Sul Vangelo odierno dell’Epifania vi presento soltanto due punti, o fedeli, o due lezioni utili alle anime vostre; l’una che riguarda la corrispondenza alle grazie del Signore; l’altra che riguarda l’indifferenza religiosa.
• Sulla corrispondenza alle grazie del Signore. «Vidimus stellam eius et venimus adorare eum». Nella testa dell’Epifania noi ricordiamo la cognizione del vero Dio che, racchiusa nella sola Giudea, valica finalmente i confini della Palestina e si estende a tutte le nazioni. Le tenebre del Paganesimo oggi vengono dissipate, ed il lume della fede si diffonde attraverso ai tre Magi nei più lontani paesi. Perché i tre Magi, reduci in patria insegnarono la fede e conquistarono anime a Cristo e morirono martiri. Questo avvenne perché i Magi corrisposero alla grazia segnalatissima di venire chiamati così miracolosamente alla culla di Gesù. Anche a noi Iddio dispensa delle grazie. Grazie ordinarie e tante volte grazie straordinarie. Noi dobbiamo corrispondere sempre, generosamente alle grazie del Signore. Contro coloro che non si curano delle grazie di Dio, Gesù Cristo pronunciò una terribile sentenza: «A chi fu dato molto, si domanderà molto; a chi si è dato più largo prestito, più larga usura sarà richiesta» (San Luca, XII, 48). Ricordate la parabola del servo infingardo e quelle parole severe: «Rendimi conto della tua gestione» (San Luca, XVI) redde rationem villicationis tuæ, le quali ci insegnano che se nulla mette tanto conto quanto il profittare delle grazie, niente per altra parte tanto nuoce quanto l’abusarne. Bisogna profittare delle grazie perché nessuno si salva se non per mezzo delle grazie, ma la grazia non salva se non in quanto le si corrisponde e se ne trae profitto. Perciò San Paolo scriveva a Timoteo: «Bada di non trascurare la grazia che è in te e questo avvertimento non ti cada mai dalla memoria, ma metti in esso tutto l’animo ed ogni tua cura, affinché il tuo profitto sia manifesto a tutti» (I a Timot., IV, 14-15). San Pietro chiudeva la sua seconda epistola scrivendo: «Crescete nella grazia e nella cognizione di N. Signore Gesù Cristo» (II Petr., III, 18). Infatti chi non profitta, scapita, diceva San Leone (Serm. de pop.) e chi non acquista niente perde qualche cosa. Non imitiamo, o fedeli, la cieca Gerusalemme nel fare poco conto delle grazie, perché non avvenga che Gesù Cristo abbia anche da piangere sulla nostra perdita e rivolgerci quelle parole, rimprovero e sentenza ad un tempo: «Ah! se tu conoscessi almeno in questo giorno che ancora ti è concesso, quello che formerebbe la tua pace, ma ora tutto è celato agli occhi tuoi» (S. Luca, XIX, 41-42).
• Sull’indifferenza religiosa. Il Vangelo odierno ci presenta Gesù, nella sua reggia, la grotta di Betlem; nel suo trono, la culla. Di fronte stanno tre sorta di personaggi: 1.° Erode, i suoi consiglieri, i satelliti e cortigiani che l’odiano e tramano nell’ombra e manderanno sicari per trucidarlo; ecco i nemici. 2.° I Magi, venuti da lontane contrade, si prostrano ai suoi piedi, l’adorano e gli offrono doni e regali; sono gli amici. 3.° Gli scribi, i farisei, i sacerdoti, i capi del popolo, interrogati da Erode: «Dove ha da nascere il Messia? - colla Scrittura alla mano, senza esitare, rispondono - a Betlemme, lo disse il profeta». E a Betlemme inviano i Magi stranieri, che ignorano la sacra Scrittura, ed essi, maestri in Israele, custodi delle tradizioni e dei Libri santi, non si muovono, non li accompagnano, non se ne curano nemmeno, come se fosse cosa che poco li interessava; ecco gli indifferenti. Anche ai nostri giorni il quadro si ripete; ci sono i nemici di Cristo; e grazie al cielo, ci sono anche gli amici. Ma c’è anche la terza classe, quella degli indifferenti, c’è anche oggi la piaga dell’indifferenza religiosa. Per non cadere nei lacci dell’indifferenza, vediamo 1.° chi è l’indifferente e qual sia la sua cecità e la sua colpa.
