Stimati Associati e gentili Sostenitori, nel giorno in cui l’innocente Alfie Evans, avendo ricevuto il Battesimo della Chiesa Cattolica, è passato alla gloria eterna, ci è sembrata cosa opportuna proporre allo studio «La strage degli innocenti» e «La dimora in Egitto». Il libro che andiamo ad usare è «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti: riposi in pace!
• § 256. Intanto Erode aspettava il ritorno dei Magi. Ma, come i giorni passavano e nessuno compariva, dovette sospettare che il suo piano non era stato abbastanza astuto, e che invece di temere le beffe dei Gerosolimitani e di fare assegnamento sull’inconscia cooperazione dei Magi, avrebbe fatto meglio a spedire con loro quattro dei suoi scherani che lo liberassero subito da ogni apprensione. Quando l’incertezza divenne certezza, l’uomo ritrovò se stesso e, in uno di quegli scoppi d’ira che precedevano abitualmente i suoi ordini di stragi, prese una decisione tipicamente erodiana: inviò l’ordine di uccidere tutti i bambini minori di due anni che si trovavano a Bethlehem e nel territorio da essa dipendente. Nel fissare questo termine di due anni egli si era basato su ciò che gli avevano detto i Magi riguardo al tempo dell’apparizione della stella, e partendo di là aveva fatto i suoi calcoli con molta abbondanza per esser sicuro che questa volta il bambino non gli sfuggisse (§173). E invece il bambino gli sfuggì; perché il neonato di Beth-lehem, anche se non aveva a suo servizio la polizia segreta di Erode, aveva attorno a sé quei cortigiani celestiali che già avevano prestato servizio per la prima volta la notte della sua nascita. Prima che arrivassero gli scherani di Erode, un angelo apparve in sogno a Giuseppe e gli disse «Alzati! Prendi con te il bambino e la madre di lui e fuggi in Egitto, e sta’ là fino a che te lo dica (io); giacché Erode sta per cercare il bambino per farlo perire» (Matteo, 2, 13). L’ordine non ammetteva indugi. In quella notte stessa Giuseppe si mise in viaggio, per la strada opposta a quella di Gerusalemme, alla volta dell’Egitto: questa regione in cui la famiglia di Abramo era diventata nazione, e che lungo i secoli era stata sempre un luogo di scampo per i discendenti di Abramo insediati in Palestina, ricoverava adesso quel «primo e ultimo» fra i discendenti di Abramo. Nel tempo che i tre fuggiaschi, accompagnati forse dal solito asinello, si fermavano a Hebron o a Beersheva per fare qualche provvista onde affrontare il deserto, si stava eseguendo a Beth-lehem l’ordine di Erode. I bambini da due anni in giù vi furono tutti scannati.
• § 257. Quante saranno state le vittime? Partendo da un dato abbastanza verosimile, che cioè Beth-lehem col suo territorio potesse contare poco più di 1000 abitanti, se ne conclude che circa 30 erano i bambini nati ivi ogni anno; quindi, in due anni, erano circa 60. Ma poiché i due sessi a un dipresso si equilibrano per numerosità ed Erode non aveva alcun motivo di far morire le femmine, gli esposti alla sua crudeltà furono soltanto una metà di neonati, cioè i 30 maschi. Tuttavia anche questa cifra probabilmente è troppo elevata, perché la mortalità infantile in Oriente è molto alta e buon numero di neonati non giunge ai due anni. Quindi le vittime saranno state circa da 20 a 25. La bestialissima strage, come già vedemmo (§ 10), è di un valore storico incontestabile accordandosi perfettamente col carattere morale di Erode. Ma anche a Roma, se realmente Augusto ne fu informato come vorrebbe Macrobio nel passo già citato (§ 9), la notizia non dovette fare molta impressione, perché anche a Roma circolavano voci di un fatto simile riguardante Augusto stesso. Narra Svetonio (August., 94) che, pochi mesi prima della nascita di Augusto, avvenne a Roma un portento il quale fu interpretato come preannunzio che stesse per nascere un re al popolo romano; il Senato, composto di tenaci repubblicani, ne fu spaventato, e per scongiurare la sventura d’una monarchia ordinò che nessun bambino nato in quell’anno fosse allevato e cresciuto: tuttavia quelli fra i senatori che avevano la moglie gravida, allentarono in quell’occasione la propria tenacia repubblicana, per il motivo quod ad se quisque spem traheret, e si adoperarono affinché l’ordine del Senato non passasse agli atti. Ora, sul carattere storico di questo episodio si potrà legittimamente dubitare: ma il fatto che a Roma circolasse tale voce raccolta da Svetonio, fa comprendere che se nell’Urbe arrivò la notizia della strage di Beth-lehem sarà stata accolta con sghignazzamenti, quasicché il vecchio monarca avesse ammazzato niente più che una ventina di pulci. La realtà storica è questa: e non si poteva certo pretendere che i Quiriti, per una ventina di piccoli barbari scannati, si commovessero più che per centinaia dei loro propri figli che avevano corso un somigliante pericolo. Pochi mesi dopo la strage di Beth-lehem, l’aguzzino incoronato che l’aveva ordinata, già ridotto da qualche tempo ad un ammasso di carni putrefatte, morì roso alle pudende (Organi genitali esterni, ndR) dai vermi (cfr. Guerra giud., I, 656 segg.). Tuttavia la vera finezza della nemesi storica, più che nella sua morte, si ritrova nella sua sepoltura: essa ebbe luogo all’Herodium dalla cui cima si vedeva il posto della grotta ov’era nato il suo temuto rivale e quello dov’erano stati sepolti i lattanti scannati. L’esser sepolto lì fu la sua vera inferia, non già quella celebratasi con tanta suntuosità e poi descritta con tanta ammirazione da Flavio Giuseppe (Guerra giud., I, 670-678). Oggi, esplorando con lo sguardo dall’alto dell’Herodium, non si scorgono che ruderi e desolazione di morte. Soltanto in direzione di Beth-lehem si vedono segni di vita.
