L’orrenda carneficina che l’esercito sovietico, con l’inganno d’una falsa tregua ed una vigliaccheria che non ha precedenti nella storia, ha consumato ai danni del popolo ungherese, ha suscitato in tutto il mondo civile un’ondata d’esecrazione, una condanna morale che non mancherà d’avere, come sta già avendo (vedi il caso Reale, la ribellione dell’on. Giolitti e degli intellettuali del P.C.I.), le sue conseguenze nello stesso campo comunista. Duecentomila soldati e cinquemila carri armati hanno aperto il fuoco non solo contro studenti e operai insorti a difesa delle loro libertà, ma anche contro la popolazione inerme, contro ospedali, donne e bambini. Perché tanta crudeltà e tanta ferocia? Perché tanto disprezzo della parola data, d’ogni impegno d’onore? A tutti questi interrogativi non c’è altra risposta che la prepotenza del bruto deciso, a costo di diventare assassino, a non lasciarsi sfuggire la preda. Perciò tanto più grave risuona l’ammonimento di Pio XII: «Le parole che Dio rivolse a Caino: ”La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”, hanno anche oggi tutto il loro valore... ».

Sugli sviluppi dell’insurrezione dell’eroico popolo ungherese come pure sulla piega che prenderanno i fermenti che agitano la Polonia e gli altri paesi dell’Europa orientale, posti fino a ieri saldamente sotto il tallone di Mosca, è ancora prematuro fare delle previsioni. Ma quanto è accaduto è già sufficiente per formulare delle valutazioni di più meditato contenuto che non siano avventate ed inutili profezie o conclusioni opportunistiche ed interessate.

È chiaro che i recenti fatti d’oltre cortina costituiscono non solo una rivolta contro lo stalinismo e l’Unione Sovietica, ma sono la prova più evidente, anche dal punto di vista marxista, del fallimento del comunismo. Secondo il marx-leninismo la verità di una dottrina non è qualcosa che si dimostra in modo astratto con la perspicuità dei suoi principii, bensì dalla sua realizzazione concreta, tale essendo il significato della tanto decantata identità di teoria e di prassi. Alla prassi si sono sempre appellati tutti i comunisti, dai più grandi ai più piccoli, da Lenin a Stalin a Chruscev, da Gramsci a Togliatti a Banfi e Della Volpe. Ora è proprio la realtà che dà loro la più solenne delle smentite: sul piano dell’economia, dell’umanesimo e dell’egemonia politica...

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