• Chi è l’indifferente? Indifferente in materia di religione è colui che non si occupa di nessuna religione; siano vere o false, a lui non importa; non se ne cura affatto se ve ne sia, se ve ne sia una di vera. Non si cura di Dio, del culto religioso. Non si cura di ciò che bisogna credere, di ciò che bisogna praticare; non si cura dell’anima, del suo fine, dei suoi destini, dei novissimi. Non si cura se esista una rivelazione, se Iddio abbia parlato, se si sia incarnato. La sua religione sta nel non professarne alcuna; nel non curarsi di Dio.
[La più subdola forma di indifferenza religiosa, oggi, prende il nome di ecumenismo. Ammettendo la legittimità e l’utilità soprannaturale di ogni dottrina “di fede” (o filosofia “di vita”) e di ogni sorta di culto e di sentimento religioso, l’ecumenista non distingue il vero dal falso, precipitando seco nell’inganno il gregge che pretende di condurre. Egli (s)ragiona alla maniera degli indifferenti, si priva della grazia, finisce annichilendo anche quel barlume di ragione che gli rimaneva. La Chiesa condanna con gravissimi anatemi le seguenti proposizioni che, come notiamo, sono i capisaldi o fondamenti dell’ecumenismo: 1.° «È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera» (Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851; Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862); 2.° «Gli uomini nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l’eterna salvezza» (Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846; Alloc. Ubi primum, 17 dicembre 1847; Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856); 3.° «Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo» (Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; Encicl. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863); 4.° «Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio» (Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849). Successivamente la Chiesa anatematizza, ancor più dettagliatamente e solennemente, l’ecumenismo mediante la Mortalium Animos (6 gennaio 1928) di Papa Pio XI, la Orientalis Ecclesiæ (9 aprile 1944) di Papa Pio XII ed in altri luoghi (qui numerose condanne). All’atto pratico ecumenismo è indifferentismo; all’analisi sincera e rigorosa risulta un maldestro tentativo di occultare la menzogna e di esportare la diabolica professione d’indifferenza (in ultima istanza l’ateismo) in ogni luogo del pianeta (più o meno un neo-latitudinarismo), usando allo scopo funesto la più illustre delle Istituzioni: la Chiesa, «occupata nelle viscere», ndR].
• Cecità e colpa dell’indifferente. « Dio, scrive Bossuet (Discorso fun. di Anna di Gonzaga) stabilì in mezzo a noi un’opera tale che riempie tutti i tempi e tutti i luoghi e porta per tutta la terra, insieme con l’impronta della sua mano, il carattere della sua autorità e quest’opera è Gesù Cristo e la sua Chiesa. A quest’opera gli indifferenti mostrano noncuranza e disprezzo. Ma qual è la cosa veduta da questi vari ingegni non veduta dagli altri? Che ignoranza è mai la loro! Questi ignoranti presuntuosi non videro nulla, non comprendono nulla e non hanno nemmeno dove stabilire il nulla al quale aspirano dopo questa vita. Oh, Dio che stato!. E più oltre. Che colpevole accecamento, che irreparabile disgrazia è mai quella di passare la vita intera in dannosa noncuranza e indifferenza intorno all’avvenire dell’anima propria, il dimenticare i propri doveri di uomini e di cristiani; il vivere e il morire in questa cieca indifferenza! Come riuscirà terribile svegliarsi da questo stato nell’eternità: «O voi che dormite, scuotetevi, dice il grande Apostolo, e levatevi su di mezzo ai morti e Cristo vi illuminerà » (Efes., V, 14). Fine.
Tratto dal Prontuario del Predicatore, pagg. 187-189, Houdry-Porra, Volume IV, Parte 1, Milano, 1934, con Imprimatur.