Stimati Associati e gentili Sostenitori, studiamo il quarto dei comandamenti: «Onora il padre e la madre, e vivrai a lungo sulla terra che il Signore Dio tuo ti donerà», usando il semplice Catechismo del Santo Concilio di Trento.
• Natura ed estensione del comandamento. Sebbene dal punto di vista della dignità e della nobiltà del loro oggetto i precedenti comandamenti siano superiori, quelli che ora incontriamo sono così necessari da meritare giustamente di essere trattati subito dopo. Se i primi mirano direttamente al nostro ultimo fine che è Dio, gli altri ci formano all’amore del prossimo, e, sebbene con giro più ampio, ci riconducono anch’essi a Dio, per amore del quale circondiamo di carità il nostro prossimo. Per questo Gesù Cristo definì simili i due precetti dell’amore di Dio e del prossimo (Mt. 22, 39 Mc. 12, 31).
• E' arduo esprimere a parole le ripercussioni benefiche di questa carità del prossimo, che produce frutti abbondanti e squisiti, oltre ad essere segno della pronta obbedienza al primo fondamentale precetto. Dice san Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che egli vede sensibilmente, come potrà amare Dio che non vede» (1 Giov. 4, 20)? Analogamente, se non rispettiamo e non amiamo i genitori, cui dobbiamo secondo Dio tanto ossequio, e ci sono sempre al fianco, quale tributo di onore saremo mai capaci di sciogliere a Dio, sommo e ottimo padre, che sfugge a ogni sensibile percezione? Si capisce dunque la stretta affinità dei due precetti.
• L’ambito di questo comandamento è vastissimo. Oltre a coloro che ci generarono, sono parecchi coloro che dobbiamo rispettare come i genitori, a causa della loro autorità, della loro dignità, per i vantaggi che ci arrecano, o l’eminente officio che occupano. Il precetto inoltre facilita il compito dei genitori e, in genere, di tutti i superiori, chiamati a far sì che quanti vivono sotto il loro potere si uniformino alla Legge divina. Tutti costoro troveranno la loro missione più agevole, se sarà universalmente e praticamente compreso che, per volere di Dio, si deve tributare il più profondo rispetto ai propri genitori. E, per ottenere tale intento, è necessario conoscere la differenza che sussiste fra i precetti della prima e quelli della seconda tavola.
• Differenza dei tre primi precetti dagli altri. Perciò il Parroco spieghi al popolo queste verità, ricordando anzi tutto che i precetti del Decalogo furono incisi su due tavole. Nella prima, come apprendiamo dai Santi Padri, erano contenuti i tre già esposti; gli altri erano scolpiti nella seconda tavola. Tale distribuzione ci fu opportunamente proposta affinché l’ordine stesso materiale servisse a distinguere la natura dei precetti. Tutto ciò infatti che nella sacra Scrittura è comandato o vietato da una legge divina, rientra in uno dei due generi di azioni: secondo che vi è incluso l’amore verso Dio o l’amore verso il prossimo. I primi tre comandamenti suesposti inculcano l’amore verso Dio; gli altri sette abbracciano i rapporti sociali fra gli uomini.
• Si capisce quindi perfettamente la ragione per cui viene fatta la distinzione, e così alcuni comandamenti sono riportati alla prima tavola, gli altri alla seconda. L’argomento soggiacente ai tre primi precetti, di cui abbiamo già parlato, è Dio, vale a dire il sommo bene: per gli altri è il bene del prossimo. Quelli mirano al supremo amore, questi a un amore più vicino; quelli riguardano il fine ultimo, questi i mezzi per raggiungerlo. Inoltre l’amore di Dio poggia su Dio stesso; Dio infatti deve essere amato in grado sommo, per se stesso, non già a causa di altri. Invece l’amore del prossimo scaturisce dall’amore di Dio, e ad esso va rapportato come ad una regola fissa. Amiamo infatti i genitori, obbediamo ai padroni, rispettiamo i superiori, specialmente perché Dio li creò e volle che fossero costituiti in autorità, perché colla loro opera egli regge e tutela l’umana collettività. Dio impone di prestare ossequio a tali persone; e noi lo prestiamo perché esse ricevono da Dio l’investitura della loro dignità: sicché la deferenza verso i genitori, deve rivolgersi più a Dio che agli uomini. A proposito della riverenza dovuta ai superiori, in san Matteo si legge: «Chi accoglie voi, accoglie me» (Mt. 10, 40). E l’Apostolo nella lettera agli Efesini istruendo i servi ammonisce: «O servi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne, temendo e tremando, nella semplicità del vostro cuore, come obbedireste a Gesù Cristo, non adempiendo il vostro dovere per essere visti e bramosi di piacere agli uomini, ma come servi di Gesù Cristo» (Efes. 6, 5).
• Occorre inoltre riflettere che non c’è onore, venerazione, o culto prestato a Dio, che possano dirsi degni, potendo l’amore di Dio essere intensificato all’infinito. È necessario perciò che il nostro amore di Dio divenga di giorno in giorno più ardente. Per suo stesso comando dobbiamo amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le nostre forze. L’amore invece con cui abbracciamo il prossimo, ha limiti ben definiti, poiché Dio comanda di amare i nostri fratelli come noi stessi (Mt. 22, 37 Lc. 10, 27). Chi travalichi questi confini in modo da amare di un uguale amore Dio e il prossimo, commette in realtà gravissima colpa. Dice perciò il Signore: «Se uno viene da me, e non odia il padre, la madre la moglie, i figliuoli, i fratelli, le sorelle, e perfino la sua vita, non può essere mio discepolo» (Lc. 14, 26). Col medesimo spirito è stato pure ingiunto: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc. 9, 60). Così disse Gesù a un tale che mostrò desiderio di volere prima sotterrare il proprio padre e poi seguire il Signore. Più esplicita spiegazione di questa differenza è in san Matteo: «Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me» (Mt. 10, 37). Eppure non può cadere dubbio sul dovere di amare e rispettare profondamente i propri genitori. Ma perché sussista la vera pietà, occorre che il più eminente onore e culto sia tributato a Dio, padre e causa di tutto. Di modo che i genitori mortali devono essere amati in maniera tale che tutta l’intrinseca forza dell’amore sia rivolta al Padre celeste ed eterno; e qualora i comandi paterni siano in contrasto con i comandamenti di Dio, i figli antepongano senza esitazione la volontà divina al volere dei genitori, memori del motto divino: «Occorre obbedire a Dio prima che agli uomini» (Atti 5, 29).
• Il significato della parola «onorare». Proseguendo, il Parroco spiegherà le parole del comandamento e innanzi tutto il significato del vocabolo onorare. Esso significa nutrire verso qualcuno un elevato concetto e fare il massimo conto di tutto ciò che gli appartiene. In tale onore sono conglobati l’amore, l’ossequio, l’obbedienza, la riverenza. A ragion veduta, nella formula del comandamento è inserita la parola onore, anziché quella di amore o di timore, sebbene i genitori debbano pure essere vivamente amati e temuti. Chi ama, infatti, non sempre ossequia e obbedisce; e chi teme, non sempre ama; invece quando si onora qualcuno schiettamente, lo si ama e lo si rispetta.