• La dimora in Egitto. § 258. Frattanto i tre fuggiaschi di Beth-lehem s’erano inoltrati nel deserto. Passo passo col loro asinello, studiandosi di seguire le piste carovaniere meno battute, guardandosi ogni tanto addietro per vedere se arrivava gente armata, s’allontanarono sempre più da ogni consorzio umano e ne rimasero separati almeno per una settimana, quanto dovette durare il viaggio. Scendendo giù da Beth-lehem, essi per far più presto seguirono certamente la comoda strada che passava per Hebron e Beersheva; ma ad un certo punto dovettero piegare a destra per ricongiungersi con l’antica strada carovaniera che, rasentando il Mediterraneo, congiungeva la Palestina con l’Egitto. A Beersheva comincia, oggi come allora, la steppa vuota e squallida, ma con suolo ancora compatto; più in giù invece, avvicinandosi ancora al delta del Nilo, s’estende il classico deserto, il «mare di sabbia», ove non si trova né un cespuglio né un filo d’erba né un sasso: nulla, se non sabbia. A sentire i vangeli apocrifi la traversata di questa regione sarebbe stata per i tre fuggiaschi un viaggio trionfale, perché le bestie feroci sarebbero corse ad accucciarsi mansuete ai piedi di Gesù e i palmizi avrebbero abbassato spontanei i loro rami per far cogliere i datteri; ma in realtà il viaggio dovette essere durissimo ed estenuante, soprattutto per la mancanza d’acqua. Nel 55 av. Cr. la stessa traversata era stata fatta dagli ufficiali romani di Gabinio che di viaggi faticosi s’intendevano, e che tuttavia temevano quella traversata più della stessa guerra che li aspettava in Egitto (Plutarco, Antonio, 3); nel 70 dopo Cr. fu fatta in senso inverso dall’esercito di Tito, che saliva dall’Egitto per espugnare Gerusalemme, ma con tutta l’assistenza degli accurati servizi militari romani (cfr. Guerra giud., IV, 658-663); un esercito che, in tempi recenti, ha compiuto la traversata è stato quello degli Inglesi che durante la prima guerra mondiale sono risaliti dall’Egitto in Palestina, ma essi oltre al resto stabilivano una permanente conduttura d’acqua man mano che s’avanzavano, portando così l’acqua del Nilo per oltre 150 chilometri fino ad el-Arish, l’antica Rhinocolura. I tre profughi, invece, dovettero trascinarsi faticosamente di giorno sulle sabbie mobili e nell’arsura spossante, passar la notte stesi a terra, e fare assegnamento solo su quel poco d’acqua e di cibo che si portavano appresso: ciò per una buona settimana. Per farsi un’idea di tali traversate l’europeo odierno deve aver passato notti insonni allo scoperto nella desolata Idumea (il Negeb della Bibbia), e di giorno deve aver intravisto attraverso la nebulosità sabbiosa sospesa sul deserto di el-Arish passarsi dappresso un gruppetto di pochi uomini, accompagnati da un asinello carico di provviste o anche di una donna con un bambino al petto, e tutti pensosi e taciturni come per fatale rassegnazione allontanarsi nella solitudine verso un’ignota mèta; chi ha fatto tali esperienze e tali incontri in quel deserto ha visto, più che scene di colore locale, documenti storici riguardanti il viaggio dei tre profughi di Beth-lehem. A Rhinocolura la minaccia di Erode svanì, perché là erano i confini fra il regno di Erode e l’Egitto romano. Da Rhinocolura a Pelusio il viaggio fu, se non meno faticoso, più calmo. A Pelusio, passaggio abituale per chi entrava in Egitto, si ritrovarono esseri umani e comodità di vita, e più che mai in questa occasione l’oro offerto dai Magi dovette apparire provvidenziale e rendere eccellenti servizi. Né del luogo né del tempo della permanenza in Egitto ci sono date notizie da Matteo (molte, come al solito, dagli Apocrifi e da tardive leggende); tuttavia riguardo al tempo possiamo ritenere con sicurezza che fu breve. Se Gesù è nato sullo scorcio dell’anno 748 di Roma (§173), la fuga in Egitto non poté avvenire che dopo qualche mese, cioè dopo i 40 giorni della purificazione di Maria aumentati dell’interstizio fra la purificazione e l’arrivo dei Magi; poiché questo interstizio poté essere sia di qualche settimana sia di qualche mese, convenzionalmente si potrà assegnare la fuga alla primavera o all’estate dell’anno 749. I fuggiaschi pertanto stavano da alcuni mesi in Egitto, quando vi giunse la notizia della morte di Erode avvenuta nel marzo-aprile del 750 (§ 12); e allora nuovamente un angelo apparve in sogno a Giuseppe, ordinandogli di fare ritorno col bambino e la madre nella terra d’Israele (Matteo, 2, 20). Il comando fu eseguito subito, e i profughi tornarono in patria. Fine.
Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.