Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Discese all’inferno, il terzo dì risuscitò da morte». Gesù morto. Quinto: discese all’inferno, il terzo dì risuscitò da morte. Per l’istruzione di oggi basta la prima parte. Discendere vuol dire recarsi in un luogo basso, ed è questo il significato che ha qui la parola inferno. «Descendit ad inferos», dice il latino, che vuol dire appunto: discese ai luoghi inferiori, ai luoghi bassi, dove le anime erano tenute prigioniere, lungi dalla visione di Dio. Questi luoghi erano tre: il limbo, dove stavano le anime dei patriarchi, dei profeti e di tutti quei santi personaggi, morti prima della venuta di N. S. Gesù Cristo: là non soffrivano dolore alcuno, ma stavano aspettando che Gesù, col suo sacrificio, aprisse le porte del Cielo. [Del limbo dei bimbi non battezzati ne abbiamo già parlato in Comunicato numero 12. Gesù ci dice: «Chi ha orecchi, intenda!» ed altrove, ndR]; il purgatorio o luogo di purificazione, dove le anime dovevano e devono scontare la pena di tanti peccati perdonati e non espiati, e rendersi degne di salire a Dio; l’inferno propriamente detto, il baratro orribile, dove le anime dei dannati erano e sono tormentate dal fuoco eterno e dai demoni. Dove discese l’anima di Gesù. L’anima di N. S. Gesù Cristo, separata dal corpo per la morte di croce, discese al primo luogo, ossia al limbo dei santi Padri, dove rimase per tutto il tempo che il Suo sacro corpo restò nel sepolcro, quindi il venerdì notte, tutto il sabato e fino all’alba della domenica, quando unitasi di nuovo al corpo, lo fece risorgere a nuova vita. E perché discese al limbo l’anima di nostro Signore? Per liberare quelle anime giuste e per mostrare anche laggiù la sua potenza. Per liberare i giusti. Immaginate, o giovani, le migliaia di giusti morti dal principio del mondo fino a quel punto! Là ivi erano Adamo ed Eva, i nostri progenitori, che pentitisi del male commesso, e fattane lunga penitenza, ebbero da Dio il perdono; vi erano Noè, Mosè, Davide, Isaia, Geremia e tutti i santi patriarchi e profeti; vi erano Gioacchino ed Anna, i genitori di Maria Santissima; il profeta Simeone, Zaccaria ed Elisabetta col figlio san Giovanni Battista, san Giuseppe, giuntovi tra gli ultimi, e tante altre anime giuste, che erano vissute nell’aspettazione di questo futuro Redentore. Certo il profeta Simeone e san Giuseppe avevano assicurato quelle anime che la Redenzione era vicina, perché l’uno aveva riconosciuto Gesù Salvatore nella presentazione al tempio, l’altro Gli aveva fatto da custode per trent‘anni ; sicché il desiderio più vivo era in tutti quei predestinati. Tra la festa e la gioia generale Gesù venne in mezzo a quelle anime ad annunziare loro che la Redenzione era compiuta, a dar loro il lume della gloria, a farle partecipi della visione immediata di Dio (cf. Summa Th., III, q. 52, a 5). Questo bastò per cambiare quel luogo di aspettazione in un paradiso di felicità. Quelle anime redente però non salirono subito al Cielo, ma Gesù le condusse con Sé nel giorno della Sua Ascensione, ossia del Suo ingresso trionfale nella patria beata. Per mostrare la Sua potenza. Inoltre Gesù scese al limbo come vincitore e sovrano per mostrare a quei giusti la Sua potenza e la Sua gloria. Tutti dovevano inchinarsi dinanzi al Salvatore che tanto aveva sofferto per la salvezza dell umanità, dinanzi a Colui che aveva riconciliato la terra col Cielo ed aveva riaperto il Paradiso: tutte le creature dovevano tributare a Lui omaggio ed onore. «Nel Nome di Gesù, dice san Paolo, si pieghi ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno» - sotto terra (Ai Filippesi, II, 10). Il Beato Angelico, uno dei più celebri nostri pittori, volle ritrarre nella Chiesa di San Marco in Firenze la discesa al limbo, secondo quanto gli dettava la sua fantasia. Dipinse una caverna oscura e custodita da una porta di ferro, che egli raffigura divelta e rovesciata sopra il demonio. Portato da una nuvola, entra nella caverna il Redentore divino col suo stendardo in mano ed accompagnato dal patriarca Abramo. Tra i rinchiusi, che mostrano gioia e allegria, si vedono muovere incontro a Gesù: Adamo ed Eva, Mosè, Davide e altri. Davanti al vincitore della morte e dell’inferno i demoni fuggono spaventati e vanno a nascondersi fra i crepacci della rupe. Ci sono degli autori sacri, i quali ritengono che anche i dannati al castigo eterno sentirono l’effetto della discesa dell’anima di Gesù al limbo e, pur con l’odio nel cuore, furono costretti a rendere omaggio al Redentore divino. All’alba del terzo giorno l’anima di N. S. Gesù Cristo, seguita da quelle migliaia di anime sante liberate dal limbo, si unì al corpo che giaceva nel sepolcro e lo fece risorgere glorioso. Parleremo di questo fatto domenica prossima: per ora solo un esempio. Esempio: L’asinello di sant’Antonio. Sant’Antonio morì a Padova il 13 giugno 1231, dopo una vita di santità e di miracoli, contando appena 36 anni di età. Nell’ora stessa che spirò, la sua anima apparve al suo maestro, che tanto amava, l’abate Tommaso di Vercelli. Mentre costui se ne stava rinchiuso in camera, affetto da forti dolori al collo, vide entrare Antonio che lo salutò amichevolmente e gli disse: ho messo a riposo il mio asinello e me ne vado in patria! Poi toccò nel collo il suo maestro e uscì. L’abate era convinto che Antonio fosse venuto a salutarlo prima di partire per Lisbona, e che fosse venuto cavalcando un asinello. Però non vedendolo più rientrare, lo cercò per il convento, ne chiese agli altri frati, ma né il portinaio né i frati avevano visto in quel giorno entrare Antonio di Padova. Intanto si accorse il buon abate che i dolori al collo erano completamente cessati. Alcuni giorni dopo giunse a Tommaso la notizia che Antonio era morto da santo in Padova e con sua meraviglia, il giorno e l’ora coincidevano col giorno e con l’ora della sua apparizione a Vercelli. Allora capì che l’asinello, di cui aveva parlato l’anima del Santo, era il suo corpo che aveva lasciato in riposo nel sepolcro, e che la patria, dove diceva di andare, non era la città di Lisbona, dove era nato, ma era il Cielo, la patria celeste. Di simili apparizioni ne leggiamo tante nelle vite de Santi: il Signore le permise per provarci sempre meglio l’esistenza dell’anima dopo la morte del corpo. Pratica. Non occorrono però dei fatti per essere convinti di questa verità: lo sappiamo con certezza dalla fede e dalla ragione. Quando tu dormi, dice sant’Agostino, vedi città, panorami, persone, tu parli anzi con queste persone e le senti parlare. Sono forse i tuoi occhi che vedono, la tua bocca che parla, le tue orecchie che odono? No, ma è la tua anima che veglia se anche il corpo è inattivo e come morto sul letto; è l’anima che agisce, anche senza i sensi del corpo. E così verrà un giorno, continua il Santo, nel quale i tuoi sensi resteranno senza vita nel sepolcro, ma l’anima tua continuerà ancora a vedere, a parlare, a sentire, perché essa vive di vita propria.
De Fortes in Fide
Il Credo all’oratorio. «Discese all’inferno, il terzo dì risuscitò da morte». Gesù morto
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