La questione della “Catalogna ribelle” ha alimentato la pubblica riflessione sulla cosiddetta autodeterminazione dei popoli. Per ragioni di attualità, dunque, sospendo la programmazione ordinaria della mia rubrica e dedico questo piccolo articolo all’argomento.
Autodeterminazione o autodecisione vorrebbe essere la «facoltà o il diritto dei popoli di disporre liberamente di se medesimi». Le definizioni utilizzate provengono dall’Enciclopedia Cattolica, Vaticano, Imprimatur 1948, Volume II, Colonna 468. Utopia ignota al diritto internazionale fino al secolo XVIII, venne «eretta a principio dalla Rivoluzione Francese». L’illuminismo e l’umanitarismo vollero «al centro del sistema politico l’uomo, riconoscendogli un’autonomia illimitata e la facoltà di organizzarsi secondo la sua volontà». Su tale premessa fu eretta la pretesa «sovranità popolare».
L’autodeterminazione (propriamente detta) poggia sul pensiero illuminista della Rivoluzione, pertanto viene dall’antitesi della dottrina di Gesù Cristo (cf. Quare Lacrymae, Pio VI). Lo stesso, come abbiamo già imparato, vale per la supposta «sovranità popolare», nemica della Sovranità di Cristo e del naturale principio di autorità (cf. Quas Primas, Pio XI).
Per contingenze storiche e politiche, gli iniqui dominatori intesero «trasferire il concetto di autonomia dall’uomo ai popoli», ossia a loro stessi che si arrogavano luoghi di comando; popoli ai quali venne attribuito, quantomeno per propaganda, «il diritto di incondizionata libertà nella decisione delle proprie sorti politiche». Millantato «diritto incondizionato» tradito, per esempio, in Italia con la “deposizione” di Berlusconi e l’imposizione dei cosiddetti “tecnici”, ma potrei analizzare le possibili usurpazioni, una per una, indietro fino al “Risorgimento”… del paganesimo.
Si deve al Mancini la rielaborazione di questo principio in chiave nazionalistica: «La corrente che a lui fece capo, appoggiando le rivendicazioni nazionali sopra un terreno naturalistico, vi si appellò per sostenere il diritto delle nazionalità all’indipendenza politica e alla secessione violenta per seguire le loro aspirazioni unitarie». Non si può negare la connessione fra autodeterminazione e nazionalismi, così come oggi li conosciamo, memori soprattutto dei milioni di morti che hanno provocato, tanto da “sinistra” quanto da “destra”.
Principio che «sopravvisse nella concezione liberale» della società, ossia prossima all’apostasia. Fu evocato come «dogma assoluto», alla fine della Grande guerra, per la «sistemazione dei popoli» e per la preparazione dei cosiddetti «trattati di pace». Tuttavia, a dimostrazione che si tratta di un inganno propagandistico in uso ai settari, «alla fine della Seconda guerra mondiale le potenze vittoriose non ne tennero nessun conto nella stipulazione dei trattati di pace con le nazioni vinte».
Avendo appena dimostrato che non ha alcun carattere giuridico, aggiungiamo che le Nazioni Unite lo usano solamente come vago principio per «dare sviluppo alle relazioni amichevoli tra i popoli» (cf. art. 2, Statuto delle Nazioni Unite). Difatti nella contesa delle isole Aland (anno 1921 - Svezia vs. Finlandia), il chimerico Consiglio della Società delle Nazioni dichiarava che «il principio sul diritto dei popoli di disporre liberamente di se medesimi non è una norma di diritto internazionale». Traduco: i dominatori decidono quando questo principio deve essere dogma e quando no. Nell’omicidio di Gheddafi fu dogma. Nella deposizione di Mubarak fu dogma. Nell’invasione della Siria fu dogma. Nel legittimo referendum di Crimea fu eresia e suscitò la collera di quel “mondo” che si è autoproclamato “democratico”. Ira dei cosiddetti “esportatori di democrazia” che, a parer mio, in quest’ultimo caso non bombardarono solo per meschina viltà, per paura della reazione di Putin. Dobbiamo ringraziare Dio per la loro codardia (o prudenza???), poiché ci ha evitato, almeno per il momento, una guerra dal coinvolgimento planetario! La piccola Serbia, per esempio, non poteva autodeterminarsi, dunque fu devastata.
Cito ancora l’Enciclopedia Cattolica: «La dottrina cattolica esclude l’autodeterminazione in quanto principio assoluto, come è stato storicamente formulato, perché, così inteso, si fonda sopra un concetto falso di libertà, che non tiene conto dei diritti acquisiti dello Stato e del dovere naturale dei cittadini alla fedeltà, obbedienza e collaborazione al bene comune, per mantenere l’unità politica, solo necessariamente richiesta dall’ordine obbiettivo e dai fini prevalenti della vita umana. La sua rigida applicazione, oltre a rivelarsi impossibile in molti casi per ragioni economiche, strategiche e confinarie, (può) portare alla sovversione di diritti esistenti, e getterebbe in perpetua agitazione le nazioni col pericolo di spezzare la società internazionale». Papa Benedetto XV (28 luglio 1915) e Papa Pio XII (24 dicembre 1939) contrapposero al falso principio di autodeterminazione quello cristiano «dell’esistenza di diritti e di giuste aspirazioni presso i popoli», di venire incontro ai «veri bisogni e giuste richieste delle nazioni e dei popoli, come delle (vere e non semplicemente mediatiche, ndR) minoranze etniche», aggiungendo tuttavia che esse «non sempre bastano a fondare uno stretto diritto, quando siano in vigore trattati riconosciuti e sanciti o altri titoli giuridici, che vi si oppongono».
Principii come «autodeterminazione» e «sovranità popolare» dovrebbero essere banditi dalla bocca di chi si professa cristiano.
Carlo Di Pietro da Il Roma