Fra le fonti della Dottrina sociale, oltre che la legge naturale di cui già si è accennato, ritroviamo anche la Rivelazione. Stiamo parlando della Sacra Scrittura, così come la Chiesa l’ha consegnata nei suoi Libri canonici, tenendo presente che la Rivelazione, completata e definita da Cristo, termina con la morte dell’ultimo Apostolo.
Il Concilio di Trento (1545-63) nella Sessione IV deposita il Canone o Catalogo dei Libri che la Chiesa ha ritenuto ispirati; sono cioè: libri storici, didattici, legislativi, profetici, prima del Vecchio poi del Nuovo Testamento. Elencati i Libri ispirati, il Concilio di Trento anatematizza tutti quelli che non accettano o non accetteranno come sacri e canonici questi Libri con tutte le loro parti.
La Chiesa ha accolti nel Canone i Libri della Sacra Bibbia per una qualità che li distingue da tutti gli altri: l’ispirazione. Lo dichiara nel Concilio Vaticano (Sessione III, cap. 2, can. 4), nel quale, dopo aver detto che i Libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, interi, con tutte le loro parti devono essere accettati come sacri e canonici, aggiunge: «La Chiesa li ha come sacri e canonici non perché, composti per sola industria umana poi sono stati approvati dalla sua autorità, e nemmeno perché contengono senza errore la Rivelazione, ma perché, essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore, e come tali sono affidati alla Chiesa».
In che consista l’ispirazione lo dice Papa Leone XIII nella Providentissimus Deus (18 novembre 1893): «Infatti, [i sacri scrittori, Dio,] con soprannaturale virtù, li eccitò e mosse, li assisté nello scrivere in modo che essi rettamente concepissero coll’intelligenza, e volessero fedelmente scrivere e con mezzi adatti e con infallibile verità esprimessero tutte e sole quelle cose da Lui comandate, altrimenti Egli non sarebbe l’autore di tutta quanta la Scrittura».
L’uomo, mediante la ragione e con le proprie forze, ha la capacità di comprendere tutte quelle verità contenute nella legge naturale e, fra queste verità, «di elevarsi fino alla conoscenza di Dio personale» (Ivi.). Afferma ancora il Vaticano: «[…] la Santa Madre Chiesa professa ed insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall’intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte (Rm. 1,20)» (Dei Filius, II, Papa Pio IX, 24 aprile 1870).
Tuttavia, per colpa del peccato originale che l’uomo e la donna ricevono «per trasmissione» nella natura umana, a causa delle passioni che sovente oscurano la ragione e che impediscono di «vedere chiaramente», lo stesso Concilio Vaticano ha definito che sono necessaire la Chiesa e la Rivelazione. La laicità politica, per esempio, è la negazione di questo ed altri dogmi, è una sorta di apostasia pratica.
La Rivelazione «deve dirsi assolutamente necessaria […] perché nella Sua infinita bontà Dio destinò l’uomo ad un fine soprannaturale, cioè alla partecipazione dei beni divini, che superano totalmente l’intelligenza della mente umana; infatti Dio ha preparato per coloro che Lo amano quelle cose che nessun occhio vide, nessun orecchio mai udì, nessun cuore umano conobbe (1Cor. 2,9)».
La Chiesa è indispensabile, spiega Trento, affinché «[si ponga] conveniente freno alle menti presuntuose che [hanno interpretato la Rivelazione] in modo malvagio». Difatti: «[…] nelle cose della fede e dei costumi appartenenti alla edificazione […] deve essere tenuto per vero quel senso della Sacra Scrittura che ha sempre tenuto e tiene la Santa Madre Chiesa, alla cui autorità spetta giudicare del vero pensiero e della vera interpretazione delle sante Scritture; perciò a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura contro questo intendimento o anche contro l’unanime giudizio dei Padri» (Ivi.).
La Rivelazione non solo conferma la legge naturale, ma va anche oltre. Solo l’insegnamento autentico della Chiesa può, difatti, condurre l’uomo al pieno esercizio della libertà.
Leone XIII nella mirabile Libertas praestantissimum (Acta 8, 218; cf. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 90, a. 1: Ed. Leon. 7, 149-150 ) asserisce: «Poiché tale è nell’uomo la condizione della libertà, era necessario proteggerla con idonei e saldi presidi che indirizzassero al bene tutti i suoi impulsi e la ritraessero dal male; altrimenti il libero arbitrio avrebbe recato grave danno all’uomo. […] Invece, coloro che godono della libertà, hanno facoltà di agire, di non agire, di agire in un modo o altrimenti poiché scelgono ciò che vogliono, facendo precedere quel giudizio razionale a cui già accennammo. In virtù di tale giudizio non solo si stabilisce che cosa sia onesto e che cosa sia turpe, ma anche che cosa in concreto sia il bene da compiere e il male da evitare; la ragione cioè prescrive alla volontà ove dirigere il desiderio e da dove rimuoverlo, in modo che l’uomo possa raggiungere il suo fine ultimo, in vista del quale si deve agire in ogni momento. Ora, questo ordinamento della ragione si chiama legge».
Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata