Comprendo benissimo, o fedeli, che parlare di regalità innanzi ad un Crocefisso è cosa che sconcerta l’umana ragione. Un Crocifisso Re. Sono due cose che si escludono, che si contrastano. È troppo lontano dalla maestà di un Re un uomo coronato di spine, appeso a tre chiodi, fatto bersaglio di vituperi e di bestemmie. È troppo lontano dalla regalità un povero giustiziato, il cui corpo ignudo e straziato lascia fluire il sangue da tutte le vene aperte. È troppo lontano dalla grandezza sovrana questo abbandonato che esce in lamenti e gemiti dolorosi, questo agonizzante che piega la testa addolorata ora da una parte, ora dall’altra e aspetta rassegnato lo strale della morte vicina. È troppo lontano dall’aureola regale questo morente che non conserva quasi neppure le umane sembianze. Lo si dovrebbe dire un povero sventurato, un povero disilluso. Ma nel caso le apparenze ingannano. Gesù sulla croce è Re. E tutte le creature si prostreranno a riconoscere Re Gesù Crocifisso. Ecco l’argomento di questo sermone. Gesù Cristo è Re. Figlio naturale di Dio egli possedeva questo titolo sovrano da tutta l’eternità. Perciò l’Eterno Padre gli dice nei salmi: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato. Chiedimi e ti darò in tuo dominio gli ultimi confini del mondo. Pianterai sulle cime dei monti e nelle isole più lontane i tuoi padiglioni; il tuo regno è il regno di tutti i secoli e il tuo principato per tutte quante le età. La tua dominazione si estenderà da un mare fino all’altro mare, e dal fiume fino all’estremità della terra. Il tuo regno non avrà mai fine. (Dai Salmi 2, 144, 71 ecc.). Ora questo titolo sovrano quando fu mai che Gesù lo proclamò? Forse allorquando il popolo ebreo, trasportato da un’onda di entusiasmo, corse in folla per farlo re d’Israele? Forse allorquando le turbe estasiate l’accolsero in Gerusalemme gridando: Osanna; benedetto il Re che viene nel nome del Signore? No, o fedeli; questo non fu il momento opportuno. Se si fosse trattato di proclamare una dignità che viene da questo mondo, se si fosse trattato di assicurare il trono ad un Re che ha da governare con i criteri dell’umana prudenza, allora la politica avrebbe suggerito di cogliere le disposizioni del popolo e di profittarne. Ma il regno di Gesù non viene da questo mondo e non si regge con criteri umani. Perciò anche la sua proclamazione deve essere del tutto singolare. Caduto in potere dei suoi nemici che lo tengono stretto in catene; circondato dal furore del popolo che ad alte grida ne chiede la morte; trascinato come un vile malfattore innanzi al Preside romano, è allora soltanto che Gesù con accento sincero proclamava la sua regale dignità e parla del suo regno senza timore di essere smentito. - Sei dunque Re? gli domanda Pilato. E Gesù risponde: Tu l’hai detto; sì, io sono Re: Tu dicis quia rex sum ego. Il mio regno non è di questo mondo. È un regno eterno che nessuna violenza mi può rapire. Invano i sacerdoti del Sinedrio gridano all’usurpazione; invano i carnefici tempestano quelle carni immacolate come fossero le carni di uno schiavo; invano i soldati coprono di vergogna quella fronte adorabile come fosse la fronte di un pazzo! La dichiarazione è fatta; nessuno può smentirla. Pilato, senza saperlo, seduto sul suo tribunale, in nome della potenza cosmopolita di quel tempo, presentando alle turbe frementi giudaiche l’adorabile Redentore, dice quasi profetando: Ecce Rex vester; ecco il vostro Re. Gridate pure il crucifige, o rappresentanti della Sinagoga; strappate pure da questo debole presidente il decreto di condanna e di morte, mettete pure Gesù in mezzo a due ladri, perché il mondo lo creda il peggiore tra essi; voi non riuscirete a smentire la parola uscita dalle sue labbra: Io sono Re. «Tu dicis quia Rex sum ego». Tutto infatti lo dimostra nella più splendida maniera. Gesù porta la croce sulle spalle; ma è l’insegna del suo principato, è il suo trono. Gesù porta sulla testa un fascio di spine, ma è la corona che indicherà qui sulla terra la sua sovrana dignità. Gesù sale su di un colle quasi a misurare collo sguardo l’estensione del suo dominio. Solleva innanzi ai popoli della terra la Croce, che diviene il soglio dove siede e regna: «sedebit et dominabitur super solio suo». Però Gesù Crocifisso è Re di misericordia. Rivolto al ladrone che piange alla sua destra gli promette il perdono ed il paradiso: hodie mecum eris in paradiso. Gesù sulla croce è Re di bontà. Vedendo Giovanni mesto e dolente lo consola col dono inestimabile della Madre: Ecce Mater tua. Gesù sulla croce è Re di perdono, poiché udendo le bestemmie che scaglia il popolo, sobillato dai Farisei, solleva lo sguardo al cielo e, scusando la loro cecità, invoca perdono per loro. Pater, dimitte illis! Gesù sulla croce è il Re dei secoli, poiché abbracciando con la mente il passato, il presente, il futuro, vede che il disegno della Redenzione si compie ed esclama: Tutto è compiuto. Gesù sulla croce è il Re della natura, poiché alla sua morte succede in tutto il creato una costernazione dolorosa. Il cielo si oscura, il sole si eclissa, i monti si spezzano, le rocce s’infrangono, il velo del tempio si divide da cima a fondo, le lampade del tempio si estinguono, i sepolcri spalancati mandano le ombre dei morti a sgomentare il popolo deicida. Gesù sulla croce è Re universale. La stessa croce con la sua provvidenziale struttura prende possesso dell’universo. Immergendosi in terra essa dice alla terra, tu sei mia. Innalzandosi al cielo, essa dice al cielo, tu sei mio. Protendendo le braccia nello spazio essa dice allo spazio, tu sei mio. Campata in aria, sulla cima del Calvario essa invita il genere umano a prostrarsi innanzi alla vittima sacrosanta, mentre un cartello proclama Gesù Re. Ed il genere umano verrà ben presto a piegare la fronte superba innanzi a questo povero giustiziato, ripetendo col Centurione: «Vere filius Dei erat iste!». Verranno i Cesari e dopo secoli di lotte sanguinose dovranno riconoscere la suprema potenza del Crocifisso. «Galileo hai vinto». Verranno i filosofi, e dopo avere beffata la semplicità del Vangelo, saranno costretti a confessare che nel mistero della croce risiede la soluzione dei più grandi misteri. Verranno i barbari e nella loro marcia distruggitrice si arresteranno fulminati dalla luce del Crocefisso. Verranno poi le genti cristiane fedeli a cantare. Vexilla regis prodeunt. Ecco lo stendardo del Re. Gesù da quel legno, che doveva disonorarlo, stende lo scettro della sua potenza e con verga di ferro spezza il trono dei suoi nemici. Piegate spesso, o cristiani, le vostre ginocchia innanzi alla regale maestà del Crocefisso; confessate di essere suoi sudditi redenti col prezzo del suo sangue. Benedite ai trionfi del Re Crocefisso. Con la voce poderosa che vince i secoli dell’Obelisco egiziano che troneggia nel centro di Piazza San Pietro, cantate «Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera!». Christus vincit ...
[Tratto dal «Prontuario del Predicatore», Houdry - Porra, Volume VI, Discorsi di circostanza, Imprimatur 1936, pag. 95 segg.].