• Premesso ciò, il Parroco tratterà dei genitori, mostrando chi siano coloro che vanno sotto questo nome. Sebbene la legge alluda prevalentemente a quei genitori da cui abbiamo tratto la vita, tuttavia l’appellativo spetta anche ad altri, contemplati parimente dalla Legge, com’è facile arguire da molti passi scritturali. Oltre ai nostri genitori, compaiono nelle sacre Scritture altre categorie di padri, a ciascuno dei quali è dovuto il debito onore. Innanzi tutto sono chiamati padri i Reggitori, i Pastori, i Sacerdoti della Chiesa, come risulta dall’Apostolo, che scrive ai Corinzi: «Non vi dico ciò per mortificarvi, ma vi ammonisco quali figli diletti. Anche se avete avuto diecimila pedagoghi in Gesù Cristo, non avete avuto molti padri. Io solo vi ho generato in Gesù Cristo, mediante il vangelo» (1 Cor. 4, 14). E nell’Ecclesiastico sta scritto: «Sciogliamo lodi ai personaggi gloriosi, ai nostri padri nella loro generazione» (44, 1). Son detti, in secondo luogo, padri coloro che sono rivestiti di comando, di autorità giudiziaria, di potere, e governano quindi lo Stato. Naaman, per esempio, è chiamato «padre dai servi». Inoltre diamo il nome di padri a coloro, la cui tutela, cura, e saggia probità costituiscono garanzia per altri. Tali appaiono i tutori, i curatori, i pedagoghi, i maestri. Così i figli dei profeti chiamavano padri Elia ed Eliseo. Infine, nominiamo padri i vecchi e gli avanzati in età, a cui pure dobbiamo riverente ossequio. Nelle sue ammonizioni il Parroco insista molto sul dovere di onorare i padri di ogni genere, ma soprattutto coloro che ci han dato la vita. Ad essi allude particolarmente la Legge divina, essendo essi per dir cosi, un’immagine del Dio immortale, e offrendoci il segno della nostra origine. Ne ricevemmo la vita; se ne servi Dio per infonderci lo spirito immortale; ci trassero ai Sacramenti, ci educarono alla religione, alla cultura, alla vita civile, alla integrità santa dei costumi.
• Il Parroco spiegherà in seguito come il termine madre sia qui giustamente menzionato, perché siano da noi apprezzati i benefici e i titoli di merito della madre nostra, ricordando la trepidante cura con cui ci portò nel grembo, e il travaglio penoso con cui ci diede alla luce e ci educò.
• Amore verso i genitori. Il nostro contegno verso i genitori deve essere tale che l’onore loro tributato appaia scaturito dall’amore e dall’intimo sentimento dell’animo. Tutto ciò per stretto dovere di reciprocità, poiché essi nutrono tali sentimenti verso di noi che non rifuggono da nessuna fatica, disagio, e rischio per il nostro bene; e nulla arreca loro più letizia dell’affetto intimo dei figli diletti. Giuseppe, costituito in Egitto in posizione affine a quella del re per dignità e potere, accolse con ogni manifestazione di ossequio il padre venuto in Egitto (Gn. XLVI,29); e Salomone si fece incontro alla madre che sopraggiungeva, ossequiandola e collocandola alla sua destra nel trono reale (3 Re 2, 19). Vi sono altre maniere di manifestare il rispetto dovuto ai genitori. Li onoriamo infatti anche quando imploriamo da Dio che conceda loro prosperità in ogni evento, li faccia rispettati e accetti fra gli uomini, e li renda degni del Suo compiacimento e di quello di tutta la corte celeste.
• Similmente prestiamo ossequio ai genitori, subordinando il nostro parere alla loro volontà e al loro giudizio. Ce ne ammonisce Salomone: «Presta ascolto, figlio mio, all’autorità di tuo padre e non dimenticare i precetti della madre tua; si aggiungerà così grazia al tuo capo, e una collana al tuo collo» (Pr. 1, 8). Fanno eco le esortazioni di san Paolo: «O figli, obbedite nel Signore ai vostri genitori, com’è giusto» (Efes. 6, 1). E altrove: «Figli, obbedite sempre ai vostri genitori, come piace al Signore» (Col. 3, 20). Confermano gli esempi dei santi: Isacco, tratto legato al sacrificio, obbedisce umilmente senza protestare (Gn. 12, 9); i Recabiti, per non trasgredire il consiglio paterno, si astennero per sempre dal vino (Gerem. 35, 6).
• Onoriamo pure i nostri genitori imitandone le buone azioni e i retti costumi: equivale a esprimere loro il più alto senso di ossequio, cercare di imitarli quanto più è possibile. E li onoriamo ancora, non solo ricercandone, ma attuandone i consigli.
