precisamente opposta. Affermava che figli d’Abramo potevano saltare su anche dalle pietre; non prometteva dominii e supremazie; non toccava né invocava armi; non s’occupava di politica; non faceva miracoli; era povero e nudo: ma in compenso tutta la sua predicazione si riassumeva in un ammonimento morale: È imminente il regno di Dio, perciò cambiate maniera di pensare! Infatti, la prima parola del suo proclama, Pentitevi!... significava appunto questo: Cambiate maniera di pensare! In greco è cambiate di mente; in ebraico si usava il verbo shub, che significa ritornare addietro da una falsa strada per rimettersi su quella buona: ma in ambedue le lingue il significato concettuale è il medesimo, quello di operare una trasformazione totale nell’interno dell’uomo. Ora, poiché un profondo sentimento interno si manifesta spontaneamente anche all’esterno, e un atto materiale esterno può essere una raffigurazione dimostrativa dell’atto spirituale interno: perciò Giovanni, a coloro che «cambiavano maniera di pensare», richiedeva come manifestazione esterna di questo cambiamento che confessassero i peccati commessi, e come raffigurazione dimostrativa che ricevessero una lavanda materiale.

• § 267. Già in altre religioni antiche il pubblico riconoscimento delle proprie colpe e l’abluzione corporale facevano parte di riti speciali, per la semplice ragione che il primo corrisponde ad una naturale inclinazione dell’animo umano allorché comprenda d’aver agito male, e la seconda è il simbolo più spontaneo e più facile della mondezza spirituale. Lo stesso giudaismo praticava i due riti in varie occasioni: ad esempio, nel giorno dell’Espiazione o Kippur (§77), il sommo sacerdote li praticava ambedue insieme, giacché confessava le colpe di tutto il popolo (Levitico, 16, 21) e compiva su di sé una particolare abluzione (IVI, 16, 24). Giovanni, dunque, non usciva dal gran quadro del giudaismo; ma la sua novità consisteva in questo, che i suoi due riti erano chiesti come preparazione al regno di Dio da lui annunziato ormai come imminente. Era dunque un regno che mirava soprattutto allo spirito come appunto vi miravano quei due riti, e un regno che differiva totalmente da quelli annunziati dagli altri predicatori messianici. Costoro badavano soltanto a denaro, ad armi, ad angeli che calassero dal cielo con le spade in pugno a sbaragliare i Romani, a dominio politico d’Israele sui pagani, e a simili cose molto facili e molto vecchie; al contrario, il regno annunziato da Giovanni era molto difficile e molto nuovo. Se non era del tutto nuovo l’insegnamento di Giovanni, ciò avveniva perché esso si ricollegava direttamente con l’antico insegnamento degli autentici profeti d’Israele; già essi avevano insistito molto più sulle opere di giustizia che sulle cerimonie liturgiche (Isaia, 1, 11 segg.), molto più sulla circoncisione del cuore e dell’udito che su quella della carne (Geremia, 4, 4; 6, 10), inoltrandosi molto più sulla strada dello spirito che su quella delle formalità rituali: e precisamente su quella strada dello spirito, troppo abbandonata dal giudaismo contemporaneo, adesso s’inoltrava nuovamente Giovanni. Gli antichi vessilli d’Israele, i profeti, erano scomparsi da molto tempo; già da qualche secolo era risonato il lamento: I nostri vessilli più non vediamo; non c’è più profeta, non c’è fra noi chi sappia alcunché (Salmo 74 ebr., 9). Adesso si levava su Giovanni, come ultimo e conclusivo profeta. Dirà infatti più tardi Gesù: La legge e i Profeti, fino a Giovanni; da allora del regno d’Iddio si dà la buona novella (Luca, 16, 16).

• § 268. Alla predicazione di Giovanni accorsero moltissimi dalla Giudea e da Gerusalemme; anche Flavio Giuseppe conferma la grande autorità ch’egli acquistò sulle folle (Antichità giud., XVIII, 116-119). I suoi discepoli diretti e stabili menavano vita assai austera (Luca, 5, 33), ma verso l’altra gente che accorreva egli si mostrava molto condiscendente e remissivo: né ai pubblicani né ai soldati imponeva d’abbandonare il loro mestiere, ma si limitava a comandare ai primi di non commettere estorsioni e ai secondi di non commettere violenze. Questo atteggiamento così mite d’un uomo così austero spiacque a quei Farisei e Sadducei che accorsero insieme con la folla, e che perciò s’attirarono da Giovanni la non mite invettiva riportata sopra (§ 265); ma alla loro volta essi, specialmente i Farisei e gli Scribi, si vendicarono più tardi richiamando in dubbio o negando apertamente la legittimità della missione di Giovanni (Luca, 7, 29-30; cfr. 20, 1-8). Nonostante questi ostacoli, la corrente iniziata da Giovanni fu potentissima. Molti discepoli di Giovanni seguirono più tardi Gesù, e di costoro conosciamo nominatamente Andrea e Pietro, Giacomo e Giovanni; altri invece rimasero attaccati alla persona del precursore, più che allo spirito del suo insegnamento, e si mantennero appartati sulla soglia del cristianesimo anche dopo la morte di Giovanni e di Gesù (cfr. Atti, 18, 25; 19, 3-4): non mancarono poi manifestazioni di gelosia da parte di taluni discepoli di Giovanni verso Gesù, mentre ambedue erano ancora in vita (Giovanni, 3, 26).

