Dal latino confiteor (= manifesto): è l’accusa integra, sincera, chiara dei peccati commessi dopo il Battesimo, fatta al sacerdote munito di giurisdizione, in ordine all’assoluzione. La sua necessità discende dalla natura giudiziale della potestà conferita da Cristo alla sua Chiesa (S. Giovanni, 20, 21-23). Se il giudice non conosce lo stato interno dell’anima non può portare un giudizio sicuro sulle sue disposizioni e, per conseguenza, non è in grado di piegare in senso favorevole o sfavorevole il suo potere. A conferma di questa deduzione si potrebbe addurre gran numero di testimonianze, che provano come la Chiesa fin dai primi tempi abbia ritenuto «quod iudex non novit non iudicat, sicut medicus quod ignorat non curat». Ma non meno necessaria appare la confessione se si considera dal lato del peccato, che è una profanazione di tutto l’essere umano. Per rialzarsi dal peccato non è sufficiente che l’anima si purifichi nel dolore del pentimento, si richiede anche che le labbra si schiudano alla confessione, la quale, come dice San Tommaso, manifestando ciò che si svolge nella coscienza umana, armonizza il cuore e la lingua e ristabilisce in tal modo l’ordine in tutta la persona umana. Quest’ordine e quest’armonia è un bene che non può provenire che da un atto di virtù, della virtù più difficile, l’umiltà. Questa esterna umiliazione nel riconoscersi peccatore davanti a un proprio simile, rinvigorisce e avvalora le disposizioni interne con cui il penitente deve dichiarare guerra senza sosta al peccato ed alle sue conseguenze; perciò il Catechismo del Concilio di Trento esalta la confessione auricolare come la «rocca della cristiana virtù». I novatori del secolo XVI respinsero la confessione stigmatizzandola come «la carneficina delle coscienze», ma oggi risuonano dall’altra sponda voci, che recano un accento di nostalgia per gli usi dell’antica casa paterna e di rammarico per l’opera del protestantesimo «che ha rotto il vincolo che attaccava il popolo all’orecchio del suo direttore spirituale» (v. Penitenza).
[Alcuni consigli pratici. La Confessione non è una seduta dallo psicologo e non è un dialogo alla pari con una sorta di sociologo amico. Dopo aver fatto l’esame di coscienza, il fedele, senza indugio, va al confessionale e si accusa - (senza censure, scuse o mitigazioni; senza giri di parole atti a confondere il confessore; e senza tirare in ballo terze persone quasi a voler scaricare le proprie responsabilità su altri) - dei propri peccati: con atto di umiltà e di sottomissione al giudice di Dio. Prima della Santa Messa è preferibile confessarsi bene ma in maniera concisa (es. Io mi accuso dei seguenti peccati 1°, 2°, 3° ...), affinché anche gli altri fedeli possano avere il tempo di confessarsi. Una buona confessione non dipende dal numero di parole che si pronunciano. Conviene arrivare in chiesa almeno un'ora prima della Messa, per avere il tempo e la dignità di prepararsi bene alla Confessione ed al santo Sacrificio, ndR].
dal Dizionario di teologia dommatica, Piolanti, Parente, Garofalo - pace all’anima loro! - Studium, Roma, 1952.