Questo articoletto non pretende affatto di essere esaustivo, tuttavia credo sia particolarmente utile - alla maggior gloria di Dio, del Papato e della Santa Chiesa - per contrastare, con efficacia e semplicità, uno degli errori più diffusi con cui si intende minare, al giorno d’oggi, il dogma dell’infallibilità, dunque la fede stessa ne verrebbe compromessa.
Molti sostengono che il Romano Pontefice avrebbe “utilizzato” la prerogativa dell’infallibilità per l’ultima volta e mai più, il giorno 1° novembre 1950, all’atto della proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria Vergine in corpo ed anima - Pio XII con la Munificentissimus Deus.
Rispondo subito che la prerogativa dell’infallibilità, carisma soprannaturale promesso con certezza e costantemente - non transitoriamente - a San Pietro ed ai suoi legittimi successori, ma anche alla Chiesa a lui unita (es. Concilio universale; cf. «Denzinger», 1248-1251), non si “usa”, bensì si ottiene, si riceve, potrei dire che si “subisce”, nelle circostanze in cui ricorrono - tutte insieme - determinate condizioni (dopo le vedremo con i relativi punti di dottrina). Mi spiego meglio. Se il legittimo Pontefice definisce (ossia insegna - ex cathedra) pubblicamente una dottrina che riguarda la fede o la morale (o condanna il contrario), lo fa usando i debiti organi del Magistero ecclesiastico, si rivolge alla Chiesa universale, questi è infallibilmente assistito, e non può scegliere se esserlo o non esserlo. La prerogativa dell’infallibilità è promessa (è un impegno verace da parte di Gesù Cristo), quindi, nel definire tutto ciò, senza il quale verrebbe compromesso o non sarebbe presentato in maniera corretta il Deposito della fede [cf. «Denzinger», (221 353), 2329 ss., 2539, 2781, 3069 ss. e 3074].
Semplifico ulteriormente. Trattandosi di Pontefice legittimo, nelle circostanze che lo configurano riconoscibilmente Maestro o Legislatore universale di tutta la Chiesa, non è più possibile scindere l'uomo designato (docente e regnate) dalla prerogativa dell'infallibilità. Si vuol confutare subito la pericolosa pseudo-teologia che oggi prende il nome di “sedeplenismo”. Il “sedeplenista” si configura come un terzo, benché indispensabile, ente fra Cristo ed il Pontefice e si arroga il diritto di decidere quando il Pontefice avrebbe inteso usare l'infallibilità e quando no. Questi sostiene, purtroppo per lui e per chi ne è ingannato, che il legittimo Pontefice, in qualsiasi circostanza ed a qualsiasi condizione, possa liberamente scegliere se avvalersi o meno della prerogativa di infallibilità. Come si nota, questa pseudo-dottrina urta anche con la retta ragione, in quanto nega direttamente l'aspetto soprannaturale del Papato, ossia quella unione del designato con Cristo (Sacerdote, Maestro e Legislatore) che impedisce al suo Vicario di macchiare la Prima Sede (cf. «Denzinger», 2009, numeri 363, 775, 1064, 1807 ss., 2329, 2923 e 3006).
Anche per il Magistero ordinario ed universale si rivendica l’infallibilità promessa da Cristo (cf. «Denzinger», 2879, 2922, 3011 e 3885). Sono condannate quelle proposizioni che, anche solo implicitamente, affermano che la Chiesa si sarebbe allontanata dalla fede, per esempio comminando ingiuste condanne di articoli, ingiuste scomuniche e subendo un presunto oscuramento di verità (cf. «Denzinger», 1225, 1480, 2491-2501, 2601, 2612-2614, eccetera).
Voglio ricordare i precedenti scritti, inerenti l’argomento, già pubblicati su Sursum Corda: «Comunicato numero 17. Del Magistero Infallibile del Romano Pontefice»; «Comunicato numero 36. L’infallibilità della Chiesa e del Romano Pontefice»; «Comunicato numero 35. Che cos’è la Tradizione? Ovvero se si possa osservare la Tradizione andando contro il Magistero»; «Infallibilità, canonizzazioni ed imitazione del Santo»; «San Giovanni Bosco e il dogma dell’infallibilità». Soprattutto in questi luoghi se ne è già parlato, tuttavia abbiamo anche studiato, per argomenti, la «Pastor Æternus» e la «Dei Filius». Invito alla lettura.
Analizziamo brevemente la questione. «Per fede divina e cattolica deve essere creduto tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o tramandata per tradizione, e che la Chiesa, sia con solenne sentenza sia col Magistero ordinario e universale, ci propone a credere come rivelato da Dio» (Concilio Vaticano, Sess. III, cap. 3; cf. Satis Cognitum, Leone XIII).