• § 269. Giovanni s’intratteneva per lo più lungo il Giordano, in quel tratto di fiume ch’è più accessibile a chi venga da Gerusalemme, cioè poco sopra al suo sbocco nel Mar Morto ivi era comodità di praticare la cerimonia dell’abluzione nell’acqua del fiume. Tuttavia alcune volte si trasferiva altrove, probabilmente quando per abbondanti piogge le rive del fiume erano sdrucciolevoli e fangose o la corrente era pericolosa; sceglieva allora altri luoghi forniti d’acqua, di cui sono nominati occasionalmente due, Bethania di là dal Giordano che era appunto un’ampia e tranquilla insenatura fatta dal fiume (§ 162), e Ainon presso Salim che è stato riconosciuto in un luogo 12 chilometri a sud di Beisan (Scitopoli) fin dal IV secolo (Eusebio, Onomasticon, pag. 40). Frattanto le folle che accorrevano a Giovanni crescevano, e tra loro aveva anche cominciato a circolare la domanda se non fosse proprio egli il Messia tanto atteso: la profonda differenza morale tra lui e gli altri banditori del regno messianico aveva impressionato tutti. Ma Giovanni tagliò corto a quella dubbiosa speranza con una dichiarazione ben netta e precisa. No, egli non era il grande venturo; egli praticava l’immersione - il greco «battesimo» - soltanto in acqua, ma dietro a lui sarebbe venuto uno ben più potente di lui che avrebbe praticato l’immersione in Spirito santo e fuoco. Questo venturo sarebbe stato anche un vagliatore: col ventilabro alla mano avrebbe egli mondato la sua aia, separando e raccogliendo il grano nel suo granaio, e gettando invece la pula nel fuoco. Parole rivoluzionarie, queste, all’orecchio degli Scribi e dei Farisei. L’aia, evidentemente, era l’eletta nazione d’Israele; ma chi era il grano e chi la pula? Se il buon grano erano i discepoli dei rabbini osservanti delle «tradizioni» e la pula erano tutti gli altri, s’andava d’accordo con Giovanni; ma quel singolare predicatore dava ben poche garanzie di pensare così, non foss’altro per la benignità stessa con cui trattava i pubblicani e i soldati, che invece dovevano essere respinti come appartenenti al sozzo e impuro «popolo della terra» (§ 40). Basta: non rimaneva che aspettare quel grande venturo preannunziato da Giovanni, e frattanto vigilare su questo suo precursore.

• § 270. Un giorno, insieme con la folla, si presentò anche Gesù; veniva da Nazareth, certamente insieme con altri Galilei perché anche in Galilea si doveva esser diffusa la fama di Giovanni e l’entusiasmo per lui. Era mescolato fra gli altri penitenti, uno fra i tanti: nessuno lo conosceva, neppure Giovanni suo parente. Più tardi, riferendosi a questo giorno del primo incontro, Giovanni attestò di Gesù: Io non lo conoscevo; ma Chi m’inviò a battezzare in acqua, Colui mi disse:”Su chi tu veda lo Spirito discendente e fermantesi su lui, egli è il battezzante in Spirito santo” (Giovanni, 1, 33). Questa ignoranza per la persona di Gesù non sorprenderà chi abbia presenti le vicende di Giovanni: già da ragazzo egli si era allontanato dalla casa paterna per darsi al deserto (§ 237), e nulla ci dice ch’egli sia rientrato talvolta tra i suoi familiari nel ventennio circa di sua solitudine. Nel frattempo i suoi già vecchi genitori dovevano esser morti ambedue, ma ambedue e specialmente la madre gli erano spiritualrnente presenti anche nella solitudine. Per qual ragione, del resto, si era egli ritirato nel deserto, se non per le straordinarie cose che gli avevano narrato della sua nascita i genitori e specialmente la madre? Egli era un uomo che aveva avuto fede, e viveva totalmente della sua fede. Perciò anche non si era curato di conoscere materialmente quel misterioso figlio di Maria nato sei mesi dopo di lui; lo conosceva frattanto spiritualmente, e per il resto aveva fede che a suo tempo Iddio glielo avrebbe fatto conoscere anche materialmente. Ma un certo presentimento l’aveva; quando scorse Gesù tra la folla che si preparava al battesimo, la voce dello Spirito e anche quella del sangue gli fecero divinare, in quell’uno fra i tanti, il Messia e il suo parente, sebbene ancora non avesse visto su lui il segno prestabilito (Matteo, 3, 14-15). Vinta la prudente riluttanza di Giovanni, Gesù fu da lui battezzato, e allora la divinazione si tramutò in certezza. Avvenne infatti il segno di riconoscimento. Gesù in apparenza di penitente, ma senza confessare alcun peccato, era sceso in acqua: ed ecco che quando ne risalì, s’aprì il cielo al di sopra, lo Spirito in forma di colomba discese su lui e si udì dall’alto una voce: Tu sei il figlio mio diletto; in te mi compiacqui (Marco, 1, 11). La manifestazione celeste fa ripensare all’altra sulla grotta di Bethlehem (§ 247): il Messia là iniziava la sua vita fisica, qua il suo ministero; là è dato un annunzio a pecorai, qua è dato un segno al precursore innocente e un annunzio a peccatori pentiti. Ma, come avvenne per l’annunzio di Beth-lehem, anche questo delle rive del Giordano ebbe un’efficacia assai limitata quanto al tempo e quanto al numero dei destinatari. Pochi mesi appresso, due discepoli di Giovanni verranno inviati dal loro stesso maestro a domandare a Gesù se egli era proprio l’atteso Messia (§ 339). Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.