• Li onoriamo anche provvedendo tutto ciò che il loro mantenimento e il benessere esigono. Lo prova la testimonianza esplicita di Gesù Cristo, che, rimproverando ai Farisei la loro empietà, esclama: «E perché anche voi trasgredite il comando di Dio in grazia della vostra tradizione? Dio infatti ha detto: Onora il padre e la madre; e: Chi maledirà il padre o la madre, sia punito di morte. Voi altri invece dite: Chiunque dica al padre o alla madre: Sia offerta di sacrificio quello con cui potrei aiutarti, non è più obbligato a onorare il padre o la madre; e così con la vostra tradizione avete annientato il comandamento di Dio» (Mt. 15, 3). Che se dobbiamo assolvere il nostro obbligo di rispetto verso i genitori in ogni momento, il dovere si fa più urgente in occasione delle loro gravi infermità. Cureremo allora che non tralascino nulla di quanto spetta alla confessione dei peccati e agli altri sacramenti necessari al Cristiano, mentre la morte si approssima. E faremo di tutto perché possano vedere di frequente persone pie e religiose, capaci di sostenerne e corroborarne col consiglio la debolezza, o di indirizzarne i buoni sentimenti verso la speranza dell’immortalità. Sottratto così lo spirito a ogni preoccupazione umana, tutto lo rivolgano a Dio, e in mezzo al corteggio beatissimo della fede, della speranza e della carità, muniti di tutti i conforti religiosi, non riterranno ormai temibile la morte, dal momento che è necessaria, ma anzi desiderabile, in quanto schiude l’adito all’eternità.
• Infine può rendersi onore ai genitori anche dopo che sono trapassati, curandone i funerali, preparandone le esequie, dando loro conveniente sepoltura, provvedendo alla celebrazione degli anniversari, adempiendone regolarmente la volontà testamentaria. • L’onore ai prelati ed ai prìncipi. Meritano la nostra riverenza, oltre ai nostri genitori, anche gli altri che portano il nome di padri. Tali sono i Vescovi, i Sacerdoti, i Re, i prìncipi, i magistrati, i tutori, i curatori, i maestri, i pedagoghi, i vecchi, e altri. Tutto costoro sono degni di ricevere, sebbene in varia misura, qualche tributo del nostro affetto, della nostra obbedienza e delle nostre sostanze. Sta scritto a proposito dei Vescovi e degli altri Pastori: «I Sacerdoti che adempiono degnamente il loro ministero, siano ritenuti meritevoli di un duplice onore, specialmente coloro che si distinguono nel ministero della parola e nella dottrina» (1 Tm. 5, 17). Quante prove di attaccamento non diedero i Galati all’Apostolo? Egli ne dà loro testimonianza palmare, ispirata a benevolenza: «Riconosco che, se fosse stato possibile, voi vi sareste strappati gli occhi per darmeli» (Gal. 4, 15).
• Ai Sacerdoti devono essere fornite le risorse necessarie al sostentamento della vita. Onde l’Apostolo chiede: «Chi ha mai portato le armi a proprie spese?» (1 Cor. 9, 7). E nell’Ecclesiastico è detto: «Rispetta i Sacerdoti. Dà ad essi la parte loro, come t’è stato comandato: le primizie e (la vittima) d’espiazione» (7, 31). Anche l’Apostolo insegna che si deve loro obbedire: «Siate sottomessi ai vostri superiori ed eseguitene i comandi. Essi vigilano, essendo tenuti a rendere ragione delle anime vostre» (Ebr. 13, 17). Anzi, da nostro Signore Gesù Cristo è stato esplicitamente dichiarato che dobbiamo sottostare ai Pastori, anche se malvagi: «Sulla cattedra di Mosè si assisero gli scribi e i farisei. Osservate e fate pertanto ciò che vi diranno; ma non fate secondo le opere loro: che dicono e non fanno» (Mt. 23, 2).
