A necessaria premessa di una Carta costituzionale moderna - lo abbiamo imparato la scorsa settimana - il compianto giurista Carlo Francesco D’Agostino (Centro Politico Italiano) pone la seguente massima: «Lo Stato riconosce l’autorità dei (legittimi) Romani Pontefici e ne esegue le sentenze».
Egli si rende conto che, a tale premessa, «si scateneranno polemiche o perplessità da tre direzioni».
1) Immediatamente dal cosiddetto “ceto intellettuale” moderno, con la sua «sommaria attenzione» alla vera questione politica. Con costoro è «tremendamente arduo riuscire a dialogare. C’è da rallegrarsi se non ci congedino con la patente di pazzi o di disturbatori»;
2) Da coloro i quali, pur consapevoli dei gravi problemi che affliggono la politica contemporanea, si domandano «se una determinata impostazione abbia o meno possibilità di essere accettata dagli “uomini d’oggi”». Concludono «essere impossibile tornare ad un regime che (impropriamente) qualificano teocratico»;
3) Chiudono la serie quanti ci «eccepiscono il “nemmeno noi preti vogliamo lo Stato cattolico” (cfr. le tesi del p. Raimondo Spiazzi, Rettore di una Istituzione Pontificia), o, con l'on. Vittorio Zincone, “(sei) più papista del Papa”, come nell’occhiello di un clamoroso articolo su “L’Europeo”. Del resto, è molto eloquente la congiura del silenzio da parte (di una certa) stampa (…), con eccezione di insinuazioni diffamatorie».
In tutto questo «sono singolarmente ignorati (i popoli). Costituiscono la parte più interessata, che porta il maggior peso del malandare politico. Per nostra personale esperienza essi sono abituati a regolarsi secondo la realtà dei fatti. Se una formula dia maggiori garanzie per il loro avvenire nulla eccepiscono». La realtà dei fatti, esclama D’Agostino, «su cui ad ogni costo ci si rifiuta di riflettere!».
Da una parte il «pletorico mal governo, pressoché universale, nel mondo laicizzato di oggi». Dall’altra la «limpidezza, razionale e convincente, delle soluzioni che per i singoli problemi politici il Magistero pontificio ammonisce doversi adottare». Da un lato il «politicantismo sopraffattore e bellicista, che ha saputo darci null’altro che lo Stato sanguisuga». D’altro lato una «Dottrina appassionatamente (diffusa) da un Apparato ecclesiastico - D’Agostino evidentemente si riferisce a quello Preconciliare - che sopravvive solo per contribuzioni spontanee, mentre dà vita ad imponentissime Opere caritative, Provvidenza, Previdenza, Assistenza, senza esattori di imposte».
Prosegue, per un verso il «laicismo di ideologie pseudo-politiche, che presuppone e propugna contrapposizioni, lotte di classe o tra Nazioni, i cittadini contro le Autorità, i lavoratori contro il “padronato”, e trasforma in pesante schiavismo quanto spaccia come “tutela statale” o garanzia di “libertà”. Viene solo a capo di moltiplicantisi malanni, non ultimo un diluvio di Leggi (o pseudo tali) ed uno sterminato esercito di parassitaria Burocrazia».
Egli si domanda: «Dovremmo preferire (questo laicismo) alle formule semplici, ispirate ad equità e stimolanti a concordia, generatrici sicure di fraternità tra membri dello stesso Popolo o dell’umanità tutta?». È quanto «ci offre l’inconfutato Magistero della Cattedra dei Romani pontefici».
Accettando la massima: «Lo Stato riconosce l’autorità dei (legittimi) Romani Pontefici e ne esegue le sentenze», ossia il fondamento (cf. Quas Primas, Pio XI), «si offre con limpidezza una serena disamina, in piena armonia tra quanto la ragione suggerisce ed il Magistero Pontificio conferma. Si ristabilisce il senso della dignità nazionale, in una indipendenza vera. Si rivendicano a fronte alta i diritti di sovranità conculcati a danno della nostra Patria dopo una Guerra perduta. Si regolamentano (tutti i settori - come la storia dimostra). Si definiscono questioni che (…) vengono subdolamente trascurate, e che pur si presentano, nella storia delle Nazioni (Potere legittimo e Potere di fatto). Si fissano con ben altra chiarezza le possibilità di difesa contro gli abusi di un Potere politico che calpesti le giuste libertà. Si delinea la struttura di un’Assemblea legislativa, del diritto di elettorato e di eleggibilità». (Nuova Alleanza, Quaderno VIII, pag. 20 segg.). Lungo sarebbe il discorso.
D’Agostino rivendica la necessità di quei punti dell’Indirizzo Programmatico che il suo Partito, ultimo cattolico almeno nelle intenzioni, aveva stilato già nel 1943 per «promuovere un movimento di unione di tutte le forze sane della Nazione per risvegliare nel popolo la coscienza patriottica e risollevare l’onore militare e politico italiano». Uno per uno, a Dio piacendo, li studieremo prossimamente. Prosegue …
A cura di Carlo Di Pietro da Il Roma