Comunicato numero 99. I razionalisti e la vita di Gesù (Seconda parte)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, torniamo ad analizzare criticamente alcune «Interpretazioni razionaliste della vita di Gesù» usando la rigorosa «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941 - dell’Abate Giuseppe Ricciotti: riposi in pace.

• § 198. Su quest’ultima via (quella delle interpretazioni fisico-naturali dei miracoli evangelici, ndR) si inoltrò, andando fino in fondo, H. E. G. Paulus, professore ad Heidelberg. Fallito il tentativo di Reimarus di rigettare in massa i fatti miracolosi dei Vangeli, il Paulus li accettò invece integralmente, ma tentò spogliarli dell’elemento soprannaturale mediante una interpretazione naturalistica. Egli cioè distinse nei racconti evangelici il fatto materiale narrato, e il giudizio dato su esso dall’evangelista: il fatto era oggettivamente vero, almeno quanto alla sostanza, mentre il giudizio era falso e doveva essere sostituito. Così, ad esempio, il racconto di Gesù che cammina sulle acque era interpretato come una passeggiata sulla spiaggia, o tutt’al più come un inoltrarsi che Gesù fece nell’acqua profonda solo qualche palmo per avvicinarsi alla barca dei discepoli: la moltiplicazione dei pani era spiegata come dovuta al fatto che Gesù e i discepoli condivisero le cibarie, di cui erano provvisti, con taluni che ne erano sprovvisti, inducendo il resto della turba a fare altrettanto con l’efficacia del loro esempio; le sanazioni di ciechi e di sordi erano dovute a speciali colliri e polveri, di cui Gesù conosceva l’efficacia; la resurrezione di Lazzaro, e quella di Gesù stesso, furono soltanto dei risvegli, perché ambedue non erano veramente morti ma solo in letargo, da cui si riebbero col riposo del sepolcro; e così di seguito. I miracoli di Gesù, insomma, sarebbero stati o atti filantropici, o guarigioni mediche, o effetti provvidenziali del caso, ad ogni modo sempre fatti naturali. Questo metodo, esposto dal Paulus nel suo «Commento ai tre primi Vangeli» (1800-1804) e nel «Manuale esegetico» (1830), e insieme applicato praticamente per la sua «Vita di Gesù» (1828), voleva essere una spiegazione «razionale» dei fatti evangelici. Di qui il nome di «razionalismo» dato al metodo stesso; il cui vero iniziatore però fu il già visto Semler, mentre il Paulus non ne fu che l’ampio divulgatore. (Anche oggi molti studiosi negatori del soprannaturale seguitano ad applicare a questo solo metodo il termine di «razionalismo», mentre sarebbe più esatto quello di «naturalismo» conforme all’indole stessa del metodo; per gli studiosi cattolici, invece, «razionalismo» è più genericamente il metodo che nega il soprannaturale). Notevole è il fatto che il Paulus fu di facile contentatura nella questione dell’origine dei Vangeli, attribuendoli senz’altro agli autori indicati dalla tradizione. Del resto questa sua arrendevolezza si spiega facilmente, giacché a lui premeva aver dei «fatti» sicuramente attestati da autori molto antichi; egli poi avrebbe provveduto a sbarazzarli dagli antichi «giudizi», passandoli alla trafila del suo sistema.

• § 199. Il metodo del Paulus colpì, non già per la sua ingegnosità, ma per la sua ingenuità, e la reazione ad una ingenuità così colossale venne immediatamente. Già nel 1832 lo Schleiermacher dettava quelle lezioni universitarie, da cui fu estratta e pubblicata postuma la sua «Vita di Gesù» (1864) d’indole più filosofica che storica, e che rappresentò un compromesso fra l’ortodossia protestante e la negazione del soprannaturale; in quel tempo stesso, poi, D. F. Strauss stava elaborando un sistema del tutto opposto a quello del Paulus, pur mirando allo stesso scopo di lui, cioè ad eliminare il soprannaturale dai Vangeli. Su questo punto lo Strauss è di una lealtà e di una franchezza singolari, confessando apertamente che se i Vangeli sono fonti totalmente storiche, il meraviglioso non si può sopprimere dalla vita di Gesù, se invece il miracolo e la storia sono fra loro incompatibili, i Vangeli non possono essere più fonti storiche. Ma allo Strauss parve che tentare di sopprimere l’elemento miracoloso dai Vangeli col metodo razionalista-naturalistico del Paulus fosse una sciocca goffaggine, e di quel metodo egli fece in realtà una critica così serrata e sensata che valse per una sentenza di morte; egli quindi credette poterlo sostituire, per ottenere lo stesso risultato, ricorrendo al metodo razionalista-idealistico, cioè alla teoria del «mito» d’ispirazione hegeliana ch’egli applicò nella sua «Vita di Gesù» (Ia edizione, 1835-1836). Secondo lo Strauss, il mito è un puro concetto ideale, espresso però sotto forma d’un fatto storico riferentesi alla vita di Gesù: quindi il valore del mito non è già nel «fatto» narrato, bensì nell’«idea» racchiusa in quel fatto apparente, e velatavi dentro secondo il simbolismo e l’immaginativa degli antichi. Questa teoria del mito non è però applicata illimitatamente, giacché lo Strauss non dubitò affatto dell’esistenza storica di Gesù e dei principali dati della sua biografia: solo che nei Vangeli l’elemento mitico, formatosi sotto l’influenza di idee messianiche dell’Antico Testamento, si trova mescolato con quello storico, ed è ufficio dello studioso critico distinguere i due elementi. Per ottenere questa distinzione le norme fissate dallo Strauss sono specialmente le seguenti. In primo luogo - come era da aspettarsi - è mitico tutto ciò che riveste carattere miracoloso o contrario alle leggi d’evoluzione storica; parimenti mitici sono i fatti presentati come rispondenti ad anteriori concetti religiosi (avveramenti di profezie, di aspettative messianiche, ecc.); risentono pure del mito i passi poetici e quelli oratorii di notevole ampiezza, come anche le narrazioni che mostrano divergenze da altre d’eguale argomento. Applicando queste norme, ed altre secondarie, è chiaro che poco o nulla si salva dei Vangeli come documenti storici della biografia di Gesù: difatti la «Vita di Gesù» dello Strauss porta a risultati quasi totalmente negativi, salvando la generica esistenza storica del personaggio e pochi tratti particolari; per tutto il resto il Gesù dei Vangeli non è un Gesù storico, ma un Cristo ideale, disegnato dalla collettività delle prime generazioni cristiane, che crearono tale figura mitica elaborando inconsciamente e senza una mira predeterminata alcuni pochi dati storici. Quanto alle origini dei Vangeli, lo Strauss non fece particolari ricerche, e accettò in complesso le idee predominanti ai suoi tempi fra i critici protestanti: i tre Sinottici, dei quali il più antico è Matteo, rappresenterebbero una tradizione contraria al IV Vangelo, e quest’ultimo non può essere impiegato come fonte storica della biografia di Gesù. Ma la teoria dello Strauss esigeva per se stessa che si lasciasse, tra la morte di Gesù e la composizione dei Vangeli, un ampio spazio di tempo necessario alla formazione di quei miti, la cui elaborazione è certamente impossibile a compiersi in pochi anni; e lo Strauss, coerentemente, fa scendere la composizione dei Vangeli al secolo II molto inoltrato. Ma egli si decide a ciò, non già per testimonianze storiche o critico-letterarie, bensì solo per esigenze della sua filosofica teoria, giacché onestamente confessa che questa cadrebbe in rovina se i Vangeli fossero stati composti entro il primo secolo. Nelle successive edizioni del suo scritto lo Strauss dapprima temperò alquanto le sue negazioni, poi ritornò sulle sue primitive posizioni. Trent’anni dopo, con la nuova «Vita di Gesù per il popolo tedesco» (1864), fu meno radicale, dipingendo un ritratto del biografato che si avvicinava al tipo di Gesù del protestantesimo liberale.

