+ Lume del trono reale della forte Iberia, Ermenegildo, gloria dei Martiri, che l’amor di Cristo trapiantò fra le gloriose falangi del cielo. Come rimani fermo nella pazienza e nella fedeltà a Dio promessa! Tu lo preferisci a tutto; e, prudente, scansi ogni piacere nocivo. Come freni i moti che preparano il pascolo alla tentazione del vizio, e spedito cammini con passi sicuri là dove mena la via della verità! Sia perenne onore al Padre Signore d’ogni cosa, le nostre preghiere celebrino anche il Figliuolo, e con lodi supreme esaltino lo Spirito divino. Così sia.
Orazione. O Dio, che insegnasti al tuo beato Martire Ermenegildo a posporre al regno celeste quello terreno: deh! concedici di disprezzare, a suo esempio, le cose caduche, e cercare le eterne. Per il Signore ... Così sia. +
[13 aprile, Sant’Ermenegildo, Martire (Toledo, 564 circa - Tarragona, 13 aprile 585). A Siviglia, in Spagna, Sant’Ermenegildo Martire, figlio di Leovigildo, Re Ariano dei Visigoti. Chiuso in carcere per la confessione della fede cattolica, e non avendo voluto ricevere nella solennità Pasquale la comunione da un Vescovo Ariano, per comando del perfido padre fu colpito con una scure, ed entrò Re e Martire al possesso del regno celeste invece di quello terreno. Dal Martirologio Romano. Dal Libro 3 (cap. 31) dei Dialoghi di San Gregorio Magno Papa: Il Re Ermenegildo, figlio di Leovigildo, Re dei Visigoti, fu convertito dall’eresia Ariana alla fede cattolica dalle prediche del venerabile Leandro, vescovo di Siviglia, al quale io sono legato da molto tempo da stretta amicizia. Il padre, Ariano, per farlo ritornare alla medesima sua eresia, si sforzò di guadagnarlo con promesse e di atterrirlo con minacce. Ma rispondendo egli con incrollabile fermezza di non potere abbandonare mai la vera fede dopo averla conosciuta, il padre irritato lo privò del regno e lo spogliò di tutti i beni. Ma non avendo neppure così potuto scuotere il suo coraggio, lo rinchiuse in una angusta prigione, stretti il collo e le mani con ferri. Il giovane Re Ermenegildo cominciò allora a disprezzare il regno terreno e a cercare con ardente desiderio quello celeste, e, coperto di cilizio, giacente fra le catene, a indirizzare preghiere a Dio onnipotente perchè lo fortificasse; inoltre a disprezzare tanto più sublimemente la gloria del mondo che passa, quanto più aveva riconosciuto nella sua prigione il nulla di ciò che può essere rapito. Al sopraggiungere poi della festa di Pasqua, il perfido padre gli mandò nel silenzio profondo d’una notte un vescovo Ariano, affinché ricevesse la comunione eucaristica dalle sue mani sacrileghe, e con ciò meritasse di rientrare nella grazia paterna. Ma egli, consacratosi tutto a Dio, appena gli si avvicinò, rimproverò, come doveva, il vescovo Ariano, e respinse da sé, con giuste rimostranze, tanta perfidia; perchè, sebbene esternamente giacesse legato, dentro di sé però si teneva sicuro in tutta l’elevatezza dell’anima. Ritornato pertanto a lui il vescovo, l'Ariano padre fremè di rabbia e mandò subito dei suoi sicari ad uccidere lì stesso dove giaceva, il fortissimo Confessore di Dio; il che venne eseguito. Infatti, appena entrati, gli spaccarono la testa con un colpo di accetta; ma togliendogli così la vita del corpo, non valsero a uccidere se non ciò che l’eroica vittima aveva costantemente disprezzato nella sua persona. A dimostrare la sua vera gloria, non mancarono prodigi e miracoli. Poiché nel silenzio della notte cominciò subito a sentirsi un canto di salmi presso il corpo del medesimo Re e Martire; tanto più veramente Re, in quanto che fu Martire...].