• Lo stesso dicasi a proposito dei Re, dei prìncipi, dei magistrati, di tutti coloro - insomma - al cui potere siamo soggetti. L’Apostolo, nella lettera ai Romani, spiega ampiamente quale genere di rispetto, di ossequio e di sudditanza debba essere loro prestato (Rm. 13, 1); inculca anche di pregare per loro (1 Tm. 2, 2). San Pietro raccomanda: «Siate sottomessi ad ogni creatura umana, in vista di Dio: così al Re, quale sovrano, come ai subalterni, quali suoi delegati» (1 Pt. 2, 13). In verità l’ossequio che tributiamo loro va riferito a Dio. Infatti l’eminente grado della dignità esige rispetto dagli uomini, perché implica un’analogia col potere divino. Rispettandolo, del resto, veneriamo la provvidenza di Dio, che conferisce ai dignitari la funzione pubblica, e di essi si serve come di delegati della propria potestà.
• Qualora i magistrati si rivelino malvagi ed empi, noi non onoriamo i loro vizi, ma l’autorità divina che è in essi. Potrà forse apparire cosa incredibile, ma è pur vero che per quanto siano implacabilmente ostili a noi, non possiamo trovare in questo fatto una ragione sufficiente per negare ossequio a coloro che sono costituiti in autorità. Sappiamo dei servizi prestati da David a Saul, sebbene a lui inimicissimo, onde poteva esclamare: «Mi mostrai pacifico verso coloro che odiavano la pace» (Ps. 119, 7). Qualora però comandino cosa malvagia e iniqua, tralasceremo di prestar loro ascolto; perché allora non parlano più in virtù di un potere legittimo, ma in base a un titolo ingiusto e ad una perversione dell’animo.
• Premio spettante a chi osserva questo comandamento. Spiegato minutamente tutto questo, il Parroco mostri quale premio sia riservato a coloro che obbediscono a questo divino precetto. Il suo frutto più notevole è che vivranno a lungo; poiché in verità sono degni di godere quanto più a lungo è possibile di tale beneficio coloro che ne conservano perenne memoria. Ora, chi onora i propri genitori mostra gratitudine per la vita e l’educazione ricevuta; è giusto dunque e conveniente che viva fino alla più tarda vecchiaia. Si aggiunga quell’insigne spiegazione della divina promessa, la quale garantisce non solo il godimento della vita eterna beata, ma anche di questa vita terrena. Dice infatti san Paolo: «La pietà giova a tutto, comprendendo in sé la promessa della vita presente e della futura» (1 Tm. 4, 8). Né si tratta di un compenso tenue e spregevole; sebbene a uomini ricolmi di santità, quali Giobbe, David, Paolo, la morte sia apparsa desiderabile, e per uomini piombati nella miseria e nei dolori il prolungamento della vita non rappresenti una gioia. Poiché la clausola che delucida quelle parole: «La vita che il Signore ti donerà», promette evidentemente non solo prolungamento dell’esistenza, ma anche serenità e tranquilla incolumità di vita. Nel Deuteronomio infatti alle parole: «Affinché tu campi lungo tempo», sono aggiunte le altre: «Affinché tutto avvenga per te favorevolmente» (Deut. 5, 16); parole che sono poi ripetute dall’Apostolo (Efes. 6, 3).
• Noi affermiamo che codesti beni sono il sovrappiù, per coloro la cui pietà viene ricompensata da Dio. Se così non fosse, la promessa divina non sarebbe costantemente fedele, poiché talora è più breve l’esistenza di coloro che dimostrano più profonda riverenza verso i loro genitori. Ciò può accadere per molte ragioni. Può essere innanzi tutto provvidenziale per essi uscire di vita prima di abbandonare il sentiero della virtù e della rettitudine religiosa. Alcuni possono essere sottratti al mondo, affinché il male non faccia deviare il loro intelletto e la seduzione non affascini il loro spirito (Sap. 4, 11). Altri possono essere strappati al corpo quando sia imminente uno sconvolgimento generale delle cose, sicché sfuggano la sventura dei tempi. Dice infatti il profeta: «Dal volto del male è stato allontanato il giusto» (Is. 57, 1). In tal caso si evita il rischio della loro virtù e della loro salvezza, quando la giustizia e il castigo sono esercitati da Dio sui mortali; o si risparmia loro l’amarissimo lutto del cuore di fronte alle disgrazie dei parenti e degli amici. Sicché dovremmo molto temere quando accade che i buoni muoiano innanzi tempo.