• § 200. La teoria dello Strauss, pur fra clamorose proteste, fece un’impressione duratura soprattutto per il ricorso al Cristo idealizzato, il quale procedimento non fu più abbandonato in sostanza dalla successiva critica protestante; ma la teoria, esaminata più da vicino nei suoi particolari, apparve subito ispirata troppo a preconcetti filosofici e troppo poco alla realtà storica. Tutto quel lavorìo di incosciente trasformazione mitica da parte delle prime generazioni cristiane era in armonia con quanto lasciano intravedere i più antichi documenti di quelle generazioni? E se i Vangeli sono alla loro volta emanazioni di quelle generazioni, non bisognava in linea preliminare rendersi conto dello stato d’animo di quelle generazioni, per poi passare a giudicare il valore storico dei Vangeli emanati da esse? Non è forse regolare dapprima rendersi conto della Firenze del 1300, e del suo sfondo politico e culturale, e del «dolce stil nuovo», e delle vicende personali dell’Alighieri, e solo dopo ciò passare a intendere e giudicare la «Divina Commedia»? Ora, di tutto questo lavoro preliminare non si era affatto occupato lo Strauss, che si era racchiuso dentro i quattro Vangeli canonici armato solo delle sue teorie filosofiche, e considerandoli quasi avulsi dal mondo spirituale che li ha prodotti. Allo Strauss pertanto si contrappose F. C. Baur, già maestro di lui e fondatore della nuova Scuola di Tubinga (distinta dall’antica, che aveva difeso le posizioni dell’ortodossia protestante contro i Deisti); egli quindi, che già dal 1825 in poi aveva pubblicato studi d’argomento generico filosofico-religioso ispirati alle teorie dello Schleiermacher, specialmente dal 1835 fece oggetto delle sue ricerche le vicende del cristianesimo lungo il secolo I, senza però affrontare in pieno una biografia di Gesù, e ne espose i risultati in numerosi scritti e soprattutto in quello su «Paolo apostolo di Gesù Cristo» (1845). Staccatosi dallo Schleiermacher e divenuto verso il 1830 seguace ardente, non meno che lo Strauss, della filosofia hegeliana, di questa il Baur si servì d’allora in poi per vivificare la storia, la quale - com’egli apertamente confessava - gli rimaneva «eternamente morta e muta» senza la filosofia: da Hegel egli prese il principio del «triplice processo», costituito da tesi-antitesi-sintesi, che applicò rigorosamente alla storia del cristianesimo apostolico. In questo la tesi fu rappresentata dal partito petrino, che metteva capo a Pietro fiancheggiato da Giacomo e Giovanni e che riassumeva la corrente giudaico-cristiana di tipo particolaristico; l’antitesi fu rappresentata dal partito paolino, che metteva capo a Paolo e riassumeva la corrente ellenistico-cristiana di tipo universalistico; dal contrasto fra tesi e antitesi sorse la sintesi, rappresentata dalla Chiesa cattolica, che fu un compromesso conciliativo fra le due tendenze rimastevi ambedue parzialmente assorbite. Il petrinismo insisteva sull’idea giudaica del messianismo e sull’osservanza dei minuziosi precetti della legge giudaica; il paolinismo insisteva sull’universalità della salvezza e sulla fede; la Chiesa cattolica, sotto la pressione dello gnosticismo e delle altre eresie del secolo II, assorbì in sé le due tendenze contemperandole insieme.

• § 201. Non meno della teoria mitica dello Strauss, questa teoria delle «tendenze» aveva bisogno di un ampio periodo di tempo in cui fossero potuti sorgere i contrastanti partiti e gli scritti che li rappresentano; inoltre, poiché fra i più antichi scritti del cristianesimo ve ne sono parecchi che non s’accordavano affatto con la teoria delle «tendenze» bisognava in linea preliminare dare spiegazione anche di questi scritti irriducibili. Il Baur, coerentemente al suo sistema, fece scendere i Vangeli a epoca tardiva, e insieme respinse come non autentici gli scritti irriducibili. Il Vangelo di Matteo sarebbe stato composto non prima dell’anno 130 ed avrebbe per base uno scritto favorevole al partito petrino, cioè il Vangelo degli Ebrei (§ 96), ma ritoccato alquanto a scopo di conciliazione col partito paolino. Il Vangelo di Luca al contrario, che non risalirebbe più in su del 150, avrebbe per base uno scritto del partito paolino, cioè il Vangelo di Marcione (§ 136 fine), ma anche questo ritoccato, naturalmente in senso paolino. Dipendente da questi due, e quindi posteriore ad essi, sarebbe il Vangelo di Marco di tipo neutrale, e che perciò nell’attingere ai due precedenti ha omesso i rispettivi passi tendenziosi. Il IV Vangelo sarebbe di un tempo in cui i contrasti fra le due tendenze erano già sopiti, cioè di circa il 170, e perciò esso può liberamente spaziare in alte speculazioni teologiche. Di spirito conciliativo fra petrinismo e paolinismo sarebbero gli Atti degli Apostoli, composti dopo il 150 (sempre secondo le fantasie di Baur, ndR). Delle quattordici lettere di Paolo sarebbero non autentiche ben dieci, soprattutto per la ragione che in queste non appare il fondamentale contrasto fra petrinismo e paolinismo: le sole autentiche sarebbero Galati, Romani, e le due ai Corinti. La teoria del Baur spostava, propriamente, il campo delle ricerche e proponeva nuovi principii per tali ricerche. Molti studiosi si riunirono attorno al maestro, e per un quindicennio ne applicarono fervorosamente il metodo nei «Theologische Jahrbücher» (1842-1857): in questa schiera si segnalarono specialmente lo Zeller, lo Schwegler, il Köstlin, discepoli personali del Baur, oltre all’Hilgenfeld, Volkmar e molti altri. Non mancò però l’opposizione che fu assai violenta, mossa da più lati del campo protestante, e favorita dalle stesse autorità politiche: tanto che a un certo punto i discepoli, disanimati, cominciarono ad abbandonare il maestro, e, quando nel 1860 il Baur morì, la Scuola di Tubinga era praticamente dispersa.

[Facilmente noteremo che i “nostri” modernisti precipiteranno negli stessi errori, tutti impegnati a piegare le cronache evangeliche ai loro pregiudizi ideologici, nell’intenzione di demolire il Cristo storico, l'istituzione divina della Chiesa e quindi il dogma stesso, ndR]. Prosegue ...

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.