Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. «Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito». Gesù redentore. Perché è morto N. S. Gesù Cristo? «Per cancellare il peccato, dice il Catechismo, riconciliarci con Dio e riaprirci il Paradiso». Dunque eravamo tutti perduti? Tutti! Vi ricordate, o giovani, le ultime istruzioni sul primo articolo del Credo? Vi dissi allora che per la disubbidienza di Adamo e di Eva noi eravamo caduti tutti in disgrazia di Dio, e certo più non avremmo potuto redimerci, se il Figlio stesso di Dio non ci fosse venuto in aiuto. Dinanzi a noi stava la Maestà di un Dio offeso, che noi, poveri omiciattoli, non avremmo mai potuto soddisfare; ma Gesù buono ebbe compassione e ci salvò. Chi può misurare tale atto di bontà? Il galeotto. Un giorno san Vincenzo de’ Paoli visitando, com’era solito, le prigioni di Marsiglia, vide un povero condannato che piangeva a dirotto. Lo avvicinò paternamente e mettendogli una mano sulla spalla: amico mio, gli disse, perché vi disperate così? - Mi lasci, rispose il prigioniero, sono colpevole e merito questa pena: la mia vita trascorsa fece morire di crepacuore mio padre, e ora per un nuovo misfatto, mia madre, mia moglie e tre figliuoli devono stentare la vita, coperti della mia infamia e dal mio disonore. Durante il triste racconto, rotto spesso dai singhiozzi del pentimento, san Vincenzo de’ Paoli guardava quel disgraziato con infinita compassione, poi spinto dal suo grande amore verso Iddio e verso gli uomini: sentite, soggiunse, io starò qui per voi, datemi le vostre vesti da galeotto e prendetevi le mie, cosi potrete uscire sicuro dalla prigione; io sconterò la vostra condanna! Il mutamento fu fatto e san Vincenzo rimase confuso tra la ciurma dei galeotti. Due anni durò quella vita, finché conosciuto dalle autorità lo scambio eroico, san Vincenzo venne posto in libertà; ma egli infiammato da quella carità che gli mostrava leggero qualunque sacrificio fatto per il prossimo, era pronto ancora a qualunque sofferenza, ed anche alla morte, per salvare quel disgraziato. Noi restiamo meravigliati dinanzi a tali atti di carità che vanno al di là dell’eroismo e sembrano quasi incredibili, eppure il Figlio di Dio ha fatto molto di più per tutti noi: Egli ci ha liberato dall’inferno e ci ha dato la libertà di figliuoli di Dio, Egli si è fatto nostro Salvatore e nostro Redentore. Gesù buono vide l’uomo in uno stato compassionevole, in uno stato di terribile disperazione, avvinto da catene di vizi e di peccati... e scese tra noi, prese la nostra stessa natura, si addossò i nostri misfatti, e volle per se quei castighi che erano preparati per noi. Così andò fino al sacrificio estremo, fino alla morte... e là sul patibolo, fra i dolori più atroci, offrì all’Eterno Divin Padre la sua vita in espiazione dei nostri peccati. Il Signore accettò il sacrificio e ci fece ancora suoi figli ed eredi del Cielo. La Redenzione era compiuta. Amore ed orrore. E perché Gesù buono volle tanto patire? Per mostrarci tutto l’affetto che ci portava ed ispirarci il più grande orrore al peccato. Consideriamo un po’ seriamente e domandiamo a noi stessi: poteva amarci di più il Redentore Divino? A cancellare le colpe di tutta l’umanità peccatrice bastava un dolore, una lagrima, un’umiliazione del Figlio di Dio, invece volle soffrire per noi fino alla Croce, perché ciò che bastava alla Redenzione, dice san Giovanni Crisostomo, non bastò al suo amore. Un giorno Egli, predicando al popolo, aveva detto che nessuno ha carità più grande di colui che dà la vita per i suoi fratelli, perché non v’è segno più grande d’amore di quello di morire per chi si