• Castigo che attende i trasgressori. D’altro canto, se su coloro che sono riconoscenti verso i propri genitori piovono le ricompense di Dio, fierissimi castighi sono riservati ai figli snaturati ed ingrati. Sta scritto: «Chi avrà lanciato imprecazioni a suo padre e a sua madre, morrà di morte violenta» (Ex. 21, 17 Lv. 20, 9); «Chi rattrista suo padre e scaccia sua madre, è un essere obbrobrioso e disgraziato» (Prov. 19, 26); «La lucerna di colui che avrà bistrattato suo padre o sua madre si spegnerà nel più folto delle tenebre» (Prov. 20, 20); «L’occhio di colui che sogghigna a suo padre e irride al parto della madre sua, sia scavato dai corvi dei torrenti e divorato dai figli dell’aquila» (Prov. 30, 17). Leggiamo nella sacra Scrittura che molti recarono offesa ai loro genitori, ma leggiamo pure che l’ira di Dio infierì per trarne vendetta; Egli non lasciò David invendicato, ma alla scelleratezza di Assalonne impose il dovuto castigo, punendolo, a causa del suo peccato, con tre colpi di lancia (2 Re 18, 14). A proposito poi di chi rifiuta ossequio ai Sacerdoti è scritto: «Chi superbamente rifiuterà ossequio al precetto del sacerdote in funzione, o alla sentenza del giudice, morrà» (Deut. 17, 12).
• Doveri dei genitori verso i figli. La Legge divina che ha sancito l’ossequio filiale e l’obbedienza verso i genitori, ha pure stabilito i doveri e le mansioni proprie dei genitori. Ad essi impone inculcare nei figliuoli le discipline sante e i costumi integri, di suggerire loro i sani precetti del vivere, affinché, religiosamente istruiti, onorino piamente e indefettibilmente Dio, come leggiamo essere stato fatto dai genitori di Susanna (Dan. 13, 3). Perciò il Sacerdote ammonirà i genitori di mostrarsi ai figli quali maestri di virtù, di equità, di continenza, di modestia e di pietà. Dovranno in modo speciale evitare tre scogli su cui è più facile incappare. Innanzi tutto si asterranno dal parlare e comandare ai figliuoli con asprezza; lo dice l’Apostolo nella lettera ai Colossesi: «O padri, non vogliate provocare a sdegno i vostri figli, perché non si avviliscano» (Col. 3, 21). C’è pericolo che, temendo di tutto, acquistino una natura fragile e pusillanime. Raccomanderà perciò che, evitando l’eccessiva severità, preferiscano correggere anziché punire i propri figliuoli. D’altra parte, qualora sia stata commessa una colpa e siano quindi necessari la riprensione e il castigo, non siano stimolati a transigere da eccessiva indulgenza. Spesso infatti accade che i figli siano sciupati dalla esagerata mitezza dei genitori. Da così malsana indulgenza allontani l’esempio di Eli, sommo sacerdote, il quale, essendo stato troppo debole con la propria figliuolanza, incontrò l’estremo castigo (1 Re 4, 18).
• Infine badino bene i genitori a non vagheggiare, cosa orribile, intenti volgari nella educazione e istruzione dei figli. Ci sono molti che pensano ad una cosa sola: lasciare ai figli sostanze abbondanti, un pingue e vistoso patrimonio, ed esortano i loro rampolli non già alla religione, alla pietà, alla regola delle sante virtù, bensì all’avarizia e all’aumento dei beni di famiglia. Costoro non si preoccupano della buona fama e della salvezza dei figli, ma solo badano a che siano sempre più ricchi. Si può immaginare un programma più turpe? Finiscono così col lasciare ai figli non solo una eredità cospicua, ma anche un pesante fardello di colpe e di nefandezze, che li fa essere non guide al cielo, ma pessimi iniziatori all’eterno supplizio dell’inferno.
• Il Parroco con sapienti consigli istruisca i genitori, stimolandoli a imitare il virtuoso esempio di Tobia (Tob. 4). Se avranno educato i figli al culto divino e alla santità, ne riceveranno in cambio frutti copiosi di amore, di rispetto e di ossequio.