Il dogma è, dunque, una dottrina (oppure un’affermazione) che esprime un giudizio comunicato agli altri mediante l’insegnamento dalla Cattedra. La Chiesa, ad esempio di Gesù, propone a credere qualche verità ai discepoli, verità proposta per mezzo di un autentico giudizio. Distinguiamo subito l’oggetto materiale (ciò di cui si tratta) e quello formale (essendo giudizio della legittima Autorità). Il giudizio della legittima Autorità, talvolta, è necessario al nostro intelletto per conoscere con certezza qualcosa, per esempio che la Vergine Maria è Assunta in anima e corpo.
Il dogma è una dottrina che riguarda (ossia che regola) la fede ed i costumi: si tratta di verità (il cui contrario è sempre ed in eterno menzogna) che regolano la nostra condotta verso Dio (verso il prossimo e verso noi stessi) e per la salvezza eterna. Quindi il dogma è «una dottrina che dalla Chiesa è definita come contenuta nella divina Rivelazione (esplicitamente oppure implicitamente, ndR) e come tale proposta alla nostra fede» (cf. Sisto Cartechini, Dall’opinione al domma).
Il dogma può essere espresso con Magistero solenne, straordinario, oppure ordinario ed universale (Magistero ecclesiastico in cui la Chiesa impegna la sua suprema Autorità dottrinale, ossia è sempre - non transitoriamente - infallibilmente assistita). Ciò lo conosciamo, per citarne solo una, dalla sentenza divina: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (S. Matteo, XXVIII, 18-20). Capiamo che Gesù è Dio, è Sacerdote, è Maestro, è Legislatore, ha delegato, ha promesso, ha garantito indefettibilità.
Solitamente quando si esprime un dogma si parla di definizione. Questa definizione deve essere espressa nel modo che dia assoluta certezza, considerato che la legge non ammette dubbio. Per dottrina definita, pertanto, riteniamo ciò che è direttamente contenuto nella definizione (esempi: definiamo che Dio è Uno e Trino, stabiliamo che la Vergine Maria è Immacolata, fissiamo che la libertà di coscienza è un delirio velenosissimo, eccetera).
Nello stesso tempo la Chiesa rende espliciti anche i limiti od i confini di qualcosa. Per esempio, quando Pio XI nella Quas Primas definisce che Cristo è Re della società (spiega anche cosa significa), conosciamo immediatamente che è eretica l’opinione contraria, ma potrebbe anche essere “solo” erronea, falsa, temeraria, offensiva, dipende da cosa sta dicendo la parte avversa e dalla sua conclusione pratica (qui una breve dissertazione sulla laicità e sulla separazione fra Chiesa e Stato).
Quindi, dall’analisi logica di un pronunciamento, siamo in grado di individuare immediatamente l’argomento principale (o gli argomenti principali), i secondari, i fatti, eccetera (esempio: argomento filosofico, dottrinale, storico, esplicitamente rivelato, eccetera).
La definizione, in quanto tale, «deve essere interpretabile in senso stretto, ossia deve significare ciò che dice» (Ivi., Cartechini). L'intelletto facilmente ci induce a confutare le fazioni contemporanee della cosiddetta “ermeneutica della continuità (o della discontinuità)”. Definizione, dal latino definitio - onis, è una delimitazione esatta ed irrevocabile, dunque è falsa quella corrente pseudo-teologica che pretende di «interpretare il Magistero alla luce della Tradizione, o piuttosto del pensiero moderno», poiché il Magistero è interprete di se stesso, ossia significa ciò che dice.
La definizione dell’Autorità, per concludere, si interpreta per se stessa, poiché significa ciò che dice. L’Autorità docente, difatti, definisce una verità contenuta nelle parole stesse della definizione.
Facciamo un esempio impossibile per un legittimo Pontefice (Maestro universale e Legislatore): Dichiariamo che è un diritto naturale e viene dalla Rivelazione la libertà di promulgare leggi malvagie o eretiche. Questa è una definizione per se stessa falsa, poiché la Rivelazione, la legge naturale, così pure la Chiesa, sostengono il contrario. Difatti quel tipo di errore non ha alcun diritto, cozza col principio stesso di autorità: «Nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una autorizzazione di questo genere non avrebbero forza obbligatoria e resterebbero inefficaci. Nessuna autorità potrebbe darli, perchè è contro natura di obbligare lo spirito e la volontà dell'uomo all'errore ed al male o a considerare l'uno e l'altro come indifferenti. Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo mandato o una tale positiva autorizzazione, perchè sarebbero in contraddizione con la Sua assoluta veridicità e santità» (6 dicembre 1953, Pio XII, Ci Riesce).
Prosegue, Dio volendolo, la prossima settimana ...
A cura di CdP