Dal latino devovere = votare, offrire, consacrare, specialmente alla Divinità): in senso stretto è un atto di religione interno, che San Tommaso definisce (S. Theol. II-II, q. 82, a. 1): «voluntas prompte faciendi quod ad Dei servitutem pertinet». La devozione consiste dunque essenzialmente nello slancio della volontà a servire a Dio, cioè a subordinare alla sua gloria e al suo beneplacito tutta la nostra vita. In tal senso la devozione è parte del culto, anzi ne è l’anima. Il culto infatti è manifestazione di onore reso a una persona superiore in riconoscimento della sua eccellenza e della propria sottomissione. Pertanto il culto importa un’azione interna (dell’intelletto e della volontà) e un’azione esterna (la manifestazione della stima e della soggezione). Se per devozione s’intende, oltre alla disposizione intima della volontà, anche una manifestazione esterna, allora essa coincide col culto, come spesso avviene nel comune linguaggio. La devozione in questo secondo senso può essere, come il culto, privata o pubblica; la distinzione tra l’una e l’altra dipende da una sola ragione: l’intervento o l’approvazione dell’Autorità Ecclesiastica (Vescovo o Santa Sede). Una devozione può essere esterna, diffusa in un luogo, senza essere pubblica, per mancanza di esplicita approvazione ecclesiastica (CIC, c. 1257, 1261, 1259). La Chiesa è restia ad approvare nuove devozioni o forme di culto, per il pericolo di superstizione e di errori teologici, che vi si possono frammischiare. Quanto alla devozione in senso stretto, che qui più interessa, si noti che essa: 1° ha come elementi essenziali una fede illuminata e una carità ardente; la fede dà una conoscenza sempre più congrua di Dio, la carità fa aderire a Lui sempre più fortemente l’anima, distaccandola dalle creature e da se stessa, con l’eliminazione dell’amor proprio; l’anima devota perciò non cerca altro che Dio; 2° ha come causa estrinseca Dio, a cui bisogna chiederla con la preghiera, e come causa intrinseca la meditazione delle verità eterne (S. Tommaso, S. Th. II-II, q. 82, a. 3); 3° ha come effetto il progresso nella perfezione e la letizia spirituale. Alla devozione, che è slancio, alacrità e viva adesione a Dio, si oppone l’accidia dello spirito e la conseguente tiepidezza.
Dal «Dizionario di teologia dommatica», Pietro Parente, Antonio Piolanti, Salvatore Garofalo, Editrice Studium, Roma, imprimatur 6 giugno 1952.