Nei nostri studi di Teologia politica stiamo cercando di arrivare alla radice immanente del male politico, di conseguenza diventa impossibile omettere o trascurare l’illuminante filosofia dell’Aquinate, molte volte già orgogliosamente citato, e che ricorrerà spesso.
In un clima di avido e di catastrofico ammodernamento sociale e culturale, il 29 giugno del 1923, Papa Pio XI, nell’Enciclica Studiorum Ducem, si esprime in questi termini: «Sia da tutti inviolabilmente osservato ciò che è prescritto nel Codice di Diritto Canonico (CjC 1917, Pio-Benedettino, Can. 1366, par. 2): Gli studi della filosofia razionale e della teologia, e l’istruzione degli alunni in tali discipline, siano assolutamente trattati dai professori secondo il metodo, la dottrina ed i principii del Dottore Angelico, e questi siano religiosamente mantenuti».
Prosegue il Pontefice: «Essi (gli educatori, nda) si regolino in modo da poterlo con tutta verità chiamare loro maestro. Come dunque un giorno fu detto agli Egiziani, nel loro estremo bisogno di vivere, Andate da Giuseppe perché avessero da lui in abbondanza il frumento per alimentare il loro corpo, così ora a tutti gli affamati di verità Noi diciamo: Andate da Tommaso per aver da lui, che ne ha tanta abbondanza, il pascolo della sana dottrina e il nutrimento delle loro anime per la vita eterna. Che un tal cibo sia pronto e alla portata di tutti fu attestato con la santità del giuramento quando si trattò di ascrivere Tommaso nel catalogo dei Santi: Alla scuola luminosa ed aperta di questo Dottore fiorirono moltissimi maestri religiosi e secolari per il suo modo succinto, facile, e chiaro (…) ed anche laici ed uomini di scarsa intelligenza desiderano avere i suoi scritti».
La Chiesa ha sempre attribuito alla filosofia dell’Aquinate un «carattere vincolante».
I modernisti, al contrario, facilmente sopraffatti dal loro ego e comunque divorati dai cumuli di sofismi di chi li ha preceduti nell’eresia, giungono a conclusioni quasi sempre contrastanti rispetto a quelle di san Tommaso, pertanto ne sconsigliano gli studi, a volte li vietano, oppure ne mistificano le ragioni a loro vantaggio.
Il modernismo sociale - oggi celato dietro varie etichette: moderati, democratici, laici, etc - è la morte della società tramite misure di manifesta perfidia che partono da princìpi rivoluzionari e terminano nella Babilonia più totale, dove hanno voce soprattutto il potente demagogo ed il criminale comune.
Secondo la dottrina cattolica ricordata da San Tommaso D’Aquino, la potestà umana viene da Dio, pertanto l’uomo che esclude gli ordini di una potestà, oggi diremmo di un Governo in uno Stato, resiste all’ordine di Dio stesso; tuttavia un Governo che non opera secondo le leggi di Dio, non «appartiene» propriamente a Dio, quindi alla Potestà adulterata di quel tale Governo iniquo potrebbe corrispondere un’Autorità usurpata e comunque di «iniquo agente» (Summa Thelogiae, Iª-IIae q. 93 a. 3 ad a, ss.).
La legge umana in tanto ha natura di legge, in quanto si uniforma alla retta ragione, ed in tal senso deriva evidentemente dalla Legge eterna. Ma, quando si scosta dalla ragione, codesta legge è iniqua e allora non ha natura di legge, ma piuttosto di violenza. Tuttavia anche la legge iniqua, per quell’aspetto che salva le apparenze di legge, e cioè per il potere di colui che la emana, ha una derivazione dalla Legge eterna, poiché, a detta di San Paolo, «ogni potestà viene da Dio».
Nel modernismo sociale è tale il livello di perversità e scelleratezza delle leggi, che è il cittadino stesso a rifuggirle, anche solo interiormente, aprendo la propria vita all’anarchismo ideologico, poi pratico, quindi alla ribellione nei confronti delle autorità, primo fra tutti: Dio.
Solo affidandoci a Dio, invece, si possono sconfiggere i malfattori!
Precisa san Tommaso che dalla Legge eterna non può provenire niente di iniquo, poiché «eterna è quella legge secondo la quale è giusto che tutte le cose siano ordinate in massimo grado», tuttavia certe leggi umane sono inique, secondo Isaia (10,1): «Guai a coloro che fanno leggi inique»; non ogni legge proviene dalla Legge eterna.
Essendo, dunque, la Legge eterna criterio di governo esistente nel Governante supremo, è necessario che tutti i criteri di governo, che sono nei governanti inferiori, derivino dalla Legge eterna. Di conseguenza tutte le leggi, nella misura in cui partecipano della retta ragione, derivano dalla Legge eterna.
È per questo, prosegue il Sommo Dottore, che sant’Agostino dice, nel primo libro del De Libero Arbitrio, che «nella legge temporale niente è giusto e legittimo, se non quanto gli uomini hanno derivato dalla Legge eterna».
Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata