Ecco il gran giorno, o fedeli, che Dio fece sorgere dopo una notte di quaranta secoli; esultiamo e rallegriamoci in esso: II Verbo si è fatto carne, ed è disceso ad abitare fra noi. Sono diciannove secoli (data del libro citato: 1934, ndR) che la Chiesa vede al ritornare di ogni anno questo dì solennissimo, e dopo diciannove secoli la Chiesa lo saluta ancora con quello stesso slancio di fede e di amore, con cui lo salutarono i fortunati pastori di Betlemme. Potenza altissima e altissima misericordia di Dio! Il Verbo si è fatto carne, ed è disceso ad abitare fra noi. Curviamo la fronte, pieghiamo il ginocchio, dilatiamo il cuore, e mentre gli angeli riempiono delle loro celesti armonie lo squallido presepio, meditiamolo nell’estasi dello spirito il sublime mistero. Chi è il bambino, che si offre al nostro sguardo? Chi è quel pargoletto che vagisce su poca paglia? Quando il Maestro divino raccolti in Cesarea di Filippo i suoi Apostoli mosse loro questa domanda: Gli uomini chi credono che io sia? Gli Apostoli riferendogli le voci che correvano sul conto suo gli risposero: Vi è chi ti crede Giovanni Battista, chi ti crede Elia, chi ti ritiene Geremia, chi uno fra i profeti (S. Matt. XVI, 12). E tale veramente era il concetto che i più si erano formati di lui all’udire la sublimità dei suoi insegnamenti ed al vedere le meraviglie delle sue opere. Alla domanda, al quesito rispose bene san Pietro, affermando che Egli era il Cristo, figlio del Dio vivente. Oggi risponde san Giovanni, l’Apostolo prediletto di Gesù col principio del suo Vangelo. In questo brano stupendo san Giovanni, con brevi ma sublimi parole, tratte dal gran libro della divina sapienza, annunzia l’eterna generazione del Salvatore. Parole, che un antico discepolo di Platone, come ci riferisce sant’Agostino, diceva degne di essere scritte a caratteri d’oro, e collocate sul sommo delle porte d’ogni tempio cristiano (De Civit. Dei, c. 29, 2). Sollevandosi egli come aquila al di sopra di ogni umano concetto, e fermando la sua estatica pupilla nei fulgori della divinità, grida a tutti: «In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum».
E, narrati i prodigi di quella città ch’era in lui e con lui fino dai secoli eterni, le meraviglie di quella parola che per lui trasse dal nulla tutte le cose ed i portenti di quella luce che da lui si era comunicata agli uomini dormenti nella oscurità prima ancora ch’egli si manifestasse alla terra, continua dicendo: Ed il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi. Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. Ecco, o fedeli, chi è il Bambino che la Chiesa dopo diciannove secoli ci invita ad adorare nella povera capanna di Betlemme. È Dio eterno come il Padre. In principio erat Verbum. È Dio distinto dal Padre. Et Verbum erat apud Deum. È Dio consostanziale al Padre. Et Deus erat Verbum. È Dio che si incarnò per la redenzione del mondo. Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. Per delucidare almeno in qualche parte queste sublimi parole di san Giovanni io, o fedeli, dovrei squarciare un lembo della gelosa cortina che nasconde nelle sacre tenebre del mistero questo dogma altissimo. Ma a questo io preferisco chiedervi fede ed adorazione al Bambino di Betlemme, al Verbo di Dio, Creatore di tutte le cose. È lo stesso Evangelista che ci domanda questo omaggio verso di Lui, annunciandoci che tutto fu fatto per Lui e nulla senza di lui fu fatto di ciò che fu fatto. Sì, o fedeli, il Verbo di Dio, il Cristo futuro aveva parlato anche prima che gli Angeli ne annunciassero il natale ed i pastori lo adorassero nella grotta di Betlem. Fu la sua parola, che squarciò le tenebre, quando risuonò l’onnipossente: Fiat lux. Fu la sua parola che lanciava il sole, la luna e l’infinita miriade di astri nella immensità degli spazi, e ne dettava le leggi e ne segnava l’orbita. Fu sua la parola che divideva la terra dalle acque e le comunicava la fecondità e ne suscitava l’erbe, i fiori, le frutta. Fu sua la parola che creava il regno animale, pesci, bestie ed uccelli e da ultimo, re del creato, l’uomo. Il Bambino di Betlem, è, o fedeli il Creatore dell’universo, il nostro Creatore, che da tutta l’eternità guardò a noi, ci amò di amore infinito. Fede ed adorazione a Gesù Bambino: In lui era la vita. Creatore dell’universo, arbitro, sovrano ordinatore del mondo materiale, sorgente della vita vegetativa che comunicò alle piante, della vita animale che donò alle bestie, della vita intellettiva che infuse negli uomini, il Verbo è altresì, per ciò che riguarda il mondo spirituale, il principio, il centro, la fonte della vita soprannaturale, che è quella appunto di cui parla san Giovanni. Quindi in Lui e per Lui solo ci viene la grazia che ci santifica sulla terra, e la gloria che ci renderà eternamente beati nei cieli. Verità che Gesù ricorderà più tardi, dicendo: Io sono la vite, e voi siete i tralci; come il tralcio non può mettere frutto se non rimanga unito alla vite, così neppure voi se non mi sarete uniti (S. Giov. XV, 1). L’Evangelista aggiunge: Nel Verbo era la vita; e la vita era la luce degli uomini. Ecco un altro titolo alla fede ed alla adorazione dei credenti. Il Verbo promesso fu la luce di Adamo; fu la luce di Abele, l’innocente, fu la luce dei patriarchi, dei profeti; fu la luce di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Giuseppe ebreo, di Melchisedecco, di Mosè, di Elia, di Giona, di Isaia, di Geremia, di Giobbe, di Davide; fu la luce di tutte le meraviglie dell’antico Testamento. Tutti i fatti portentosi di quella storia sono irradiati dalla luce emanante dal Verbo. Malgrado tale inesauribile sorgente di luce, continua san Giovanni, vi furono uomini che continuarono ad amare le tenebre, e non vollero comprendere il grande mistero della misericordia di Dio. Il popolo ebreo, aveva veduto nel corso dei secoli questa luce divina splendere vivissima sulle labbra degli inviati di Dio, ma, di dura cervice, chiuse spesso gli occhi ostinatamente per non vederla, e abbandonò il suo Dio, per macchiarsi di sacrilegio e di apostasia. Fu mandato poi un Precursore ad additare la luce divina del Verbo. Ma rimase restio anche a questa segnalazione. Anzi, venuto il Verbo in terra, che era sua, in mezzo al popolo che era suo, terra e popolo sdegnarono di riceverlo. Non valse ad illuminarli la stella prodigiosa, apparsa in oriente, né la venuta dei Magi, né la sapienza di Gesù dodicenne, né la predicazione sua, né il miracolo incessante, né la sua santità. Guai a chi imitasse la cecità e l’ostinazione del popolo ebreo! Poniamo mente, o fedeli, che per l’incarnazione del Verbo noi diventiamo figliuoli di Dio. «Quotquot autem receperunt eum... sed ex Deo nati sunt». Figli di Dio, non già in quanto siamo opera delle sue mani, ma in quanto siamo sollevati in modo soprannaturale ad una certa partecipazione della natura stessa di Dio, e ricevendo in noi medesimi come la semente della divinità (I. S. Giov. 3-9) veniamo resi capaci d’essere da Dio adottati per figli. È Gesù Cristo la causa meritoria, la causa esemplare della nostra figliolanza divina. Il Verbo discese, perché noi salissimo. Il Figlio di Dio diventò Figlio dell’Uomo, perché tutti i figli degli uomini potessero diventare figli di Dio. Ringraziamo l’Augusta Trinità del beneficio ineffabile della Incarnazione del Verbo e della nostra vocazione alla fede. Adoriamo Gesù Bambino assieme a Maria, a Giuseppe, ed ai fortunati pastori. Preghiamolo che nasca spiritualmente nelle nostre anime. Egli è pieno di grazia e di verità. San Giovanni termina col farci fede di avere veduto la gloria del Verbo. Vidimus gloriam eius. La vide realmente; sul Tabor e all’Ascensione. Ma che cosa fu mai la gloria vista da san Giovanni a confronto di quella che tiene lassù preparata nei cieli? Dalla squallida grotta di Betlem, alziamo lo sguardo al paradiso. Ivi abbiamo il nostro Padre, che è Dio; la nostra Madre che è Maria; il nostro fratello primogenito, che è Gesù Cristo.