Dalla Pacem, Dei Munus Pulcherrimum, 23 Maggio 1920, Papa Benedetto XV: «La carità cristiana non si limita a non odiare i nemici o ad amarli come fratelli, ma vuole anche che facciamo loro del bene; seguendo in ciò le orme del nostro Redentore, il quale “passò facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo” (Act., X, 38) e compì il corso della sua vita mortale, spesa tutta nel beneficare immensamente gli uomini, versando per essi il suo sangue. Conseguentemente disse Giovanni: “Da questo abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno possiede ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioli miei, non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere e nella verità” (I Ioan., III, 16-18). In effetti, non vi furono mai giorni in cui si dovessero, più di ora “ampliare maggiormente i confini della carità” in quanto siamo tutti oppressi e travagliati da gravissime angustie, e forse mai come ora il genere umano abbisognò di quella comune beneficenza che fiorisce dal sincero amore per il prossimo e che è piena di sacrificio e di fervore. (...) Gli Apostoli, seguendo le orme del divino Maestro ed ammaestrati dalla sua voce e dai suoi precetti, erano di una assiduità meravigliosa nell’esortare così i fedeli: “Sopra tutto poi abbiate perseverante tra voi stessi la mutua carità” (I Petr., IV, 8). “E sopra tutte queste cose conservate la carità, la quale è il vincolo della perfezione” (Coloss., III, 14). “Carissimi, amiamoci l’un l’altro (rispettiamo i comandamenti, ndR); perché la carità è da Dio” (I Ioan., IV, 7). A queste raccomandazioni di Cristo e degli Apostoli erano assolutamente ubbidienti quei nostri fratelli degli antichi tempi, i quali, sebbene appartenenti a diverse nazioni talvolta in lotta tra loro, tuttavia, cancellando volontariamente il ricordo delle contese, vivevano in perfetta concordia.
E veramente faceva non poco contrasto una così intima unione di menti e di cuori con quelle mortali ostilità che allora divampavano in seno all’umano consorzio. Ora, quanto si è detto fin qui per inculcare il precetto della carità, vale anche per il perdono delle offese, non meno solennemente comandato dal Signore: “Ma io vi dico: Amate i vostri nemici; fate del bene a coloro che vi odiano; pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi” (Matth., V, 44-45). Di qui quel gravissimo monito dell’Apostolo Giovanni: “Chiunque odia il proprio fratello, è omicida. E voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna” (I Ioan., III, 15). Inoltre, Cristo Signore ci ha insegnato a pregare Dio in modo che noi stessi chiediamo di essere perdonati a patto di perdonare agli altri: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Matth., VI, 12). (...) Quanto Noi abbiamo qui ricordato ai singoli circa il dovere che essi hanno di praticare la carità, intendiamo che sia pure esteso a quei popoli che hanno combattuto la lunga guerra, affinché rimossa, per quanto è possibile, ogni causa di dissidio - e salve naturalmente le ragioni della giustizia - riprendano tra loro relazioni amichevoli. Infatti, la legge evangelica della carità che esiste fra gli individui non è diversa da quella che deve esistere fra gli Stati e i popoli, dato che questi, infine, non sono che l’insieme dei singoli individui. E poiché la guerra è finita, non solo per motivi di carità, ma anche per una certa necessità di cose, si va delineando un collegamento universale fra i popoli, spinti naturalmente ad unirsi fra loro da mutui bisogni, oltreché da vicendevole benevolenza, specialmente ora con l’accresciuto incivilimento e con la facilità di rapporti commerciali mirabilmente aumentata. (...) Ristabilite così le cose secondo l’ordine voluto dalla giustizia e dalla carità, e riconciliate tra di loro le genti, sarebbe veramente desiderabile, Venerabili Fratelli, che tutti gli Stati, rimossi i vicendevoli sospetti, si riunissero in una sola società o, meglio, quasi in una famiglia di popoli, sia per assicurare a ciascuno la propria indipendenza, sia per tutelare l’ordine del civile consorzio. E a formare questa società fra le genti è di stimolo, oltre a molte altre considerazioni, il bisogno stesso generalmente riconosciuto di ridurre, se non addirittura di abolire, le enormi spese militari che non possono più oltre essere sostenute dagli Stati, affinché in tal modo si impediscano per l’avvenire guerre così micidiali e tremende, e si assicuri a ciascun popolo, nei suoi giusti limiti, l’indipendenza e l’integrità del proprio territorio».