ama, ed Egli per nostro amore soffrì immensamente, soffrì oltre ogni misura, ed era disposto, dice un Santo, a morire anche per un solo uomo, perché Egli ama ciascuno di noi con lo stesso affetto con cui ama tutta l’umanità. E noi, o giovani, dobbiamo ricambiare quest’amore: è riconoscenza, è giustizia, è dovere! Gesù ci amò per esser da noi riamato, dice sant’Agostino. Inoltre il Redentore soffrì tanto per ispirarci il più grande orrore al peccato. Che direste se quel galeotto, liberato con tanta generosità da san Vincenzo de’ Paoli, invece di ringraziarlo e di giurargli eterna riconoscenza, si fosse messo ad offenderlo ed a percuoterlo? Eppure è quello che noi facciamo con Gesù buono quando pecchiamo, noi «Lo crocifiggiamo di nuovo» (Agli Ebrei, VI, 6), dice san Paolo, noi ricambiamo tanto amore con ingratitudine e disprezzo. Se voi vedeste passare per la strada N. S. Gesù Cristo, come lo vedevano, durante la sua vita mortale, gli abitanti della Palestina, avreste voi la temerità di legarlo, d’insultarlo, di percuoterlo, di metterlo in Croce come hanno fatto i giudei? No, di certo; ma v’inginocchiereste a ricevere la sua santa benedizione! Eppure noi peccando l’offendiamo molto di più che se lo percotessimo materialmente: per il peccato Egli ha patito ed è morto, quindi davanti a Lui il peccato è più abominevole della stessa sua morte. Esempio: La belva umana. Durante le guerre di Fiandra avvenne un fatto che ci dice fino a qual grado può giungere l’ingratitudine umana. Un soldato fuggitivo era stato preso dai nemici, attaccato ad un albero e lasciato là penzoloni, con la certezza di una morte lenta ed orribile. Dopo qualche tempo passò di là un cavaliere, vide quel disgraziato, estrasse il pugnale e tagliò la fune che lo teneva sospeso al ramo. Smontò poi da cavallo e vide che quell’infelice respirava ancora, lo adagiò bene sull’erba e con mille cure cercò richiamarlo alla vita. Ristoratolo con una bevanda che portava seco, lo fece salire con lui sul cavallo e fuggì di là per sottrarlo alla giustizia. Chi non direbbe che quel soldato avrebbe dovuto essere sempre riconoscente al cavaliere che con tanta carità gli salvò la vita? Invece, sospettando egli che il suo liberatore avesse in tasca parecchio denaro, mentre costui era intento a non incontrare il nemico ed a metterlo in salvo, adagio adagio gli estrasse il pugnale dal fodero, quel pugnale che aveva tagliata la fune e gli aveva salvata la vita, e lo piantò con forza nella schiena del cavaliere, che emettendo un grido, stramazzò a terra. La belva umana gli fu sopra, lo finì, lo spogliò d’ogni cosa, e poi, salito sul cavallo, fuggì a gran corsa. Ingrato, direte voi, traditore, degno di mille morti...: uccidere così vigliaccamente chi ti ha salvato la vita! E Gesù, o giovani, non ci ha salvato dall’inferno, non ha la-cerato quel decreto di condanna che ci perdeva tutti, non ci ha portato di volo verso la via del Cielo, volendo in tutti i modi la nostra salvezza? E noi ingrati tentiamo ancora di pugnalarlo col peccato, rinnovare ancora la sua Passione e affiggerlo di nuovo alla Croce! Pratica. Odio dunque al peccato, al grande nemico di Gesù! Se Iddio Padre per soddisfare il peccato non risparmiò neppure il suo unico Figlio, ma con dolori inauditi lo lasciò espiare i peccati dell’umanità, quanto terribili, o giovani, devono essere i castighi che Egli ha preparato a chi non vuole approfittare della Redenzione, ma peccando crucifigge di nuovo il suo Gesù! Amore e riconoscenza a chi ci ha voluto tanto bene! «Chi non ama N. S. Gesù Cristo sia scomunicato», dice san Paolo (I ai Corinti, XVI, 22) - «Si quis non amat Dominum, sit anathema».