Nei sacrifici dell’antichità non v’era solo l’offerta e la distruzione della vittima; v’era anche la partecipazione al sacrificio stesso, ossia la Comunione. Nella distruzione l’uomo si volgeva a Dio; nella Comunione Dio si volgeva all’uomo, in quanto questi, mangiando parte della vittima, divenuta santa e sacra, si appropriava in qualche modo la virtù divina. Anche nel Sacrificio per eccellenza, la Santa Messa, la partecipazione o comunione è l’atto ultimo, che chiude l’azione sacrificale. E siccome la vittima è l’Uomo-Dio, così noi riceviamo nel nostro cuore Gesù Cristo, che si è immolato sul Calvario ed ogni giorno si immola sui nostri altari. L’insegnamento di Gesù non poteva esser più chiaro. Nel discorso della promessa e nell’istituzione della Eucaristia, Egli ha usato parole, che sono d’una limpidità perfetta. E il dogma, quando ci obbliga a credere che dopo la consacrazione il pane non è più pane, il vino non è più vino, ma che la sostanza del pane e del vino in virtù delle parole si è mutata nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo; quando ci dice che per concomitanza sotto le specie del pane e sotto le specie del vino è presente veramente, realmente e sostanzialmente Gesù Cristo non solo col suo Corpo o col suo Sangue, ma anche con la sua Anima e con la Divinità, non fa altro se non tradurre le espressioni del divino Istitutore dell’Eucaristia. La teologia studia il dato della rivelazione e, discutendo i vari generi di presenza, ci fa notare come io posso esser presente in un luogo localmente, a modo dei corpi naturali; posso esser presente col mio pensiero in diversi luoghi; il mio pensiero stesso, espresso in parole e stampato, può esser riprodotto in mille esemplari ed esser presente in mille volumi, pur restando un solo pensiero. E la teologia soggiunge come Gesù Cristo non è presente sotto le specie del pane e del vino in nessuno di questi modi, ma in un modo misterioso, il modo sacramentale, che può esser paragonato al modo di presenza della sostanza. Come, infatti, la sostanza è tutta in tutto un corpo e tutta in ciascuna parte, così tutto Gesù Cristo è presente in un’Ostia intera, in tutte e singole le Ostie consacrate ed è presente in tutte le parti dell’Ostia, pur restando un unico Gesù. Ma noi non vogliamo in questo Sillabario del Cristianesimo discutere tali problemi; ci basta notare che anche al Sacrificio della Messa - ossia all’unione dell’uomo con Dio - è connessa la Comunione - ossia l’unione di Dio con l’uomo. Dio ha voluto venire nell’anima nostra, appunto per divinizzarla sempre più, per conservare in essa la vita della grazia soprannaturale, per accrescerla, per riparare le colpe veniali ed i difetti che la offuscano, per riempirci di ogni benedizione celeste e di gioia. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me ed Io in lui», ha detto Gesù Cristo. Con la Comunione non siamo più noi che viviamo, è Gesù Cristo che vive in noi. Egli ci trasforma in sé e mai come allora siamo uniti al nostro Dio. Un fascio di luce viene proiettato su questo mistero d’infinito amore, se noi lo riguardiamo al raggio dei principi esposti a proposito dell’ordine soprannaturale. La nostra divinizzazione per mezzo di Cristo ci spiega perché il Redentore nostro, non contento di essersi sacrificato per noi, ha voluto diventare il nostro nutrimento. La preziosità della Messa e della Comunione; l’importanza della propaganda per la frequenza alla prima ed alla seconda, anzi per la Messa e la Comunione quotidiane; la convenienza di comunicarci - quando ragioni di utilità o di necessità non consigliano altrimenti - non prima o dopo, ma durante la Messa, insieme col Sacerdote, sono tutte cose che ormai debbono brillare d’intuitiva evidenza. In una sua poesia, un poeta indiano, il Tagore, descrive il mendicante, che racconta la sua fortunata avventura: «Sono andato a mendicare di porta in porta, lungo le strade del villaggio, quando il tuo cocchio dorato apparve in lontananza come un fastoso sogno, e io con meraviglia mi domandavo: - Chi sarà mai questo Re di tutti i re? - Le mie speranze salirono alte, e pensai che i miei lieti giorni sarebbero giunti finalmente, e mi fermai aspettando l’elemosina che è data senza esser richiesta e le ricchezze che vengono sparse ovunque nella polvere. Il cocchio si fermò davanti a me. Il tuo sguardo cadde su di me e tu con sorriso scendesti. Io sentivo che la fortuna della mia vita era finalmente arrivata. Allora, improvvisamente tu stendesti la destra e dicesti: - Che cosa hai da darmi? - Ah, quale scherno fu questo d’aprire la tua mano a un mendico, per mendicare! - Io ero confuso e stavo indeciso; poi dalla bisaccia tirai fuori lentamente il più piccolo chicco di frumento e te lo diedi. Ma come fu grande la mia sorpresa, quando, alla sera di quel giorno, vuotai il sacco sul pavimento e scorsi dentro al povero mucchio un piccolissimo granello d’oro. Amaramente piansi, ed avrei allora desiderato d’aver avuto il cuore di darti tutto il mio avere». Anche il nostro Re dei re, Cristo Signore, è venuto a noi, poveri mendicanti, ci ha steso la mano ed ha preso il nostro chicco di frumento. Ma Egli non si è accontentato di trasformarlo in un granello d’oro, ma l’ha mutato in sé, per offrire se stesso al Padre e per offrirsi a noi, perché fra Dio e l’uomo non vi fosse separazione, ma un’unione santa ed ineffabile.

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